S'intitola "The Looming Tower: Al-Quaeda and the Road to 9/11", pubblicato l'anno scorso negli Stati Uniti da Alfred A. Knopf. In Italia è uscito quest'anno per Adelphi, sotto il titolo "Le altissime torri. Come al-Quaeda giunse all'11 settembre". L'autore è un giornalista del "New Yorker", Lawrence Wright, che vi ha dedicato cinque anni di lavoro: un lavoro mastodontico, fatto d'interviste in Egitto, Arabia Saudita, Pakistan, Sudan, Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti. Fatto di pile di documenti inediti, spesso riservati. Un lavoro che è appena stato insignito del Premio Pulitzer 2007, nella la categoria "Non General Fiction".
Attonito di fronte alle immagini delle Torri Gemelle che si sbriciolavano al suolo, nella tranquilla mattina dell'11 settembre 2001, Lawrence Wright deve essersi posto alcune domande comuni a tutti noi. Com'è possibile che l'America abbia permesso tutto questo? Davvero non ne sapeva niente? E la Cia? L'Fbi? A differenza dei complottisti, che si sono affannati nel ricercare (improbabili) prove della presenza della stessa Casa Bianca – o, se volete, di Israele – dietro al più grande attentato contro l'America dai tempi di Pearl Harbour, Wright ha deciso di mettere in campo tutte le qualità del giornalista di razza. E così si è messo a lavorare sodo, cercando di dare un volto ai veri responsabili della tragedia – l'al Qaeda di Bin Laden e Zawahiri – e a coloro che forse avrebbero potuto evitarla: la Cia e l'Fbi.
Il risultato di questi anni di lavoro è semplicemente sorprendente: un saggio di oltre 450 pagine sulla storia dell'organizzazione terroristica di Bin Laden, dagli albori dell'estremismo islamico in Occidente fino ai giorni immediatamente seguenti l'11 settembre2001. A sostegno del racconto, 65 pagine di note – che riportano le fonti precise da cui deriva ogni singola affermazione – e l'elenco delle 560 interviste esclusive condotte in giro per il mondo. La grandezza dell'opera sta tutta nella grandezza del suo autore: da un punto di vista filologico, "Le altissime torri" è di una serietà documentata per ogni singola riga; allo stesso tempo, però, Wright ha saputo dare al racconto un andamento per certi versi romanzesco, in grado di affascinare facendo emergere personaggi a tutto tondo che maturano – nel bene e nel male – come in un lungo racconto di formazione. Una formazione dedita al terrorismo, per alcuni, e al contrasto della morte per altri.
Lawrence Wright parte da molto lontano, seguendo per tutto il saggio un andamento rigorosamente cronologico. Dopo un breve flash-forward nel 1996 – in cui ci viene mostrato l'agente dell'Fbi Daniel Coleman, primo americano ad aprire un fascicolo contro lo sconosciuto saudita Osama Bin Laden (un pazzo che ha appena lanciato una fatwa contro l'America da una grotta afgana) – l'azione vera e propria prende il via nel novembre 1948, su di un transatlantico in viaggio da Alessandra d'Egitto a New York. A sbarcare nella città che oltre mezzo secolo dopo vedrà crollare il World Trade Center è l'intellettuale egiziano Sayyid Qutb, ex ispettore del ministero dell'Istruzione cacciato dal suo paese per la rigidità delle sue idee. Di lì a poco Qutb scriverà un libro, "La giustizia sociale dell'Islam", che sarà alla base della filosofia della morte di tutti i terroristi islamici che verranno: e le torture subite nelle carceri egiziani, prima della morte, altro non faranno che elevarlo a simbolo del martirio per la diffusione dell'Islam in tutto il mondo.
È da queste idee che personaggi come al-Zawahiri e Bin Laden trarranno linfa vitale per la loro ideologia del terrore. Il primo, egiziano, guiderà ben presto l'avanguardia di Qutb dopo essere cresciuto in un tranquillo quartiere residenziale del Cairo. Il secondo, il saudita Osama, troverà invece pane per i suoi denti nella guerra afgana contro i sovietici, dopo una tranquilla infanzia finanziata dai miliardi di papà. E la crescita parallela dei due, la formazione di due caratteri tanto diversi quanto compatibili, è senza dubbio l'aspetto più interessante delle ricerche di Wright.
Ayman al-Zawahiri è un intellettuale. La sua cultura è anni luce più profonda di quella dell'insipido Bin Laden. In giovane età, quando fonda l'organizzazione al-Jihad, Zawahiri ha le idee ben chiare: vuole istituire un governo islamico puro in Egitto. Certo, non mancano gli aspetti di "politica estera" come l'appoggio alla rivoluzione iraniana di Komehini, ma l'Egitto è il centro di tutto il suo pensiero: a questo proposito Zawahiri – che "voleva distruggere lo Stato e instaurare una dittatura religiosa" – si colloca ben presto in una posizione più estrema di quella dei Fratelli Musulmani, che "erano disposti a lavorare all'interno di un sistema politico". Nessun programma minimalista, l'Islam di Zawahiri vuole essere totale: da qui l'implicazione nell'attentato al presidente Sadat del 1981, alla quale segue una dura detenzione nelle prigioni egiziane. Secondo alcuni, l'esperienza carceraria fu alla base di tutto l'odio che seguì: "Una scuola di pensiero ritiene che la tragedia americana dell'11 settembre sia cominciata nelle prigioni egiziane", annota Wright. Duro e puro, Zawahiri si allea con Osama solo quando il sogno egiziano sembra svanire per sempre e i soldi, necessari per finanziare la sua organizzazione, latitano: "Malgrado la precarietà finanziaria di al-Jihad, molti dei suoi membri superstiti diffidavano di Bin Laden, e non avevano alcun desiderio di distogliere i loro sforzi dall'Egitto". Ma senza soldi non si mangia: al-Jihad si fonderà ben presto in al-Quaeda, e gli sforzi della nuova internazionale del terrore si concentreranno contro Israele e gli Stati Uniti, fino al crollo delle "altissime torri".
Sorprendente è invece l'Osama Bin Laden che emerge dalle pagine di Wright. Il giornalista dedica molte pagine alla sua famiglia, soprattutto al padre: un vero e proprio self made man, che dal nulla giunge a costruire strade e infrastrutture di gran parte dell'Arabia Saudita (entrando nelle grazie della famiglia reale, spesso e volentieri a caccia di credito monetario). Il piccolo Osama è uno dei tanti figli, senza alcuna passione o particolare qualità. La sua formazione terroristica avviene in Afghanistan, dove a Tora Bora cerca di combattere i sovietici con alcuni compagni: prima di ogni battaglia trema di paura, più che un aiuto il suo è un intralcio alla resistenza afgana. A fare di lui un leader non sono le capacità, quanto i soldi: Zawahiri cede di fronte alle sue possibilità economiche, così come farà il Mullah Omar (il quale sarà poi definitivamente conquistato da Osama solo tre giorni prima dell'11 settembre, quando al-Quaeda fa uccidere Ahmed Shah Massud, acerrimo nemico dei Taliban). Se Zawahiri e gli egiziani sono la mente, Bin Laden è il finanziatore e il comunicatore dell'organizzazione: ma senza gli uomini che gli stanno attorno, difficilmente sarebbe salito alla ribalta della storia.
Le vite dei personaggi di Wright scorrono veloci intorno ad alcuni avvenimenti cruciali, tutti raccontati con dovizia di particolari. Fondamentali, prima dell'11 settembre, risultano due fatwe. Agosto 1996, da un grotta di Tora Bora Bin Laden lancia la prima chiamata alle armi contro l'America: gli Stati Uniti, secondo Osama, vanno combattuti per la perdurante presenza di truppe militari in Arabia Saudita (anche dopo la fine della guerra del Golfo) e per il sostegno a Israele; Bin Laden, al tempo pressoché sconosciuto perfino ai servizi segreti, si rivolge direttamente al segretario alla difesa americano William Perry: "William, domani saprai chi è quel giovane che si leva contro i tuoi fratelli fuorviati… Contro di voi, che portate armi nella nostra terra, il terrore è non solo legittimo, ma un dovere morale". Nel gennaio 1998 poi, dopo aver sancito l'alleanza tra al-Quaeda e al-Jihad, al-Zawahiri ribadisce il concetto: nella fatwa dell'egiziano vengono riprese le stese motivazioni di Bin Laden, con l'aggravante dell'intenzione americana di distruggere l'Iraq.
Spartiacque fondamentali, infine, sono gli attentati che hanno segnato la strada verso le Twin Towers. Il 7 agosto 1998 va ricordato come il primo atto terroristico ad opera di al-Quaeda: ad essere colpite sono le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Il 12 ottobre 2000 invece, a meno di un anno dalle stragi di New York, Bin Laden fa attaccare la nave da guerra statunitense Cole ancorata nel porto di Aden, nello Yemen. Piccoli assaggi del terrore che di lì a poco infurierà sul territorio americano.
Si diceva che, indagando il mondo dei "buoni" – coloro che hanno dato la caccia a Bin Laden in tutti quegli anni –, Wright giunge alla conclusione che forse la tragedia si poteva evitare. Qui le presidenze c'entrano ben poco, tanto quella di Bush quanto quella di Clinton: il maggior ostacolo a una efficace operazione antiterroristica è stato il conflitto tra la Cia e l'Fbi, restii a collaborare e scambiare documenti importanti. "Le altissime torri" è allora anche la storia di uomini straordinari, come il capo dell'antiterrorismo dell'Fbi John O'Neill – sempre in lite con la Cia – o come il preziosissimo Principe Turki al-Faisal – a capo dei servizi segreti sauditi. La corsa contro Bin Laden, contro la certezza che qualcosa di grande stava per avvenire, è frenetica: ma troppo disorganizzata per sortire qualche effetto. La Cia, a conoscenza della presenza di membri di al-Quaeda sul territorio americano, non passa la nota all'Fbi per ben 19 mesi: quando lo fa, le torri sono già crollate. Emblematica la reazione dell'agente dell'Fbi Ali Soufan, quando riceve dalla Cia una busta fondamentale per prevedere (e fermare) gli imminenti attacchi contro Washington e New York: "Il muro era caduto. Quando Soufan si rese conto che l'Agenzia e qualcuno nel Bureau sapevano da più di un anno e mezzo che due dei dirottatori si trovavano nel paese, corse in bagno e vomitò".
La storia non si fa con i se. Forse niente e nessuno avrebbe potuto prevedere la portata degli attacchi dell'11 settembre, ma una cosa è certa: la lezione è servita. Oggi Cia ed Fbi collaborano come non avevano mai fatto prima nella prevenzione al terrorismo. Per quanto riguarda invece il libro di Wright, "Le altissime torri" sono forse la risposta più seria ed articolata ai milioni di complottisti che vedono la lunga mano di Washington (magari agitata dal Mossad) dietro agli aerei del "fantomatico" Bin Laden.
Attonito di fronte alle immagini delle Torri Gemelle che si sbriciolavano al suolo, nella tranquilla mattina dell'11 settembre 2001, Lawrence Wright deve essersi posto alcune domande comuni a tutti noi. Com'è possibile che l'America abbia permesso tutto questo? Davvero non ne sapeva niente? E la Cia? L'Fbi? A differenza dei complottisti, che si sono affannati nel ricercare (improbabili) prove della presenza della stessa Casa Bianca – o, se volete, di Israele – dietro al più grande attentato contro l'America dai tempi di Pearl Harbour, Wright ha deciso di mettere in campo tutte le qualità del giornalista di razza. E così si è messo a lavorare sodo, cercando di dare un volto ai veri responsabili della tragedia – l'al Qaeda di Bin Laden e Zawahiri – e a coloro che forse avrebbero potuto evitarla: la Cia e l'Fbi.
Il risultato di questi anni di lavoro è semplicemente sorprendente: un saggio di oltre 450 pagine sulla storia dell'organizzazione terroristica di Bin Laden, dagli albori dell'estremismo islamico in Occidente fino ai giorni immediatamente seguenti l'11 settembre
Lawrence Wright parte da molto lontano, seguendo per tutto il saggio un andamento rigorosamente cronologico. Dopo un breve flash-forward nel 1996 – in cui ci viene mostrato l'agente dell'Fbi Daniel Coleman, primo americano ad aprire un fascicolo contro lo sconosciuto saudita Osama Bin Laden (un pazzo che ha appena lanciato una fatwa contro l'America da una grotta afgana) – l'azione vera e propria prende il via nel novembre 1948, su di un transatlantico in viaggio da Alessandra d'Egitto a New York. A sbarcare nella città che oltre mezzo secolo dopo vedrà crollare il World Trade Center è l'intellettuale egiziano Sayyid Qutb, ex ispettore del ministero dell'Istruzione cacciato dal suo paese per la rigidità delle sue idee. Di lì a poco Qutb scriverà un libro, "La giustizia sociale dell'Islam", che sarà alla base della filosofia della morte di tutti i terroristi islamici che verranno: e le torture subite nelle carceri egiziani, prima della morte, altro non faranno che elevarlo a simbolo del martirio per la diffusione dell'Islam in tutto il mondo.
È da queste idee che personaggi come al-Zawahiri e Bin Laden trarranno linfa vitale per la loro ideologia del terrore. Il primo, egiziano, guiderà ben presto l'avanguardia di Qutb dopo essere cresciuto in un tranquillo quartiere residenziale del Cairo. Il secondo, il saudita Osama, troverà invece pane per i suoi denti nella guerra afgana contro i sovietici, dopo una tranquilla infanzia finanziata dai miliardi di papà. E la crescita parallela dei due, la formazione di due caratteri tanto diversi quanto compatibili, è senza dubbio l'aspetto più interessante delle ricerche di Wright.
Ayman al-Zawahiri è un intellettuale. La sua cultura è anni luce più profonda di quella dell'insipido Bin Laden. In giovane età, quando fonda l'organizzazione al-Jihad, Zawahiri ha le idee ben chiare: vuole istituire un governo islamico puro in Egitto. Certo, non mancano gli aspetti di "politica estera" come l'appoggio alla rivoluzione iraniana di Komehini, ma l'Egitto è il centro di tutto il suo pensiero: a questo proposito Zawahiri – che "voleva distruggere lo Stato e instaurare una dittatura religiosa" – si colloca ben presto in una posizione più estrema di quella dei Fratelli Musulmani, che "erano disposti a lavorare all'interno di un sistema politico". Nessun programma minimalista, l'Islam di Zawahiri vuole essere totale: da qui l'implicazione nell'attentato al presidente Sadat del 1981, alla quale segue una dura detenzione nelle prigioni egiziane. Secondo alcuni, l'esperienza carceraria fu alla base di tutto l'odio che seguì: "Una scuola di pensiero ritiene che la tragedia americana dell'11 settembre sia cominciata nelle prigioni egiziane", annota Wright. Duro e puro, Zawahiri si allea con Osama solo quando il sogno egiziano sembra svanire per sempre e i soldi, necessari per finanziare la sua organizzazione, latitano: "Malgrado la precarietà finanziaria di al-Jihad, molti dei suoi membri superstiti diffidavano di Bin Laden, e non avevano alcun desiderio di distogliere i loro sforzi dall'Egitto". Ma senza soldi non si mangia: al-Jihad si fonderà ben presto in al-Quaeda, e gli sforzi della nuova internazionale del terrore si concentreranno contro Israele e gli Stati Uniti, fino al crollo delle "altissime torri".
Sorprendente è invece l'Osama Bin Laden che emerge dalle pagine di Wright. Il giornalista dedica molte pagine alla sua famiglia, soprattutto al padre: un vero e proprio self made man, che dal nulla giunge a costruire strade e infrastrutture di gran parte dell'Arabia Saudita (entrando nelle grazie della famiglia reale, spesso e volentieri a caccia di credito monetario). Il piccolo Osama è uno dei tanti figli, senza alcuna passione o particolare qualità. La sua formazione terroristica avviene in Afghanistan, dove a Tora Bora cerca di combattere i sovietici con alcuni compagni: prima di ogni battaglia trema di paura, più che un aiuto il suo è un intralcio alla resistenza afgana. A fare di lui un leader non sono le capacità, quanto i soldi: Zawahiri cede di fronte alle sue possibilità economiche, così come farà il Mullah Omar (il quale sarà poi definitivamente conquistato da Osama solo tre giorni prima dell'11 settembre, quando al-Quaeda fa uccidere Ahmed Shah Massud, acerrimo nemico dei Taliban). Se Zawahiri e gli egiziani sono la mente, Bin Laden è il finanziatore e il comunicatore dell'organizzazione: ma senza gli uomini che gli stanno attorno, difficilmente sarebbe salito alla ribalta della storia.
Le vite dei personaggi di Wright scorrono veloci intorno ad alcuni avvenimenti cruciali, tutti raccontati con dovizia di particolari. Fondamentali, prima dell'11 settembre, risultano due fatwe. Agosto 1996, da un grotta di Tora Bora Bin Laden lancia la prima chiamata alle armi contro l'America: gli Stati Uniti, secondo Osama, vanno combattuti per la perdurante presenza di truppe militari in Arabia Saudita (anche dopo la fine della guerra del Golfo) e per il sostegno a Israele; Bin Laden, al tempo pressoché sconosciuto perfino ai servizi segreti, si rivolge direttamente al segretario alla difesa americano William Perry: "William, domani saprai chi è quel giovane che si leva contro i tuoi fratelli fuorviati… Contro di voi, che portate armi nella nostra terra, il terrore è non solo legittimo, ma un dovere morale". Nel gennaio 1998 poi, dopo aver sancito l'alleanza tra al-Quaeda e al-Jihad, al-Zawahiri ribadisce il concetto: nella fatwa dell'egiziano vengono riprese le stese motivazioni di Bin Laden, con l'aggravante dell'intenzione americana di distruggere l'Iraq.
Spartiacque fondamentali, infine, sono gli attentati che hanno segnato la strada verso le Twin Towers. Il 7 agosto 1998 va ricordato come il primo atto terroristico ad opera di al-Quaeda: ad essere colpite sono le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Il 12 ottobre 2000 invece, a meno di un anno dalle stragi di New York, Bin Laden fa attaccare la nave da guerra statunitense Cole ancorata nel porto di Aden, nello Yemen. Piccoli assaggi del terrore che di lì a poco infurierà sul territorio americano.
Si diceva che, indagando il mondo dei "buoni" – coloro che hanno dato la caccia a Bin Laden in tutti quegli anni –, Wright giunge alla conclusione che forse la tragedia si poteva evitare. Qui le presidenze c'entrano ben poco, tanto quella di Bush quanto quella di Clinton: il maggior ostacolo a una efficace operazione antiterroristica è stato il conflitto tra la Cia e l'Fbi, restii a collaborare e scambiare documenti importanti. "Le altissime torri" è allora anche la storia di uomini straordinari, come il capo dell'antiterrorismo dell'Fbi John O'Neill – sempre in lite con la Cia – o come il preziosissimo Principe Turki al-Faisal – a capo dei servizi segreti sauditi. La corsa contro Bin Laden, contro la certezza che qualcosa di grande stava per avvenire, è frenetica: ma troppo disorganizzata per sortire qualche effetto. La Cia, a conoscenza della presenza di membri di al-Quaeda sul territorio americano, non passa la nota all'Fbi per ben 19 mesi: quando lo fa, le torri sono già crollate. Emblematica la reazione dell'agente dell'Fbi Ali Soufan, quando riceve dalla Cia una busta fondamentale per prevedere (e fermare) gli imminenti attacchi contro Washington e New York: "Il muro era caduto. Quando Soufan si rese conto che l'Agenzia e qualcuno nel Bureau sapevano da più di un anno e mezzo che due dei dirottatori si trovavano nel paese, corse in bagno e vomitò".
La storia non si fa con i se. Forse niente e nessuno avrebbe potuto prevedere la portata degli attacchi dell'11 settembre, ma una cosa è certa: la lezione è servita. Oggi Cia ed Fbi collaborano come non avevano mai fatto prima nella prevenzione al terrorismo. Per quanto riguarda invece il libro di Wright, "Le altissime torri" sono forse la risposta più seria ed articolata ai milioni di complottisti che vedono la lunga mano di Washington (magari agitata dal Mossad) dietro agli aerei del "fantomatico" Bin Laden.
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