13 ottobre 2009

Gli Usa vogliono capire se Karzai ha vinto e salverà l'Afghanistan

Le code ai seggi, le minacce talebane, l’apparente riconferma di Hamid Karzai e le immediate accuse di brogli. Ricordate? Sono passati due mesi dalle elezioni in Afghanistan, e il mondo – Stati Uniti in testa – aspetta ancora i risultati ufficiali delle urne. Ma in attesa del responso, osservato speciale dell’amministrazione americana è anche il Pakistan: in questi due Paesi, infatti, si gioca la vera battaglia contro al Qaeda. Gli analisti, del resto, concordano: per sconfiggere il terrorismo internazionale, l’Occidente ha bisogno di un governo afgano stabile e di un crescente impegno pakistano contro le basi del terrorismo.

Partiamo dalla situazione afgana. Dopo settimane di attesa, la commissione elettorale dovrebbe annunciare nei prossimi giorni i risultati definitivi delle elezioni: sul campo, però, la polemica è forte. Kai Eide, il norvegese a capo della missione Onu nel Paese, è accusato da più parti di aver coperto numerose irregolarità emerse dai seggi. Accuse che Eide respinge al mittente: “È stato sostenuto che le frodi ammontano al 30%, ma in questa fase non c’è modo di sapere qual sia il livello dei brogli”. Secondo i primi risultati, subito contestati e oggetto d’indagine, Hamid Karzai avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta delle preferenze (54,6%); se così non fosse, l’ex presidente potrebbe andare al ballottaggio contro Abdullah Abdullah.

Cosa succederà a Kabul? Due sono le possibilità. Al termine delle indagini, la commissione Onu potrebbe stabilire che le frodi non sono state decisive: in questo caso la vittoria di Karzai verrebbe confermata. Il rischio, allora, è che i seguaci di Abdullah scendano in strada: lo sfidante ha già dichiarato che rispetterà il responso della commissione internazionale, ma non potrebbe evitare che i suoi sostenitori – sentendosi defraudati – decidano di far sentire la loro voce. Anche Atta Mohammad Noor, governatore della provincia di Balkh e sostenitore di Abdullah, prevede fermenti in caso di vittoria di Karzai, il quale ha provato a rasserenare il clima offrendo un posto nel governo al suo oppositore: la proposta, però, è stata prontamente rifiutata da Abdullah.

L’altra possibilità è che gli osservatori annullino molti dei voti attribuiti a Karzai, riportandolo sotto la soglia del 50% delle preferenze. In questo caso, gli afgani saranno richiamati alle urne per il ballottaggio tra l’ex presidente e Abdullah: secondo la legge, la nuova tornata elettorale dovrà tenersi entro due settimane dalla proclamazione ufficiale dei risultati. Le schede per un eventuale ballottaggio sarebbero già state stampate e si tornerebbe alle urne entro i primi giorni di novembre. Karzai resterebbe il candidato da battere, mentre l’Onu e le forze internazionali si troverebbero a fronteggiare il rischio di nuovi brogli e le reiterate minacce di attentati talebani contro i seggi.

Qualunque sia il risultato delle veifiche in atto – riconferma di Karzai o ballottaggio –l’Afghanistan resta un Paese sotto stretta osservanza. Gli Stati Uniti, infatti, premono perché Kabul possa avere al più presto un governo stabile: il segretario di Stato Hillary Clinton, intervistato dalla BBC, ha chiesto al futuro presidente di impegnarsi maggiormente nella cooperazione e nella lotta al terrorismo. Dopo aver esitato di fronte alla richiesta di un giudizio su Karzai – “il presidente è stato molto di aiuto su vari fronti”, ha commentato – la Clinton ha chiarito le richieste dell’amministrazione Obama: “Se i risultati assegneranno la vittoria a Karzai, ci dovrà essere un nuovo rapporto tra lui ed il popolo afgano, tra il suo governo e gli altri che stanno supportando gli sforzi per la stabilizzazione e la sicurezza dell’Afghanistan”.

Gli Stati Uniti, del resto, sanno bene che per sconfiggere al Qaeda in Afghanistan serviranno un governo solido e un esercito autonomo. Solo così, infatti, Kabul potrà collaborare con gli Stati Uniti alla lotta contro il terrorismo come sta già facendo il vicino Pakistan, sempre più l’obiettivo degli attacchi dei talebani. Pochi giorni fa, un commando di terroristi ha colpito il quartier generale dell’esercito a Rawalpindi: per liberare 40 ostaggi sono intervenute le forze speciali pakistane, e il conto finale parla di almeno 19 morti (tra cui 3 ostaggi, 8 soldati e almeno 8 terroristi). L’attacco è stato rivendicato dai Tahrik-e-Taliban, un gruppo legato ad al Qaeda.

A infastidire i talebani, sempre più indaffarati in Pakistan, sono le offensive antiterroristiche lanciate dal presidente Asif Ali Zardari. Gli attacchi terroristici, del resto, non sembrano aver scalfito la strategia governativa: a poche ore dal blitz per liberare gli ostaggi, aerei pakistani hanno colpito alcune roccaforti talebane nel Waziristan meridionale. I raid aerei, inoltre, potrebbero essere presto accompagnati da una più decisa azione di terra: secondo il ministro dell’Interno Rehman Malik, l’operazione sarebbe imminente. “Non c’è pietà per loro, perché il nostro intento è di respingerli” ha dichiarato Malik. Esattamente quello che l’amministrazione americana vuole sentirsi dire da Islamabad e, se sarà possibile, anche dal nuovo governo afgano.

L'Occidentale