15 gennaio 2009

Israele si divide su Gaza: Olmert da una parte, Barak e Livni dall'altra

Fuori, "Piombo fuso" infuria: secondo le autorità mediche palestinesi, i morti hanno ormai superato quota mille e l'esercito israeliano, giunto a ridosso di Gaza City, vede crescere le difficoltà e il numero dei feriti. Israele, però, deve vedersela anche con il fronte interno: nelle ultime ore, infatti, le divergenze all'interno della troika che guida le operazioni militari non fanno che aumentare. Ad innescare la miccia sono state alcune dichiarazioni del ministro della Difesa: non solo Barak si è detto sensibile ai richiami delle Nazioni Unite e al lavoro di mediazione egiziano, ma si è anche spinto a proporre una settimana di tregua per favorire il flusso degli aiuti umanitari.

Posizioni agli antipodi rispetto a quelle di Ehud Olmert. Infuriato per le dichiarazioni del suo ministro, ieri il premier – che sostiene con convinzione il proseguimento delle operazioni militari – non si è presentato alla riunione del gabinetto di sicurezza. Secondo i suoi più stretti collaboratori, interpellati dal quotidiano "Haaretz", le dichiarazioni di Barak denoterebbero una "mancanza di responsabilità nazionale". "È grave che ministri parlino con i media riguardo la condotta di una guerra e la possibilità di un cessate il fuoco": queste uscite, concludono gli anonimi funzionari, "sono proiettili per le armi di Hamas e dei suoi leader". A sostegno di Olmert e della continuazione di "Piombo fuso" figura anche lo Shin Bet, uno dei tre servizi di intelligence israeliani.

Barak, però, non è l'unico a puntare sul cessate il fuoco. Sulla stessa linea, da giorni, troviamo anche il ministro degli Esteri Tzipi Livni: contraria all'avvio di una terza fase – rappresentata da una guerra strada per strada all'interno delle città –, la leader di Kadima crede che il lavoro svolto sin qui dall'esercito sia più che sufficiente. Per entrambi i ministri, del resto, le elezioni incombono: un incremento delle perdite sul fronte israeliano consegnerebbe al vittoria a Benjamin Netanyahu, leader del Likud. Favorevoli alla sospensione di "Piombo fuso", infine, sono parecchi funzionari della Difesa: ieri, nel corso di un meeting ufficiale, è emersa la necessità di evitare la temuta terza fase e di fermarsi prima che Barack Obama entri alla Casa Bianca.

A fomentare queste divisioni interne alla leadership israeliana concorrono una serie di fenomeni. Primo, le pressioni internazionali: a fronte di un premier dimissionario che non ha più nulla da perdere, Barak e la Livni – entrambi candidati alla guida del Paese – temono che il proseguimento di "Piombo fuso" possa macchiare gravemente l'immagine d'Israele in Occidente. Secondo, l'imminente giuramento di Obama: i due ministri vorrebbero evitare un'imposizione del cessate il fuoco da parte del neopresidente americano. Terzo, le elezioni: a febbraio gli israeliani saranno chiamati alle urne e un proseguimento della guerra – con conseguente aumento del numero delle vittime tra le fila di Tsahal – certo non favorirebbe coloro che hanno guidato le operazioni militari.

I vertici israeliani, comunque, dovranno presto trovare un accordo. È di ieri la notizia di una possibile accettazione della tregua egiziana da parte di Hamas: se i miliziani della Striscia dovessero dare il loro assenso, anche Israele sarebbe chiamato a dare una risposta chiara. A quali condizioni accettare una tregua duratura? Per rispondere a questa domanda, Olmert dovrà necessariamente sedersi a discutere con i suoi ministri: da Tel Aviv, intanto, migliaia di giovani chiedono che un qualsiasi trattato di pace includa la liberazione di Gilad Shalit.

L'Occidentale