28 gennaio 2009

Così Bartali in bici portava ai conventi i documenti salva-ebrei

Andrea Garibaldi racconta sul "Corriere" la bella storia di Bartali al tempo dell'Olocausto.

Suor Alfonsina e suor Eleonora guardavano fuori, attraverso le fessure della Ruota degli Innocenti, e vedevano due gambe muscolose che uscivano da un paio di pantaloni attillati e corti. Sussurravano un nome, «Bartali», perché la fama aveva valicato le mura del monastero di San Quirico, clausura per clarisse. Gino Bartali, che aveva vinto il Giro d'Italia nel '36 e nel '37 e il Tour nel '38, per almeno 40 volte, dopo l'8 settembre 1943, salì a San Quirico in Assisi, tra San Francesco e il Vescovado, con la sua Legnano rossa e verde. Nascosti nella canna, sotto il sellino o dentro le impugnature del manubrio, portava foto e documenti di ebrei. Documenti da falsificare, per permettere le fughe. Partiva da Firenze, faceva più di 200 chilometri di strade secondarie e di montagna, addosso una maglia con scritto «Bartali».

Qualche volta lo fermarono, i tedeschi, a un posto di blocco, ma finiva che gli facevano domande di ciclismo. A San Quirico Bartali consegnava alla madre superiora carte e foto, che poi venivano portate in una tipografia, lì dietro, tre minuti di buon passo. Gli ebrei ottenevano così le identità necessarie a circolare e a raggiungere l'Abruzzo, oltre la linea Gustav, nell'Italia già liberata. Il primogenito di Bartali, Andrea, è andato ad Assisi, ha ritrovato le suorine, utranovantenni, e i luoghi di queste imprese non sportive del padre. È andato a ricercare la tipografia, ha trovato al suo posto uno degli innumerevoli negozi di souvenir di Assisi, ma dentro c'era ancora la stampatrice che servì a salvare le vite di centinaia di ebrei. E lo stesso percorso era già stato compiuto da Riccardo Nencini, presidente del Consiglio regionale toscano, segretario del Partito socialista e nipote del campione che fu considerato l'erede di Bartali, Gastone Nencini: «La nuova madre superiora ci fece leggere il diario della superiora di quei tempi, dove erano annotate le visite di Bartali», racconta. E Andrea Bartali dice: «A proposito delle polemiche su Pio XII e gli ebrei, io credo che fosse necessario il permesso papale per far entrare uomini in un convento di clausura».

Bartali era un militante dell'Azione cattolica e tramite monsignor Elia Dalla Costa entrò in contatto con l'organizzazione Delasem, che assisteva i profughi ebrei. Talvolta, a metà strada tra Firenze e Assisi, fermava la bici alla stazione di Terontola. Come in un film, il suo arrivo calamitava le persone presenti, i soldati tedeschi e italiani intervenivano per disperdere l'assembramento e gruppi di ebrei e di perseguitati politici venivano fatti salire sui treni. Quest'anno, in quella stazione, è stata scoperta una lapide in ricordo di Bartali. «Prima dei viaggi verso Assisi — racconta Andrea Bartali — papà aveva fatto molti "allenamenti" andando in bicicletta da Firenze fino a Genova. A Genova gli venivano consegnati dei fondi che venivano da conti depositati in Svizzera da ebrei di tutto il mondo e lui li portava a Firenze».

Il presidente Ciampi diede la medaglia d'oro al merito civile a Bartali per aver protetto l'esistenza di almeno 800 ebrei.

Andrea Garibaldi
(C) Corriere della Sera