Ci siamo, il dado è tratto. All'Accademia Navale di Annapolis, nel Maryland, tutto è pronto: ieri sera gli Stati Uniti hanno messo fine a ogni pronostico, spedendo gli inviti ufficiali per la conferenza di pace sul Medio Oriente. Data: 27 novembre. Gli ospiti saranno moltissimi: più di 40 paesi, organizzazioni e istituzioni internazionali.
Gli Stati Uniti, promotori dell'evento, saranno rappresentati dal presidente George W. Bush e dal segretario di Stato Condoleezza Rice. Per Israele ci saranno il premier Ehud Olmert e il ministro degli Esteri Tzipi Livni, mentre l'Autorità Nazionale Palestinese figurerà con Abu Mazen ed altri esponenti di rilievo: questi i protagonisti principali. Tra gli altri invitati ci saranno poi rappresentanti del Quartetto (oltre agli Usa, Ue – Russia – Onu) e il suo inviato in Medio Oriente, Tony Blair; i paesi del G8 e altri tra cui Città del Vaticano, Cina e Turchia; istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l'Organizzazione per la Conferenza Islamica. E poi, ovviamente, la Lega Araba : oltre al segretario generale Amr Mussa saranno presenti 18 paesi, tra cui la Siria – per la presenza della quale si erano spesi in prima persona Egitto e Turchia.
Ora che la data è certa, i pochi giorni che separano israeliani e palestinesi dal vertice sono fondamentali: bisogna appianare – per quanto possibile – le divergenze più vistose, cercando di giungere ad un documento di principi condiviso. E alla ricerca di una convergenza di massima, sotto la spinta di Condoleezza Rice e dei paesi mediatori (come la Turchia), stanno lavorando in queste ore tanto Olmert quanto Abu Mazen. Le divisioni restano, ma entrambi i contendenti si rendono conto dell'importanza dell'iniziativa americana e dei rischi del suo fallimento.
Che le trattative siano ormai agli sgoccioli lo dimostra anche l'accentuazione dello stato d'allerta in Israele, in vista di possibili attacchi terroristici. Il rischio è infatti che gruppi estremistici palestinesi possano cercare di sabotare – o quantomeno insanguinare – il meeting di Annapolis per mezzo di atti violenti, tanto contro gli israeliani quanto contro i sostenitori di Fatah in Cisgiordania. Qualcosa di simile è accaduto lunedì notte, quando Ido Zuldan – un israeliano di 29 anni – è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco nei pressi dell'insediamento di Kedumim, nel West Bank. L'omicidio è stato rivendicato dalle Brigate di Al-Aqsa, affiliate a Fatah, e le motivazioni non lasciano dubbi: il gruppo ha fatto sapere di aver agito per protestare contro il vertice di Annapolis e "i crimini israeliani contro i palestinesi". L'episodio ha provocato l'innalzamento dell'allerta da parte del ministero della Difesa israeliano.
Ma la diplomazia non si ferma: Olmert, i cui incontri con Abu Mazen sono ormai all'ordine del giorno, è volato in Egitto a parlare con il presidente Mubarak. E sempre in Egitto, a giorni, si incontreranno i ministri degli Esteri della Lega Araba: l'obiettivo è quello di trovare una linea comune per il vertice di Annapolis, dove i paesi arabi avranno uno spazio inedito e importante.
L'ennesima settimana della diplomazia è incominciata lunedì con un incontro di due ore tra il premier israeliano Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Il meeting tra i due, che un assistente di Abu Mazen ha definito "difficoltoso", ha fatto emergere tutte le divisioni che ancora permangono tra le controparti: divisioni non indifferenti, dal momento che la data della conferenza si avvicina sempre più. Quali sono le questioni sul tappeto? Sempre le stesse: significato della conferenza – inizio delle trattative per Israele, fine delle trattative per i palestinesi –, confini, sovranità su Gerusalemme, rifugiati palestinesi e insediamenti israeliani nel West Bank. Da qui la necessità di venirsi incontro, e al più presto.
Dal canto suo, Israele ha incominciato a liberare 441 dei 9000 palestinesi detenuti nelle sue carceri (anche se i palestinesi ne avrebbero voluti liberi 2000). E i due leader sembrano anche aver trovato un accordo di massima sulla conferenza: non sarà un traguardo definitivo (come chiedeva Abu Mazen), ma dovrà essere seguito da incontri intensivi per giungere ad una pace definitiva entro fine 2008 (quando scadrà il mandato Bush, come chiedeva tra gli altri il segretario di Stato statunitense Condoleezza Rice). Per il resto, stando a fonti palestinesi citate dalla stampa israeliana, dall'incontro non sarebbero venuti significativi passi avanti sulle questioni pratiche: non è da escludere, allora, che ad Annapolis le parti si presentino con due dichiarazioni differenti.
Sulle singole questioni "tecniche", le trattative sono poi proseguite fino a tarda notte tra i due gruppi di negoziatori guidati da Ahmed Qureia e Tzipi Livni. Al termine dell'incontro, il negoziatore palestinese Erekat ha dichiarato ad Army Radio: "Non so se riusciremo a finalizzare il documento", lasciando intuire come il tempo stringa e le distanze restino ancora notevoli. Gli incontri tra i negoziatori, comunque, continuano in questi giorni senza sosta.
Importanti novità sulla conferenza sono venute poi dall'Egitto, dove Olmert è atterrato martedì per incontrare il presidente Mubarak. Il ruolo dell'Egitto, al pari della Turchia recentemente visitata dal presidente israeliano Peres, è quello di fungere da mediatore non solo tra israeliani e palestinesi, ma anche tra loro e gli stati arabi circostanti. E non a caso proprio in Egitto, da giovedì, si incontreranno i paesi della Lega Araba per decidere se andare ad Annapolis il 27 novembre e, in caso affermativo, quali posizioni sostenere.
Nella conferenza stampa congiunta al termine dell'incontro, il presidente Mubarak ha sponsorizzato (con successo) la presenza al meeting della Siria, mentre Olmert ha ufficialmente dichiarato di aspettarsi un accordo definitivo per la fine del 2008: queste le affermazioni principali. "A una settimana dalla conferenza, entrambe le parti devono lavorare per renderla un successo" ha dichiarato Mubarak, auspicando che da Annapolis possano partire negoziati seri e serrati legati ad un calendario preciso. Olmert ha poi ribadito come la conferenza rappresenti un inizio delle trattative, che dovranno essere serie e continue fino al raggiungimento di due stati confinanti: "I negoziati riguarderanno tutte le questioni fondamentali. Non eviteremo alcun problema. Non salteremo alcuna questione che preoccupi noi o i palestinesi" ha concluso il premier israeliano.
Ma il fallimento, o quantomeno lo stallo delle trattative, è sempre dietro l'angolo. E Olmert lo sa bene: "Non sarà facile. Pensate che dopo 60 anni possiamo sederci e risolvere tutti i problemi in una o due settimane?". Ma la speranza, al di là del rischio di feroci delusioni, resta forte. E intanto Tony Blair, inviato in Medio Oriente del quartetto (Ue, Usa, Russia e Onu), sembra già guardare avanti: a fianco del ministro della Difesa israeliano Barak e del premier palestinese Fayyad, ha annunciato alcune iniziative per far decollare l'economia della regione, tra cui il rilancio dei pellegrini verso Betlemme e un piano di fognature per Gaza, approvato dagli israeliani.
L'ennesima settimana della diplomazia è incominciata lunedì con un incontro di due ore tra il premier israeliano Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Il meeting tra i due, che un assistente di Abu Mazen ha definito "difficoltoso", ha fatto emergere tutte le divisioni che ancora permangono tra le controparti: divisioni non indifferenti, dal momento che la data della conferenza si avvicina sempre più. Quali sono le questioni sul tappeto? Sempre le stesse: significato della conferenza – inizio delle trattative per Israele, fine delle trattative per i palestinesi –, confini, sovranità su Gerusalemme, rifugiati palestinesi e insediamenti israeliani nel West Bank. Da qui la necessità di venirsi incontro, e al più presto.
L'Occidentale