Cominciamo dall’eccezione che conferma la regola. Obama non aveva teso la mano alla Corea del Nord. La cupa dittatura di Pyongyang ha allora bussato alla porta della Casa Bianca con il lancio di un nuovo missile, e, visto il modesto esito dell’impresa, ieri ha sollecitato l’attenzione del Presidente Usa riaprendo il contenzioso nucleare e dando un calcio al tavolo dei negoziati. Domanda: si sarebbero comportati allo stesso modo, i nordcoreani, se non avessero calcolato che Obama deve difendere la coerenza della sua politica del sorriso?
L’America di Obama ha fatto del conflitto afghano la sua priorità. Entro pochi mesi arriveranno sul terreno 21 mila nuovi soldati Usa. Il rafforzamento dello strumento militare, nella strategia di Obama, è funzionale alla distruzione di Al Qaeda e in contemporanea alla individuazione di una pragmatica exit strategy. Per facilitare le cose si è pensato di tendere la mano ai talebani «moderati » cercando di dividerli da quelli più intransigenti. L’idea non è inedita, il generale Petraeus l’ha collaudata in Iraq con i sunniti, e in Afghanistan come altrove è giusto parlare con tutti a cominciare dai nemici (in modo diretto o indiretto lo fanno, appunto, tutti). Peccato che l’Afghanistan non sia l’Iraq, e che i talebani non siano le venali bande sunnite della provincia di Anbar. Peccato che per le forze occidentali la guerra butti male. Peccato che i talebani non abbiano incentivi al dialogo (semmai l’incentivo sta dalla parte del traffico di oppio). Il piano del bastone e della carota, insomma, rischia di cadere nel vuoto. E nel frattempo il Pakistan potrebbe andare in pezzi.
Obama ha teso la mano, soprattutto, all’Iran. Accenti di disponibilità, coinvolgimenti diplomatici, segnali non troppo invadenti in vista delle elezioni di giugno (con la speranza non dichiarata che Ahmadinejad le perda), e infine una proposta negoziale in bella forma. Teheran ha accettato. Ma nel contempo ha precisato che i programmi nucleari proseguiranno, al pari di quelli balistici. E nulla ha detto delle sue influenze armate in Medio Oriente. Il rischio è ovvio: che l’Iran incassi le concessioni promesse ma non dia nulla in cambio. Secondo il New York Times gli Usa e l’Europa potrebbero trattare con Teheran senza più esigere la preventiva sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Sarebbe una scommessa ulteriore. Forse capace di mandare in archivio l’opzione militare, forse vincente malgrado gli scontati e fondati timori di Israele, forse in grado di orientare favorevolmente l’esito elettorale. Forse. Ma se la scommessa invece non funzionasse? Obama rischia di trovarsi alla fine senza più opzioni salvo quella militare che voleva seppellire.
(C) Corriere della Sera