Dopo aver discusso con il segretario di Stato americano Hillary Clinton del futuro e della ricostruzione della Palestina, sabato 7 marzo il premier palestinese Salam Fayyad ha rassegnato a sorpresa le proprie dimissioni. La scelta di Fayyad – non ancora definitiva – rappresenterebbe un incentivo alle trattative in corso tra Fatah e Hamas per giungere ad un governo di unità nazionale. A spingere il premier in questa direzione, però, sarebbero anche profonde divergenze politiche ed economiche tutte interne a Fatah e all’Anp di Abu Mazen.
In una nota stesa a giustificazione della propria decisione, il premier ha spiegato che “abbiamo fatto del nostro meglio per sventare la crisi economica e il caos di sicurezza che abbiamo trovato nel 2007”, auspicando la formazione di un nuovo esecutivo entro la fine di marzo. Compito del nuovo governo, secondo Fayyad, sarà quello di garantire le condizioni politiche per la formazione di uno Stato palestinese indipendente, capace di riunire Hamas e Fatah sotto un’unica bandiera. Il governo di Fayyad – insediatosi a Ramallah nel giugno 2007, in seguito alla presa di Gaza da parte di Hamas – è visto infatti da più parti come l’emblema della spaccatura tra i due principali partiti palestinesi.
Nella Striscia di Gaza – galvanizzata ieri da un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research che vede Hamas in netta crescita di consenso – la notizia delle dimissioni di Fayyad è stata salutata con soddisfazione. Secondo Fawzi Barhum, portavoce di Hamas, “Fayyad era a capo di un governo illegale, era prevedibile che un giorno si sarebbe fatto da parte”. Dai giorni della guerra fratricida nella Striscia di Gaza, infatti, il deposto Ismail Haniyeh ha sempre definito Fayyad un premier illegittimo sostenuto da Stati Uniti e Israele. La resa del premier di Fatah, secondo quanto dichiarato da alcuni esponenti “pragmatici” di Hamas, potrebbe favorire le complesse trattative del Cairo volte alla ricerca di un governo condiviso tanto per la Striscia quanto per la Cisgiordania.
L’annuncio del premier palestinese ha colto di sorpresa i principali attori dello scenario internazionale. Pochi giorni prima, infatti, Fayyad – da anni apprezzato gestore dei fondi versati all’Anp – si era intrattenuto a lungo con Hillary Clinton per pianificare progetti di ricostruzione in seguito all’operazione militare israeliana a Gaza: se le sue dimissioni venissero confermate, molti degli accordi siglati con i Paesi donatori potrebbero saltare. Posto poi che la “testa” di Fayyad sia davvero una carta fondamentale sul tavolo dei negoziati egiziani, restano comunque molti dubbi sulla reale efficacia dell’operazione. Se nello scenario prospettato da Fatah le dimissioni del premier dovrebbero portare ad un ammorbidimento di Hamas, le posizioni dei due partiti restano infatti molto lontane. Ecco perché, secondo alcuni osservatori, dietro alla scelta di Fayyad ci sarebbero anche delle divergenze tutte interne a Fatah e all’Anp.
Sul piano formale, Abu Mazen ha chiesto a Fayyad di sospendere la propria decisione fino a che il nuovo governo di unità nazionale non sarà pronto ad entrare in carica: fonti vicine ad Abbas, però, lasciano intendere che difficilmente Fayyad resterà al suo posto oltre la fine di marzo. Dalla Striscia di Gaza, intanto, Hamas nega che le dimissioni del premier di Fatah siano legate ai negoziati del Cairo: secondo i militanti di Haniyeh, infatti, Fayyad si sarebbe dimesso per problemi di corruzione e dispute finanziarie con l’Anp di Abu Mazen. Sulla stessa linea, paradossalmente, si collocano anche alcune fonti interne a Fatah; non essendo ancora entrati nel vivo i colloqui del Cairo, le motivazioni che hanno spinto Fayyad in questa direzione andrebbero ricercate altrove.
Una possibile lettura dello scenario in atto l’ha fornita Ehud Ya’ari, commentatore di punta della tv israeliana Channel 2. Secondo Ya’ari, le dimissioni di Fayyad rientrerebbero in un piano costruito dallo stesso premier in accordo con Abu Mazen: nel caso in cui i colloqui egiziani portassero ad un’intesa per un governo unitario, Fayyad potrebbe ripresentarsi a testa alta per guidare un esecutivo “tecnico”. Questa interpretazione, certamente plausibile, non tiene conto però dello stato dei rapporti tra Abbas e Fayyad. Più che di complotto, secondo altri analisti, le dimissioni del premier rappresenterebbero una vera e propria rottura interna al partito di maggioranza in Cisgiordania.
All’origine dello scontro tra il presidente dell’Anp e il premier dimissionario, secondo alcune fonti, vi sarebbero prima di tutto delle motivazioni economiche. Fayyad e Abu Mazen, infatti, rappresentano diversi gruppi economici attivi nel West Bank. Se il premier è sostenuto dalle generazioni più giovani residenti in Cisgiordania (riunite nella compagnia governativa Palestinian Investement Fund), Abbas rappresenta invece la vecchia generazione dei fondatori di Fatah e dell’Olp, vicini alla Consolidated Constructors (appartenente alla famiglia Khuri, di stanza ad Atene). Recentemente, le due organizzazioni economiche si sarebbero scontrate per il controllo di alcune compagnie: da qui, dunque, deriverebbero anche gli scontri tra Fayyad e Abbas sul piano politico.
In seguito agli scontri tra le due fazioni interne alla Cisgiordania, il comitato centrale di Fatah avrebbe spinto Fayyad alle dimissioni: il governo del premier dimissionario, infatti, non rappresenta gli interessi della vecchia guardia del partito. Lontani da un accordo su molti dei temi in discussione al Cairo, Fatah e Hamas sarebbero dunque uniti nel chiedere un cambio al vertice del governo – per motivi economici da un lato, per motivi politici dall’altro. Ad esasperare le tensioni nel West Bank, infine, sono intervenuti poi gli scontri tra le Brigate di al-Aqsa (lo storico braccio armato di Fatah) e le nuove milizie filo-Fayyad, utilizzate per sedare manifestazioni di protesta contro Israele. Un motivo in più per delegittimare il governo Fayyad, considerato troppo filo-israeliano tanto da Hamas quanto dalle frange più dure di Fatah.
Al di là delle motivazioni che hanno spinto Fayyad a rassegnare le proprie dimissioni, l’attenzione della comunità internazionale è volta ora agli eventi futuri. Nel corso del recente summit di Sharm El Sheikh, il premier dimissionario è stato un importante mediatore tra i palestinesi e i Paesi donatori per la ricostruzione di Gaza: se davvero Fayyad rinunciasse all’incarico, che ne sarà dei fondi raccolti? Ma ad essere in pericolo, in ultima analisi, è anche il futuro dell’Autorità Palestinese: un (probabile) fallimento delle trattative tra Fatah e Hamas sarebbe infatti seguito da un crollo delle donazioni da parte degli altri Paesi, lasciando Hamas nella Striscia e un Fatah sempre più fragile in Cisgiordania. Un problema che l’amministrazione Obama – molto attenta quando si tratta di richiamare Israele sul tema degli avamposti illegali – dovrà prendere seriamente in considerazione.
L'Occidentale