28 marzo 2009

Obama è pronto ad affondare il colpo in Afghanistan

“Non siamo in Afghanistan per controllare il paese o decidere del suo futuro: siamo in Afghanistan per fronteggiare un nemico comune che minaccia gli Stati Uniti d’America”. Non usa mezzi termini, Barack Obama. Nel presentare l’attesa strategia per l’Afghanistan della nuova amministrazione, il presidente richiama gli americani agli impegni presi dopo l’11 settembre 2001: cacciare i talebani dall’Afghanistan, costi quel che costi. Nuove truppe, dunque, e nuovi addestratori per l’esercito afgano: uno sforzo riportare Afghanistan (e Pakistan) alla tranquillità. E per evitare un nuovo grande attentato su cui, secondo l’intelligence, al-Qaeda continuerebbe a lavorare indisturbata.

Il piano strategico sull’Afghanistan illustrato dal presidente parte da un semplice presupposto: “La situazione è sempre più pericolosa. Sono passati più di sette anni dalla cacciata dei talebani, ma la guerra continua e gli insorti controllano parti dell’Afghanistan e del Pakistan”. Sotto minaccia, però, non sono solo le truppe sul campo. Nel passaggio cruciale del suo discorso, infatti, Obama ha delineato uno scenario che riporta dritti all’11 settembre 2001: “Diverse valutazioni da parte dell’intelligence mettono in luce come al-Qaeda, dai suoi rifugi in Pakistan, stia attivamente pianificando attentati negli Stati Uniti”. Obiettivo degli Stati Uniti, di conseguenza, sarà quello “distruggere, smantellare e sconfiggere al-Qaeda in Afghanistan e in Pakistan, e di prevenire un loro ritorno negli anni futuri”.

La strategia della nuova amministrazione Obama prevede che l’esercito americano lavori maggiormente all’addestramento delle truppe locali. Solo con un esercito afgano più grande e preparato, infatti, gli Stati Uniti potranno gradualmente pianificare una exit strategy. Sul piano numerico, l’approccio di Obama si tradurrà in 4.000 nuovi soldati adibiti all’addestramento: “Accelereremo il nostro sforzo per creare un esercito afgano con 134.000 unità e una forza di polizia con almeno 82.000 unità” ha dichiarato il presidente, “in modo da affidare sempre più la responsabilità della sicurezza alle forze locali”.

Gli Stati Uniti, però, non dimenticano le difficoltà sul campo: l’addestramento delle truppe locali, infatti, sarà affiancato da un incremento della lotta ai talebani. E a fare scuola, in questo frangente, resta il surge iracheno guidato vittoriosamente dal generale Petraeus: 17.000 nuovi marines “porteranno la lotta nel sud e nell’est, e ci daranno una più ampia possibilità di agire insieme alle forze di sicurezza dell’Afghanistan e dare la caccia agli insorti lungo il confine”. L’incremento delle truppe, ha continuato Obama, “servirà anche a dare più sicurezza in vista delle importanti elezioni presidenziali del prossimo agosto”.

A supporto della strategia di Obama sono giunte le rassicurazioni del generale Richard Dannatt, capo delle forze armate britanniche: secondo quanto dichiarato al “Times”, anche Londra sarebbe pronta ad incrementare le proprie truppe in Afghanistan. Dall’Italia, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha annunciato l’invio di circa 200 uomini entro giugno: “Se non c'è sicurezza, non ci possono essere né pace né un processo elettorale sicuro” ha dichiarato il ministro, “ed ecco perché l’Italia intende seriamente contribuire con un battaglione supplementare per le elezioni”. La collaborazione con i paesi alleati, nei piani di Obama, sarà fondamentale per la vittoria in Afghanistan: “Insieme alle Nazioni Unite creeremo un gruppo di contatto per l’Afghanistan e per il Pakistan” ha annunciato il presidente, “il cui scopo sarà quello di coordinare tutti coloro che hanno ruolo nella sicurezza della regione”.

In linea con quanto dichiarato nel corso della campagna elettorale, il presidente degli Stati Uniti ha dedicato ampi stralci del suo discorso al ruolo del Pakistan: “Il futuro dell’Afghanistan è inestricabilmente legato a quello del suo vicino, il Pakistan”. Il confine tra i due paesi, dove secondo l’intelligence trovano rifugio gran parte dei terroristi della regione, “è diventato per gli americani il posto più pericoloso del mondo”. Insieme alle armi, sarà dunque la diplomazia a dover garantire l’impegno pakistano nella lotta ad al-Qaeda: il presidente Asif Ali Zardari, secondo l’amministrazione americana, è troppo debole per tenere sotto controllo l’esercito e i potentissimi servizi segreti del paese. A preoccupare gli Stati Uniti, però, è anche il fragile equilibrio interno ad Islamabad: a Jamrud, questa mattina, un kamikaze si è fatto esplodere all’interno della moschea. Bilancio: almeno 70 morti, e l’ennesima prova di forza del terrorismo all’interno dei confini pakistani.

Almeno a parole, però, Islamabad sembra aver ben recepito il messaggio di Obama. Intervistato dalla Reuters, il ministro degli Esteri pakistano Shah Mehmood Qureshi ha dichiarato che “la strategia della nuova amministrazione Obama è molto positiva, in quanto guarda ad un approccio regionale alla situazione afgana”. “Il Pakistan vorrà giocare un ruolo attivo e costruttivo, perché la nostra sicurezza è legata a quella dell’Afghanistan” ha concluso il ministro: parole già sentite in passato, ma mai seguite da una reale messa in pratica. Parole di apprezzamento sono giunte anche dall’ambasciatore pakistano negli Stati Uniti: secondo Husain Haqqani, “il Pakistan trova estremamente positivo che l’amministrazione Obama voglia riesaminare la sua politica nei confronti della nostra regione”.

Dall’Afghanistan, intanto, giungono pareri divergenti. Per Nasrullah Stanakzai, analista e professore di scienze politiche, “l’idea di rafforzare la polizia e l’esercito è molto positiva”: “Dopo sette anni, gli Stati Uniti hanno riconosciuto che l’Afghanistan non è la base del terrorismo”. Secondo Shukria Barakzai, membro del parlamento, aumentare le truppe servirà invece a poco: gli Stati Uniti dovrebbero focalizzarsi piuttosto sugli aiuti umanitari. Se la strategia avrà successo, si vedrà solo nei prossimi mesi. Per dirla con Ike Skelton, “non ci sono garanzie di successo con questa strategia: ma non avere una strategia, come non l’abbiamo avuta negli ultimi otto anni, è certamente una garanzia di insuccesso”.

L'Occidentale