28 maggio 2009

Obama incontra Abu Mazen ma in Palestina non è cambiato niente

Dieci giorni dopo il meeting con il premier israeliano Netanyahu, Barack Obama oggi incontra a Washington il presidente dell’Anp Abu Mazen. I colloqui con le controparti israeliana e palestinese sono finalizzati alla pianificazione di un nuovo progetto di pace per il Medio Oriente: fondamentale, in questo senso, risulta anche la collaborazione di Giordania ed Egitto. Dietro alla stretta di mano tra Obama ed Abbas, però, si scorgono due questioni importanti: la costituzione del nuovo governo Fayyad, recentemente insediatosi nel West Bank, e le preoccupazioni per l’utilizzo dei finanziamenti occidentali da parte dell’Anp.

Complice la distanza emersa tra Obama e Netanyahu nel corso del vertice di Washington, Abu Mazen nutre diverse speranze dall’incontro odierno. “Ci sono molti temi che dobbiamo discutere con Obama riguardo al processo di pace – ha dichiarato il presidente dell’Anp – inclusi il blocco degli insediamenti e l’accettazione da parte israeliana della soluzione di due popoli per due Stati”: i due temi, non a caso, su cui si sono registrate le maggiori divergenze tra Washington e Tel Aviv. “La riuscita di un qualsiasi piano” ha continuato Abbas “dipende dalla capacità di Obama di mettere le cose sul binario giusto”. Il progetto di Abu Mazen è quello di portare Obama sulle posizioni dell’Anp: solo il Presidente infatti, per dirla con il capo negoziatore palestinese Erekat, “ha il potere di obbligare Israele ad accettare i due Stati, segnando così un punto di svolta nella regione”.

L’occasione, per l’Anp, è ghiotta. Con le dimissioni del premier israeliano Olmert e la scadenza del mandato Bush, Abu Mazen sa di avere a Washington un presidente molto più vicino alle sue posizioni che a quelle dell’attuale premier israeliano: sulla carta, il piano di pace dell’amministrazione Obama coincide infatti con quello dell’Anp (congelamento degli insediamenti, due Stati, Gerusalemme capitale condivisa). A rafforzare Abu Mazen, poi, contribuiscono le recenti prese di posizione da parte di Netanyahu: via libera alla “naturale espansione” degli insediamenti già presenti nel West Bank e Gerusalemme “indivisibile”. A pesare sulle posizioni dei palestinesi, però, resta Hamas: esclusa dal nuovo governo Fayyad (di cui non riconosce la legittimità), l’organizzazione ha fatto sapere di “non aspettarsi nulla da questo incontro se non ulteriori pressioni statunitensi perché Abbas faccia nuove concessioni all’entità israeliana”.

Al di là del conflitto israelo-palestinese, per l’Anp gran parte dei problemi vengono proprio dalle divisioni tra Fatah e Hamas: sotto questa luce va letto l’insediamento del nuovo governo palestinese in Cisgiordania. In carica dal 19 maggio, l’esecutivo è il risultato più tangibile del fallimento dei negoziati di Sharm per giungere ad una ricomposizione politica tra West Bank e Striscia di Gaza. Alla guida del governo, infatti, figura ancora una volta Salam Fayyad, dimessosi il 7 marzo proprio per favorire una sempre più improbabile ricomposizione delle due anime palestinesi. Ai fini dell’incontro con Obama, per Abu Mazen la formazione di un nuovo governo era fondamentale: l’imbarazzante alternativa sarebbe stata quella di presentarsi a Washington chiedendo due Stati, ma senza un governo nello stesso West Bank.

Il nuovo governo Fayyad – definito dallo stesso premier “ad interim” – nasce all’insegna della precarietà. Fayyad si è posto tre obiettivi: contrastare gli insediamenti israeliani nel West Bank, favorire la ricostruzione di Gaza ed evitare lo scoppio di una nuova Intifada legata alla “giudaizzazione” di Gerusalemme. Ma gli stessi motivi che hanno portato alla fondazione del governo rendono questi piani di difficile attuazione: l’esecutivo Fayyad, infatti, non è solo il risultato del fallimento dei negoziati con Hamas, ma anche di una crisi tutta interna a Fatah – che vede una preminenza delle nuove leve a dispetto dei vecchi leader fondatori. I giovani scelti, però, non garantiscono affatto un maggior gradimento da parte dell’opinione pubblica: oltre alla vecchia guardia del partito, allora, al nuovo governo Fayyad potrebbe presto voltare le spalle anche l’opinione pubblica.

Tra i personaggi della nuova generazione politica spiccano inoltre nomi vicini a Muhammad Dahlan: vecchio leader di Fatah e protagonista della prima Intifada, Dahlan avrebbe successivamente condotto trattative segrete con Israele in vista degli accordi di Oslo del 1993 e di Camp David del 2000. Vicino all’alto funzionario di Fatah risulta in particolare Basem Khuri, la cui famiglia possiede l’immensa impresa edile CCC (Consolidated Constructors Co.). Questa scelta, secondo alcune ricostruzioni, potrebbe causare frizioni con Hamas: i miliziani di Gaza, infatti, paventano un conflitto di interessi tra la ricostruzione della Striscia e la presenza di Khuri (e dunque della CCC) nel governo. I passati rapporti tra Dahlan e la leadership israeliana, poi, non fanno che complicare il quadro dei sospetti.

L’incontro odierno tra Abu Mazen e Obama pone infine problemi sul fronte degli aiuti finanziari occidentali (ed in particolar modo statunitensi) all’Anp. A sollevare la questione, sul quotidiano israeliano conservatore “Jerusalem Post”, sono i due alti membri del “Palestinian Media Watch” Itamar Marcus e Barbara Crook, in un editoriale dal titolo “L’America seguirà le sue leggi e smetterà di finanziare Abbas?”. La questione non è nuova: da anni, infatti, molti analisti israeliani e americani si pongono il problema del reale utilizzo dei (generosi) fondi da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese. Venendo ad oggi, mentre Abbas visita Washington giudici statunitensi stanno dibattendo intorno al progetto di una nuova donazione all’Anp che dovrebbe aggirarsi intorno ai 900 milioni di dollari.

Marcus e la Crook vengono subito al punto: “Ancora una volta, l’Anp sta usando i suoi soldi per proclamare che l’uccisione di donne e bambini israeliani è un atto eroico”. Il riferimento specifico è alla dedica di un centro informatico alla memoria della militante Dalal Mughrabi, “che ha guidato l’attacco terroristico più sanguinoso della storia d’Israele”: il dirottamento di un bus nel 1978, infatti, provocò la morte di 37 civili, tra cui almeno 10 bambini. Alla stessa donna, l’Anp ha dedicato in passato anche una scuola femminile ad Hebron, campi estivi e corsi militari. Ma il punto della questione, secondo gli autori, è che “la legge americana proibisce il finanziamento di strutture palestinesi che usano parte del loro budget per promuovere il terrorismo ed onorare i terroristi”. Quella delle “onorificenze a terroristi che hanno ucciso in particolare bambini” è una questione annosa: ma vista l’urgenza degli altri temi sul tavolo mediorientale, difficilmente verrà trattata da Obama con la dovuta attenzione.

L'Occidentale

Vedi anche le analisi di "Haaretz" e "Jerusalem Post"