L’Ucu (Univesity and College Union), principale associazione di docenti universitari inglesi, ha dichiarato ieri in un comunicato ufficiale che “dopo aver richiesto un parere legale, un boicottaggio accademico di Israele sarebbe illegale e non può essere attuato”. Niente boicottaggio accademico, dunque, ed è la stessa associazione promotrice a mettere la parola fine a una questione che si trascina dalla scorsa primavera.
Di boicottaggio accademico, come forma di protesta contro la politica del governo Olmert, si parlò per la prima volta in maggio. Promotori dell’iniziativa, i membri della University and College Union. L’idea alla base della proposta prevedeva che i docenti inglesi non tenessero lezioni nello Stato d’Israele, così come studenti e docenti israeliani non sarebbero stati accolti negli atenei di Sua Maestà. La loro colpa? Quella di “cooperare nell’occupazione dei territori palestinesi”. La decisione scatenò immediatamente una selva di polemiche: proprio in Israele, al momento dell’annuncio del boicottaggio, alcuni intellettuali (tra cui Oz, Grossman e Yehoshua, insieme ai rettori delle quattro principali università israeliane) stavano paradossalmente firmando un appello a favore degli studenti arabi.
Molte sono state le iniziative contro il boicottaggio. Su “Petitiononline.com” venne immediatamente lanciato un appello, sostenendo come l’iniziativa dei docenti inglesi fosse “contro il principio universale di libertà accademica”, “una forma di pregiudizio e discriminazione”, “controproduttivo ai fini della pace e della riconciliazione” e “un ostacolo all’avanzamento scientifico, che dipende dalla collaborazione internazionale”. Ad oggi, le adesioni sono oltre 26.000. Alcuni intellettuali inglesi firmarono poi una nota a tutta pagina sul “Times”, bollando l’iniziativa dei colleghi come “dannosa per la Gran Bretagna, dannosa per la libertà accademica, dannosa per i palestinesi e dannosa per la pace”. Tra gli autori figuravano scienziati, docenti, giornalisti e scrittori. Per Alan Dershowitz, celebre docente di diritto ad Harvard, il boicottaggio era “non solo sbagliato, ma antisemita”, per poi concludere affermando che la lotta contro il progetto dell’Ucu rappresentava “un aspetto, forse l'aspetto più urgente, della lotta contemporanea contro l'antisemitismo”.
La notizia del “ritiro” del boicottaggio è stata accolta con grande soddisfazione negli ambienti israeliani. Il portavoce dell’ambasciatore israeliano a Londra, Lior Ben Dor Said, ha ricordato al “Jerusalem Post” che “non è il primo boicottaggio ad essere cancellato”, per poi augurarsi di “non esserne ancora testimone in futuro”. “Army Radio” ha riportato invece la soddisfazione del ministro degli esteri Tzipi Livni, che ha accolto il passo indietro dell'Ucu come una decisione vitale per il mondo accademico israeliano.
Cosa ha portato alla rinuncia definitiva al progetto? Il comunicato dell’Ucu parla chiaro: “La consulenza legale ha messo in luce che proporre un boicottaggio delle istituzioni israeliane porterebbe ad un serio rischio di violazione delle leggi sulla discriminazione”. Il boicottaggio sarebbe inoltre “estraneo agli scopi dell’Ucu”. Discriminatorio e lesivo dell’immagine stessa dell’associazione, dunque. La consulenza legale ha poi ricordato come “per assicurarsi che l’Unione agisca nel rispetto della legge, i congressi non dovrebbero essere usati per constatare il livello di supporto ad un simile boicottaggio”.
Sally Hunt, segretario generale dell’ Univesity and College Union, ha chiuso la polemica con la speranza che “questa decisione permetta a tutti di andare avanti focalizzandosi sul nostro principale obiettivo, la rappresentanza dei nostri membri”. Così facendo, ha continuato la Hunt, “potremo inoltre, dove possibile, giocare un ruolo positivo nel supporto agli educatori palestinesi ed israeliani, e nella promozione di una pace giusta in Medio Oriente”. Il caso è chiuso.
Di boicottaggio accademico, come forma di protesta contro la politica del governo Olmert, si parlò per la prima volta in maggio. Promotori dell’iniziativa, i membri della University and College Union. L’idea alla base della proposta prevedeva che i docenti inglesi non tenessero lezioni nello Stato d’Israele, così come studenti e docenti israeliani non sarebbero stati accolti negli atenei di Sua Maestà. La loro colpa? Quella di “cooperare nell’occupazione dei territori palestinesi”. La decisione scatenò immediatamente una selva di polemiche: proprio in Israele, al momento dell’annuncio del boicottaggio, alcuni intellettuali (tra cui Oz, Grossman e Yehoshua, insieme ai rettori delle quattro principali università israeliane) stavano paradossalmente firmando un appello a favore degli studenti arabi.
Molte sono state le iniziative contro il boicottaggio. Su “Petitiononline.com” venne immediatamente lanciato un appello, sostenendo come l’iniziativa dei docenti inglesi fosse “contro il principio universale di libertà accademica”, “una forma di pregiudizio e discriminazione”, “controproduttivo ai fini della pace e della riconciliazione” e “un ostacolo all’avanzamento scientifico, che dipende dalla collaborazione internazionale”. Ad oggi, le adesioni sono oltre 26.000. Alcuni intellettuali inglesi firmarono poi una nota a tutta pagina sul “Times”, bollando l’iniziativa dei colleghi come “dannosa per la Gran Bretagna, dannosa per la libertà accademica, dannosa per i palestinesi e dannosa per la pace”. Tra gli autori figuravano scienziati, docenti, giornalisti e scrittori. Per Alan Dershowitz, celebre docente di diritto ad Harvard, il boicottaggio era “non solo sbagliato, ma antisemita”, per poi concludere affermando che la lotta contro il progetto dell’Ucu rappresentava “un aspetto, forse l'aspetto più urgente, della lotta contemporanea contro l'antisemitismo”.
La notizia del “ritiro” del boicottaggio è stata accolta con grande soddisfazione negli ambienti israeliani. Il portavoce dell’ambasciatore israeliano a Londra, Lior Ben Dor Said, ha ricordato al “Jerusalem Post” che “non è il primo boicottaggio ad essere cancellato”, per poi augurarsi di “non esserne ancora testimone in futuro”. “Army Radio” ha riportato invece la soddisfazione del ministro degli esteri Tzipi Livni, che ha accolto il passo indietro dell'Ucu come una decisione vitale per il mondo accademico israeliano.
Cosa ha portato alla rinuncia definitiva al progetto? Il comunicato dell’Ucu parla chiaro: “La consulenza legale ha messo in luce che proporre un boicottaggio delle istituzioni israeliane porterebbe ad un serio rischio di violazione delle leggi sulla discriminazione”. Il boicottaggio sarebbe inoltre “estraneo agli scopi dell’Ucu”. Discriminatorio e lesivo dell’immagine stessa dell’associazione, dunque. La consulenza legale ha poi ricordato come “per assicurarsi che l’Unione agisca nel rispetto della legge, i congressi non dovrebbero essere usati per constatare il livello di supporto ad un simile boicottaggio”.
Sally Hunt, segretario generale dell’ Univesity and College Union, ha chiuso la polemica con la speranza che “questa decisione permetta a tutti di andare avanti focalizzandosi sul nostro principale obiettivo, la rappresentanza dei nostri membri”. Così facendo, ha continuato la Hunt, “potremo inoltre, dove possibile, giocare un ruolo positivo nel supporto agli educatori palestinesi ed israeliani, e nella promozione di una pace giusta in Medio Oriente”. Il caso è chiuso.