30 gennaio 2009

Olmert: “Via i coloni dalla West Bank e Gerusalemme Est ai palestinesi”

Mentre vacilla la tregua tra Israele e Hamas – i miliziani palestinesi hanno ucciso un militare israeliano, Tel Aviv ha risposto con nuovi bombardamenti – “Yediot Ahronot” lancia una notizia destinata a riaprire i tavoli diplomatici. Ehud Olmert, premier israeliano ad interim, avrebbe offerto al presidente dell’Anp Abu Mazen il ritiro di 60.000 coloni dalla Cisgiordania. Secondo il principale quotidiano israeliano – che include nell'offerta israeliana anche la sovranità palestinese su Gerusalemme Est – Olmert avrebbe poi discusso la questione con George Mitchell, nuovo inviato di Barack Obama in Medio Oriente. La notizia irrompe negli ultimi giorni di campagna elettorale: a guidare i sondaggi è il leader del Likud Benjamin Netanyahu, fortemente contrario alle concessioni territoriali ipotizzate dall’attuale premier.

La notizia dell’offerta di Olmert è arrivata in contemporanea con la visita in Israele e nei territori da parte di George Mitchell. Inviato del presidente americano Barack Obama, Mitchell avrà nei prossimi anni – insieme al segretario di Stato Hillary Clinton – un ruolo fondamentale nel processo di pace tra israeliani e palestinesi: già mediatore della Walt Disney in una disputa legale, a livello politico Mitchell ha avuto un ruolo di primo piano nella pacificazione dell'Irlanda. La speranza di Barack Obama, che lo ha posto in una posizione tanto delicata, è che la sua proverbiale pazienza possa risollevare il dialogo tra le parti dopo l’esaurimento dello spirito di Annapolis.

Il viaggio di questi giorni – mercoledì Mitchell ha incontrato Ehud Olmert e il presidente Shimon Peres, giovedì si è recato nei territori palestinesi da Abu Mazen e Salam Fayyad – è servito a presentarsi e a conoscere le posizioni dei propri interlocutori. E proprio di fronte ai leader israeliani – che hanno ribadito la determinazione a rispondere agli attacchi di Hamas, legando il futuro della tregua allo stop del traffico delle armi nella Striscia e al rilascio di Gilad Shalit – Mitchell è venuto a conoscenza dell'offerta di Ehud Olmert al presidente dell'Anp Abu Mazen.

Secondo Yediot Ahronot, Olmert avrebbe parlato con l'inviato americano del ritiro di 60.000 coloni dalla West Bank e del passaggio di Gerusalemme Est sotto il controllo palestinese; i luoghi santi, nei piani di Olmert, dovrebbero essere posti sotto il controllo internazionale. Sul fronte dei rifugiati del 1948, invece, resta la contrarietà israeliana al loro ritorno nello Stato ebraico. Yediot Ahronot conclude affermando che sarebbero stati Abbas e il negoziatore palestinese Qureia a non voler firmare tale accordo con Israle, ritenuto inaffidabile vista la prossimità delle elezioni israeliane (e dunque del cambio di leadership). Mark Regev, portavoce di Olmert, non ha confermato né smentito le rivelazioni del giornale.

La presunta offerta di Olmert giunge poi in concomitanza con i richiami del movimento “Pace Adesso”, attento alla questione degli insediamenti sin dagli anni Settanta. In un rapporto di fresca pubblicazione, l'associazione accusa il governo Olmert di aver esteso le colonie israeliane in Cisgiordania: secondo il segretario del movimento, Yariv Oppenheimer, “il governo uscente Kadima-Olmert rappresenta una grande delusione per quanto concerne il congelamento dei progetti edili in Cisgiordania”. Secondo i coloni, però, i dati forniti da Pace Adesso sono imprecisi: l'idea è quella di rispondere quanto prima con un contro-documento destinato proprio all'inviato Mitchell. La tesi sostenuta dai residenti è che il ritiro dal West Bank “consentirebbe a Hamas di sparare razzi su tutti i principali centri urbani di Israele”, esattamente come è avvenuto in seguito al ritiro da Gaza.

La questione degli insediamenti israeliani, del resto, è da anni al centro del conflitto israelo-palestinese. Le sue radici affondano nel 1967: con la Guerra dei Sei Giorni, Israele conquista i territori della West Bank, Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, il Sinai e le alture del Golan. La questione dei Territori palestinesi entra allora nel vivo del dibattito: che fare? Amministrare temporaneamente questi territori? Occuparli? Annetterli? Dalla fine degli anni Settanta, sotto il governo Begin, il numero degli insediamenti cresce e nascono i primi centri urbani. Tra espansioni (in Cisgiordania) e ritiri (l'ultimo, in ordine di tempo, da Gaza), il problema degli insediamenti si è protratto sino ad oggi: la stessa Condoleezza Rice, segretario di Stato di George W. Bush e protagonista del vertice di Annapolis, ha spesso e volentieri invitato Israele a ritirare i coloni dalla Cisgiordania per andare incontro alle legittime richieste dell'Autorità Nazionale Palestinese. Sulla stessa posizione, afferma chi lo conosce bene, si collocherà anche l'inviato di Obama George Mitchell.

Ad affrontare seriamente la questione degli insediamenti e dei futuri trattati di pace, però, non sarà il premier Olmert: dal 10 febbraio, la pratica passerà infatti nelle mani del suo successore. I progetti di Olmert – indicativi di quella che potrebbe essere la posizione di Kadima, anche se difficilmente potrà permettersi simili aperture in campagna elettorale – valgono dunque fino a un certo punto: tutto dipenderà da chi governerà gli israeliani nei prossimi anni. In caso di vittoria della Livni – anche se in queste settimane sta cercando di mostrarsi più dura di quanto sia stata in passato – è probabile che il ritiro (e la spinosa questione di Gerusalemme Est) vengano presi seriamente presi in considerazione. In caso di vittoria del Likud, però, difficilmente Israele si mostrerebbe così disponibile.

Il leader del Likud, Benjamin Netanyahu – che guida i sondaggi, rafforzato dal mancato completamento dell'offensiva di Gaza – è sempre stato molto chiaro: ritirarsi non è la soluzione e Gerusalemme Est non sarà mai sotto controllo palestinese. La sua idea, rafforzata dalla presa del potere di Hamas nella Striscia, è che ritirare i coloni rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza dei cittadini israeliani: come è stato per Gaza, infatti, altri territori potrebbero diventare roccaforti di Hamas e dei suoi razzi. L'equazione terra in cambio di pace, sotto un governo Netanyahu, sarebbe dunque di più difficile attuazione. A meno che, come sostengono alcuni politici e osservatori israeliani, l'amministrazione Obama – unita all'Autorità Palestinese di Abu Mazen – non metta il Likud con le spalle al muro: concessioni territoriali o isolamento diplomatico. Scenari, al momento, ancora prematuri.

L'Occidentale