Mercoledì 7 ottobre, aeroporto internazionale di Damasco. Il re saudita Abdullah scende dall’aereo, accolto dal presidente siriano Bashar al Assad: saluti e fotografie di rito, poi via verso il palazzo presidenziale per dare il via a una due giorni di incontri bilaterali.
Il vertice tra Assad e Abdullah – definito “cruciale” dalla stampa mediorientale – è effettivamente molto significativo: dal 2005, anno in cui l’ex premier libanese con passaporto saudita Rafik Hariri venne ucciso a Beirut, Siria e Arabia Saudita hanno rotto ogni rapporto; lo stretto legame tra Siria e Iran, poi, non ha certo contribuito a distendere i rapporti tra i due Paesi. Da qui l’importanza della visita di Abdullah, protagonista di un viaggio finalizzato a porre le basi – economiche e diplomatiche – per una normalizzazione dei rapporti tra due importanti attori dello scacchiere mediorientale.
Ad oggi, l’unico risultato tangibile del vertice si è registrato sul piano economico. Alla presenza di Assad e Abdullah, infatti, i due Paesi hanno firmato un accordo per abolire la doppia tassazione dei capitali e contrastare l’evasione fiscale: le misure adottate dovrebbero anche favorire un incremento degli investimenti tra i due Paesi. Maggior incertezza segna invece l’aspetto diplomatico dell’incontro: le due parti avrebbero discusso di politica internazionale, con particolare attenzione al conflitto israelo-palestinese. Al termine dell’incontro – nel corso del quale i due leader si sono scambiati medaglie dall’alto valore simbolico – un portavoce di Assad ha parlato di “eccellente coordinamento” tra Arabia Saudita e Siria, che va ad aggiungersi “al coordinamento di Damasco con la Turchia e l’Iran, atto a creare un clima ideale per affrontare le sfide che si pongono ai paesi arabi e islamici”.
L’affermazione di un “coordinamento” altro non è che la ricerca di una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Al di là dei proclami ufficiali, infatti, due giorni non sono certo sufficienti per mettere fine a scontri che si trascinano da anni. Cosa divide i due Paesi? Tre sono le questioni di maggior attrito. Prima di tutto il Libano: l’Arabia non ha mai digerito l’omicidio dell’ex premier Rafik Hariri, sostenuto dai sauditi e freddato a Beirut il 14 febbraio 2005. Gli alleati dell’ex premier, alla ricerca di un mandante, puntarono subito il dito contro Damasco: da qui la rottura dei rapporti tra Abdullah, sostenitore (insieme agli Stati Uniti) delle forze filogovernative, e Damasco, sostenitore del gruppo sciita Hezbollah. Mentre i libanesi attendono ancora la formazione di un nuovo governo, la speranza è che il vertice di Damasco spinga le fazioni libanesi a trovare un accordo politico.
Altro terreno di scontro tra i due Paesi è il conflitto arabo-israeliano: l’esplicito supporto della Siria ad Hamas ed Hezbollah, infatti, pone Damasco in diretto contrasto con Riad, alleato degli Stati Uniti e dell’Egitto. Il culmine dello scontro si è toccato con la seconda guerra del Libano (2006), quando Assad attaccò duramente i leader di Egitto e Arabia Saudita per le loro critiche ad Hezbollah, stigmatizzato in quanto responsabile della guerra. Una frattura aggravatasi in occasione della guerra di Gaza, quando a fronte dell’operazione “Piombo fuso” alcuni leader arabi si ritrovarono in Qatar per esprimere solidarietà al popolo palestinese: il re saudita – che attribuisce alla Siria anche parte della responsabilità per la presa di Gaza da parte di Hamas – non si presentò al vertice.
Disaccordi tra siriani e sauditi ha provocato infine la questione iraniana: preoccupato dalla crescente influenza della Repubblica sciita nell’area mediorientale, infatti, Abdullah non ha mai gradito la stretta alleanza tra Teheran e Damasco. Andrew Lee Butters, commentando per “Time” l’atteso incontro tra il re saudita e il presidente siriano, ha ricordato come l’Iran persiano e sciita rappresenti una seria minaccia al dominio arabo e sunnita di re Abdullah: ecco perché, a fronte di un Iran che corre verso il nucleare, “l’Arabia Saudita ha capito che non può più rimandare un confronto diretto con la Siria”. Staccare Damasco da Teheran, però, non sarà impresa facile: i siriani, continua Lee Butters, “continuano a sostenere il loro diritto a rapportarsi con l’Iran, così come a supportare Hamas ed Hezbollah, almeno finché gli Stati Uniti continueranno ad armare e sostenere Israele”. Insomma, come ha dichiarato l’analista siriano Moubayed “certo, il re saudita è qui, ma un mese fa Assad era in Iran”…
I risultati dell’incontro tra Assad e Abdullah si vedranno solo sul lungo termine. Chiaro sin d’ora, secondo quanto sostenuto da diversi analisti, è però il ruolo giocato dall’amministrazione americana: per dirla con Ady Amr (Brookings Doha Center) “non è una sorpresa che questo meeting abbia luogo sotto la presidenza Obama: gli Stati Uniti vogliono riportare la Siria nell’ovile”.
Della stessa opinione sono Andrew Tabler (Washington Institute for Near East Policy), secondo il quale “la visita di Abdullah dà l’opportunità a Damasco di allontanarsi dal sempre più isolato Iran per avvicinarsi agli alleati arabi di Washington”, e Paul Salem (Beirut Carnegie Middle East Center) che legge l’incontro come “un parziale riallineamento della Siria verso posizioni più centriste”. Assad, insomma, appare stretto tra due fuochi: Ahmadinejad (con Hamas ed Hezbollah) da un lato, Obama e i suoi alleati (Arabia Saudita, Egitto) dall’altro. Vedremo chi saprà essere più persuasivo.
L'Occidentale