La notizia è datata: in seguito ad alcune dichiarazioni di Teheran sul Bahrain – arcipelago del Golfo definito “provincia iraniana” da un consigliere dell’Ayatollah Khamenei – il Marocco ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche con l’Iran. Nelle ultime settimane, però, la protesta è montata e ad alzare la voce contro la Repubblica iraniana sono ormai tutti gli Stati arabi moderati, dall’Egitto all’Arabia Saudita. Dietro a quella che potrebbe sembrare una piccola crisi diplomatica, si intravede invece uno scontro tra due diverse posizioni politiche e religiose: da un lato l’Iran, che cerca di estendere la propria influenza oltre i confini per mezzo della conversione allo sciismo, dall’altro gli Stati arabi moderati, alleati degli Stati Uniti e sempre più preoccupati dalla crescente potenza degli Ayatollah.
Il casus belli ci rimanda allo scorso 11 febbraio, mentre in Iran si festeggia il trentesimo anniversario della Rivoluzione islamica. Nell’ambito delle celebrazioni, Ali Akbar Nateq-Nouri – ex presidente del parlamento e consulente dell’Ayatollah Khamenei – definisce il Bahrain una “provincia dell’Iran” che nel 1971, e solo a causa della sua debolezza, lo Scià rinunciò ad inglobare nella futura Repubblica islamica dell’Iran. A rincarare la dose ci ha pensato poi il parlamentare Darioush Ghanbari, secondo il quale – in caso di referendum – gli abitanti del Bahrain (di cui gli sciiti, dominati dalla monarchia sunnita, rappresentano la maggioranza) voterebbero oggi a favore dell’annessione a Teheran.
All’interno del mondo islamico, le proteste sono immediate. Il Bahrain – piccolo emirato del Golfo Persico al centro della querelle diplomatica – ha interrotto gli scambi di gas con Teheran e vietato alle navi iraniane di navigare le sue acque territoriali. Arabia Saudita ed Emirati Arabi si sono affrettati a condannare le affermazioni di Teheran, esprimendo solidarietà al Bahrain e al suo Re Hamad bin Isa Al Khalifa. Il presidente egiziano Mubarak e il Re di Giordania Abdallah, invece, si sono recati di persona a Manama, capitale del Bahrain, per esprimere la propria vicinanza alla popolazione.
La reazione più dura, però, è quella del Marocco. Re Mohammad VI – che, in quanto discendente diretto del Profeta, vanta anche i titoli di difensore della fede e comandante dei credenti – prende carta e penna e scrive direttamente al suo omologo del Bahrein per stigmatizzare quei “commenti assurdi e in contrasto con principi e norme della legge internazionale, oltre che con i valori di coesistenza pacifica e buon vicinato propri della nostra tollerante religione islamica”. Pochi giorni dopo, la decisione definitiva: il Marocco rompe le relazioni diplomatiche dell’Iran. Allo sdegno per le dichiarazioni di Teheran sul Bahrain – immediatamente ridimensionate dai diplomatici iraniani – il ministro degli Esteri di Rabat aggiunge l’accusa di voler convertire allo sciismo la popolazione marocchina.
Ma non è tutto: alle dichiarazioni di principio, il Marocco fa presto seguire azioni più concrete. Nel mese di marzo, infatti, Rabat ha dato il via ad una campagna contro omosessuali e sciiti, accusati di minacciare i principi e i valori del regno sunnita. La notizia ha colpito molteplici associazioni umanitarie: il giro di vite, infatti, proviene da un paese noto per una certa tolleranza ed apertura all’interno del mondo islamico. Diverse persone, secondo l’agenzia France Presse, sarebbero già state arrestate nei quartieri poveri delle città settentrionali: e l’accusa è proprio quella di “conversione all’Islam sciita”.
È a questo punto che gli analisti hanno iniziato a porsi qualche domanda. Come è possibile, viene da chiedersi, che una delle tante “sparate” di Teheran (e neppure delle più gravi) abbia potuto generare una simili proteste e crisi diplomatiche? Una cosa è certa: le dichiarazioni iraniane sul Bahrain sono state prese come un pretesto per dare sfogo a problematiche più generali e profonde. Tariq Khaitus – studioso del Washington Institute for Near East Studies, intervistato dal “Corriere della Sera” – sottolinea del resto come “sin dal 1971 l’Iran faccia simili affermazioni”, ma questo “non vuol dire che cercherà di annettere il Bahrain: usa questo tema per provocare e intimidire gli Stati della regione, in particolare quelli del Consiglio della Cooperazione del Golfo, l’Egitto e la Giordania, cioè gli alleati degli Usa”.
Dietro a una crisi diplomatica circoscritta, insomma, si intravedono problematiche molto più vaste (e gravi), di carattere religioso e politico. E i due fattori sono strettamente collegati: è attraverso la conversione allo sciismo, infatti, che l’Iran cercherebbe di destabilizzare gli Stati moderati. E se il ministro degli Esteri saudita chiama a raccolta gli Stati arabi per “fronteggiare la sfida iraniana”, la situazione è chiara: a fronte di Teheran (in corsa per la bomba atomica e finanziatore di organizzazioni militari estere come Hezbollah e Hamas) che cerca di estendere la propria influenza agli Stati sunniti, questi paesi – dall’Egitto alla Giordania, dall’Arabia Saudita allo stesso Barhain – alzano la voce e denunciano le mire espansionistiche della Repubblica iraniana.
Quando poi Tariq Khaitus ci ricorda che questi Stati sono alleati dell’America (lo stesso Barhain, ottenuta l’indipendenza, ha concesso una base militare a Washington), ci mostra chiaramente l’altra faccia del problema. Non è un caso, infatti, che la protesta contro Teheran sia montata parallelamente all’apertura dell’amministrazione Obama nei confronti dell’Iran. Se George W. Bush – aspramente criticato per la guerra in Iraq – ha sempre rappresentato (per parte del mondo islamico) un punto di riferimento contro le mire espansionistiche di Khamenei ed Ahmadinejad, Obama e la Clinton sembrano aver implicitamente riconosciuto l’egemonia di Teheran nella regione. Ma a vedere l’Iran come una grandissima minaccia non è solo Israele: sulla stessa linea si collocano paesi – su tutti Egitto ed Arabia Saudita - che negli ultimi anni hanno visto declinare la propria potenza, a fronte dei progressi iraniani. Troppe concessioni all’Iran, dunque, potrebbero finire per minare preziosi rapporti tra Stati Uniti e i paesi islamici moderati.
Il casus belli ci rimanda allo scorso 11 febbraio, mentre in Iran si festeggia il trentesimo anniversario della Rivoluzione islamica. Nell’ambito delle celebrazioni, Ali Akbar Nateq-Nouri – ex presidente del parlamento e consulente dell’Ayatollah Khamenei – definisce il Bahrain una “provincia dell’Iran” che nel 1971, e solo a causa della sua debolezza, lo Scià rinunciò ad inglobare nella futura Repubblica islamica dell’Iran. A rincarare la dose ci ha pensato poi il parlamentare Darioush Ghanbari, secondo il quale – in caso di referendum – gli abitanti del Bahrain (di cui gli sciiti, dominati dalla monarchia sunnita, rappresentano la maggioranza) voterebbero oggi a favore dell’annessione a Teheran.
All’interno del mondo islamico, le proteste sono immediate. Il Bahrain – piccolo emirato del Golfo Persico al centro della querelle diplomatica – ha interrotto gli scambi di gas con Teheran e vietato alle navi iraniane di navigare le sue acque territoriali. Arabia Saudita ed Emirati Arabi si sono affrettati a condannare le affermazioni di Teheran, esprimendo solidarietà al Bahrain e al suo Re Hamad bin Isa Al Khalifa. Il presidente egiziano Mubarak e il Re di Giordania Abdallah, invece, si sono recati di persona a Manama, capitale del Bahrain, per esprimere la propria vicinanza alla popolazione.
La reazione più dura, però, è quella del Marocco. Re Mohammad VI – che, in quanto discendente diretto del Profeta, vanta anche i titoli di difensore della fede e comandante dei credenti – prende carta e penna e scrive direttamente al suo omologo del Bahrein per stigmatizzare quei “commenti assurdi e in contrasto con principi e norme della legge internazionale, oltre che con i valori di coesistenza pacifica e buon vicinato propri della nostra tollerante religione islamica”. Pochi giorni dopo, la decisione definitiva: il Marocco rompe le relazioni diplomatiche dell’Iran. Allo sdegno per le dichiarazioni di Teheran sul Bahrain – immediatamente ridimensionate dai diplomatici iraniani – il ministro degli Esteri di Rabat aggiunge l’accusa di voler convertire allo sciismo la popolazione marocchina.
Ma non è tutto: alle dichiarazioni di principio, il Marocco fa presto seguire azioni più concrete. Nel mese di marzo, infatti, Rabat ha dato il via ad una campagna contro omosessuali e sciiti, accusati di minacciare i principi e i valori del regno sunnita. La notizia ha colpito molteplici associazioni umanitarie: il giro di vite, infatti, proviene da un paese noto per una certa tolleranza ed apertura all’interno del mondo islamico. Diverse persone, secondo l’agenzia France Presse, sarebbero già state arrestate nei quartieri poveri delle città settentrionali: e l’accusa è proprio quella di “conversione all’Islam sciita”.
È a questo punto che gli analisti hanno iniziato a porsi qualche domanda. Come è possibile, viene da chiedersi, che una delle tante “sparate” di Teheran (e neppure delle più gravi) abbia potuto generare una simili proteste e crisi diplomatiche? Una cosa è certa: le dichiarazioni iraniane sul Bahrain sono state prese come un pretesto per dare sfogo a problematiche più generali e profonde. Tariq Khaitus – studioso del Washington Institute for Near East Studies, intervistato dal “Corriere della Sera” – sottolinea del resto come “sin dal 1971 l’Iran faccia simili affermazioni”, ma questo “non vuol dire che cercherà di annettere il Bahrain: usa questo tema per provocare e intimidire gli Stati della regione, in particolare quelli del Consiglio della Cooperazione del Golfo, l’Egitto e la Giordania, cioè gli alleati degli Usa”.
Dietro a una crisi diplomatica circoscritta, insomma, si intravedono problematiche molto più vaste (e gravi), di carattere religioso e politico. E i due fattori sono strettamente collegati: è attraverso la conversione allo sciismo, infatti, che l’Iran cercherebbe di destabilizzare gli Stati moderati. E se il ministro degli Esteri saudita chiama a raccolta gli Stati arabi per “fronteggiare la sfida iraniana”, la situazione è chiara: a fronte di Teheran (in corsa per la bomba atomica e finanziatore di organizzazioni militari estere come Hezbollah e Hamas) che cerca di estendere la propria influenza agli Stati sunniti, questi paesi – dall’Egitto alla Giordania, dall’Arabia Saudita allo stesso Barhain – alzano la voce e denunciano le mire espansionistiche della Repubblica iraniana.
Quando poi Tariq Khaitus ci ricorda che questi Stati sono alleati dell’America (lo stesso Barhain, ottenuta l’indipendenza, ha concesso una base militare a Washington), ci mostra chiaramente l’altra faccia del problema. Non è un caso, infatti, che la protesta contro Teheran sia montata parallelamente all’apertura dell’amministrazione Obama nei confronti dell’Iran. Se George W. Bush – aspramente criticato per la guerra in Iraq – ha sempre rappresentato (per parte del mondo islamico) un punto di riferimento contro le mire espansionistiche di Khamenei ed Ahmadinejad, Obama e la Clinton sembrano aver implicitamente riconosciuto l’egemonia di Teheran nella regione. Ma a vedere l’Iran come una grandissima minaccia non è solo Israele: sulla stessa linea si collocano paesi – su tutti Egitto ed Arabia Saudita - che negli ultimi anni hanno visto declinare la propria potenza, a fronte dei progressi iraniani. Troppe concessioni all’Iran, dunque, potrebbero finire per minare preziosi rapporti tra Stati Uniti e i paesi islamici moderati.
L'Occidentale