15 luglio 2008

Firmino, vita romanzata ma non troppo del topo che c'è in noi

Un topo si aggira per l'Europa. Nato in America nel 2006 dalla penna di Sam Savage – ex professore di filosofia, meccanico, carpentiere e pescatore – in soli mille esemplari, il ratto si fa largo tra i molti premi letterari. Dopo aver conquistato gli States, la sua autobiografia sbarca nel Vecchio Continente: prima alla fiera del libro di Francoforte – dove le maggiori case editrici si danno battaglia per accaparrarselo – e poi a quella di Torino, che vede il ratto protagonista indiscusso delle vendite.

Il topo in questione si chiama Firmino ed è venuto alla luce in un freddo seminterrato di Boston, il 9 novembre 1961. La madre Flo è un'ubriacona, "sovrappeso" e "disgustosa": sente che è venuto il momento di partorire, così si getta negli scantinati di una libreria affacciata su Scollay Square. Qui partorisce tredici topolini: Firmino è l'ultimo a vedere la luce, il più debole e il più lento ad accaparrarsi una delle dodici mammelle. È la fame – bisogno primordiale – che lo porta a mangiucchiare le pagine dei libri, che abbondano sugli scaffali: ma pagina dopo pagina, deriso dai fratelli, Firmino trova un presto un altro modo di assaporare quei tomi. Un modo molto umano: leggerli.

Comincia così la straordinaria vita di Firmino, che ha incantato i lettori di mezzo mondo. Abbandonato dalla madre e separatosi dai fratelli, il ratto trascorre gran parte delle sue giornate leggendo di tutto: "Oh, che libri ho scoperto nell'ebbrezza di quei primi giorni! Ancora oggi declamarne semplicemente i titoli mi fa venire le lacrime agli occhi". Mentre i suoi simili vagano per Boston a caccia di rifiuti e pozze luride, Firmino incontra i grandi della letteratura (Joyce, Tolstoj, Kafka, Fitzgerald…), i filosofi, gli scienziati e i semplici manuali tecnici. Gli unici svaghi sono quelli serali: quando la libreria chiude i battenti, Firmino sguscia fuori e si chiude in un cinema a luci rosse rosicchiando pop corn.

Nel corso della vita, Firmino conosce due uomini. Il primo è Norman, proprietario della libreria: si rivelerà una delusione. Il secondo è Jerry, scrittore hippy che sogna di trasferirsi a San Francisco e vende al parco le proprie opere di fantascienza. Ogni giorno che passa, intanto, è per il topo un motivo in più di sofferenza: vorrebbe scrivere e parlare con gli umani, ma sa di non poterlo fare. La sua condizione è paradossale: è più colto della media umana, ma il suo cervello è racchiuso nel corpo di un ratto orripilante.

Sul capo di Firmino – e su quello di Scollay Square – si abbatte presto un duro colpo: tutto il quartiere deve essere demolito per fare spazio a nuove costruzioni più moderne, pulite e funzionali. Tutti – dagli abitanti del quartiere a Firmino, passando per il proprietario della libreria e il cinema a luci rosse – dovranno fare i conti con una condizione di precarietà concreta ed esistenziale: ad ognuno il compito di trovare una nuova strada, via da un quartiere proiettato ormai verso il futuro.

Il successo di Firmino è travolgente. Einaudi – che lo pubblica in Italia nella traduzione di Evelina Santangelo – ha immediatamente esaurito la prima edizione. Il libro di Sam Savage, al salone del libro di Torino, è stato quello più venduto: tra gli acquirenti bambini e anziani, senza distinzioni. Qual è il segreto di tanto successo? Niccolò Ammaniti, a proposito di "Firmino", ha dichiarato: "Non ne potevo più di topi. Sono ovunque: al cinema, in televisione, nei fumetti, nelle fogne sotto casa. Poi ho conosciuto Firmino. Solo un topastro sfigato e malinconico come lui mi poteva rimettere in pace con il mondo dei roditori".

La grandezza del personaggio Firmino, in effetti, è il principale ingrediente di un successo meritato. Il ratto di Savage è tenero, incline alla nevrosi e alla depressione, colto e incallito sognatore: una condizione comune a molti uomini, che non faticheranno – una volta accettato il patto narrativo con l'autore, e cioè che a parlare sia proprio un ratto – a riconoscersi in lui. E poi c'è la storia: dalla prima all'ultima riga, l'autore mantiene costante il livello di tensione narrativa. "Firmino" non scade mai: la lucidità, l'ironia e la dolcezza sono presenti in ogni pagina, senza cedimenti.

Ma se la vita quotidiana di un topo speciale può saziare gli appetiti dei lettori meno esigenti, la grandezza di Firmino passa anche dalla sua serietà. Al di là dell'ironia, Savage ci parla di amore, morte, cultura, fantasia e tanta sofferenza: sotto i peli del ratto ci sta un cuore grande, costretto a fronteggiare tutte le difficoltà della vita. Fino all'ostacolo più grande e insormontabile: l'avvento inarrestabile della modernità.

Una sfida per Firmino, ma anche per gli ormai pochi lettori di romanzi. Le ruspe di Boston, infatti, non sono molto diverse dai mezzi di comunicazione di massa, dal predominio dell'immagine sulla scrittura, dalla supremazia di internet. Firmino, in questa guerra, rappresenta i libri e i lettori: fino a quando, ci chiede quel "topo sfigato", i romanzi avranno ancora un seguito? Per quanti anni ancora la gente avrà tempo, voglia e capacità di leggere i grandi capolavori della letteratura? E cosa succederà quando nessuno potrà più leggere Tolstoj, Kafka, Joyce? In una trama di sorrisi e colpi di scena, ecco le domande angoscianti e ineludibili. Ed ecco perché "Firmino" è caso letterario che resterà nel tempo.

L'Occidentale