L’irritazione della leader di Kadima è comprensibile: a fronte di un rapporto che accusa tanto Israele quanto Hamas, il Consiglio delle Nazioni Unite sembra aver preso per buone solo le critiche rivolte all’esercito israeliano. “La guerra al terrorismo di Israele non riguarda solo noi” ha dichiarato la Livni: sostenere le operazioni militari israeliane, secondo l’ex ministro degli Esteri, “non vuol dire sostenere Israele contro i palestinesi, ma contro coloro che non vogliono vivere in pace e vogliono imporre l’ideologia dell’estremismo islamico”. In questi giorni, in Israele, sono in molti a pensarla come lei: l’impressione generale è che le Nazioni Unite, restie a condannare Hamas ed Hezbollah per i lanci di razzi contro lo Stato ebraico, siano invece prontissime a condannare Israele per ogni azione militare giustificata da scopi difensivi.
Al di là delle valutazioni politiche, il rischio maggiore è che la faziosità della risoluzione del Consiglio per i diritti umani finisca per ostacolare ogni possibile accordo tra israeliani e palestinesi. Dopo aver abbandonato la Striscia di Gaza, infatti, Israele ha visto crescere ai propri confini un territorio ostile, origine dei razzi sparati quotidianamente sulle sue città: quando però ha cercato di difendersi, la sua azione militare è stata bollata come un “crimine contro l’umanità”. Perché, allora, Israele dovrebbe abbandonare altri territori, col rischio che diventino a loro volta basi terroristiche? “Condannati quando agiscono e condannati quando non agiscono”, scrive Danny Ayalon sul “Jerusalem Post”, “gli israeliani si stanno ora chiedendo se tanti sacrifici siano realmente giustificati”.
Ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e attuale viceministro degli Esteri, Ayalon è tra gli esponenti politici più preoccupati per le possibili conseguenze di una risoluzione che “ribalta la realtà dei crimini di Hamas, condannando la vittima e non i reali responsabili dei crimini di guerra”. La condanna delle Nazioni Unite, prima di tutto, metterebbe in grave difficoltà i palestinesi più moderati e interessati alla pace con Israele: “Quando un organismo internazionale sostiene l’atroce condotta di Hamas”, scrive Ayalon, “Mahmoud Abbas perde la faccia, gli Stati arabi moderati perdono terreno e l’asse Hezbollah-Siria-Iran diventa più forte”. Ma le conseguenze nefaste, secondo il viceministro, non si limiterebbero all’area mediorientale.
Secondo Ayalon, infatti, la risoluzione creerebbe anche “un nuovo ostacolo nella battaglia globale contro il terrorismo”: attaccando Israele e non Hamas, il Consiglio per i diritti umani garantirebbe immunità ai terroristi e restringerebbe le possibilità di autodifesa da parte degli Stati attaccati. Il problema non è di poco conto, se si pensa che la tattica di Hamas (ed Hezbollah) potrebbe “essere imitata da terroristi in tutto il mondo, a danno delle democrazie che combattono il terrorismo e mettendo in pericolo le vite di milioni di civili innocenti”. Tornando al rapporto Goldstone, comunque, per Israele non tutto è perduto: da Ginevra, la palla passa ora all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dovrà potrà essere respinto, dimostrando così che “il mondo supporta ancora i compromessi israeliani per giungere alla pace”.
L'Occidentale