27 luglio 2009

Giampaolo Pansa: "Il revisionista"

“Revisionismo”, secondo il dizionario De Mauro, è un “orientamento storiografico o ideologico tendente a reinterpretare gli eventi di un periodo storico invalidando tesi e notizie consolidate”. “Revisionista”, allora, è colui che studia e rilegge gli eventi storici sotto una luce diversa, inedita . “Il revisionista” (Rizzoli, 2009) è poi il titolo dell’ultima fatica di Giampaolo Pansa, peso massimo del giornalismo italiano in forza al quotidiano di Antonio Polito, “Il Riformista”, al quale è approdato dopo aver lavorato a “la Repubblica” e “L’Espresso”.

Dopo anni di studi sulle pagine più drammatiche della Resistenza italiana, Pansa si ferma a riprendere fiato: “Il revisionista”, autobiografia professionale ed umana, è un avvincente racconto del proprio passato, dall’infanzia agli studi universitari, dai primi passi nel mondo del giornalismo alla rottura definitiva con il gruppo editoriale di De Benedetti. Una storia, quella di Pansa, che è anche lo specchio dell’Italia del Dopoguerra: il giornalismo, infatti, porta l’autore a scontrarsi con gli eventi che hanno fatto la storia recente del nostro Paese.

Dopo l’indispensabile “I conti con me stesso” – raccolta postuma dei diari di Indro Montanelli – “Il revisionista” è senza dubbio la più preziosa testimonianza giornalistica pubblicata in questo 2009. Giampaolo Pansa fonde le armi della storia con gli strumenti della narrativa, mettendo insieme cinquecento pagine che si lasciano leggere con la stessa passione con cui sono state scritte. Una passione che traspare da ogni riga, soprattutto nelle pagine dedicate all’infanzia a Casale Monferrato in compagnia di personaggi memorabili (su tutti, la nonna Caterina Zaffiro).

Fondamentale per storici e giornalisti è invece la parte del volume dedicata al revisionismo: “Essere revisionista” scrive Pansa “vuol dire cercare la verità su un’epoca della storia, nel mio caso la guerra civile italiana fra il 1943 e 1948”, un “campo minato dai divieti di tanti parrucconi rossi”. Per chi non avesse letto nulla delle sue opere precedenti (“Il sangue dei vinti”, la sua opera più celebre, è datata 2003), “Il revisionista” si presta anche come ottimo compendio: Pansa ricorda il suo lavoro e i suoi libri, insieme agli anatemi lanciati da accademici, politici e giornalisti provenienti dalla “scuola” dei Partito Comunista Italiano.

Ma parallelamente alla storia del Pansa revisionista, nel libro scorre anche la storia dell’Italia. Ci sono pagine importanti dedicate al commissario Calabresi, e al vergognoso manifesto firmato dal meglio dell’intellighenzia italiana: intervistato dall’autore poco prima dell’omicidio, il commissario sembrava “una preda che sente stringersi attorno a sé la trappola preparata per dargli la morte”. Una storia terribile: molti dei firmatari del manifesto di condanna non hanno mai chiesto scusa. Giampaolo Pansa, che quel manifesto non lo firmò, arriva a scrivere: “Quello che so è che non ho difeso Calabresi come avrei dovuto. E provo vergogna di me stesso”. Una lezione umana, prima ancora che giornalistica.

L’ultima parte del volume è dedicata alla stretta attualità. Pansa riflette sulla svolta “a sinistra” di Gianfranco Fini, sugli ostacoli opposti alla realizzazione di una fiction tratta da “Il sangue dei vinti” e sui suoi rapporti con “la Repubblica” e “L’Espresso”. Dopo la vivacità intellettuale dei primi anni, sostiene l’autore, “Repubblica” è diventato un giornale prigioniero di se stesso. “L’effetto è quello del disco rotto, che ripete di continuo una sola canzone”: “Pure il lettore più distratto”, riflette Pansa, “sa in partenza che cosa leggerà l’indomani su ‘Repubblica’”. Nessuna opinione fuori dal coro: un giornale molto diverso da quello “libertino” delle origini.

“In questo libro c’è anche il mio ritratto. Un rompiscatole, un bastian contrario, uno spaccavetri. Ho tirato sassi contro i padroni postcomunisti della storia italiana. Ho provato a scrivere le pagine che loro avevano lasciato bianche. Li ho sbugiardati”. Un ritratto, un’autobiografia, un libro di storia personale e collettiva. Una splendida narrazione, anche. Chiuso il libro, però, “Il revisionista” emerge prima di tutto come una splendida lezione per gli aspiranti giornalisti: studiare, lavorare e poi “spaccare i vetri”, raccontare quello che nessuno vuole raccontare, con coraggio. Iniettando nelle pagine che scriviamo un po’ di verità e di sano revisionismo.