Sul piano internazionale, Afghanistan e riscaldamento globale sono i temi chiave dell’ultimo scorcio del 2009, ma negli Stati Uniti l’attenzione politica è concentrata tutta sull’approvazione definitiva della riforma sanitaria, il punto cardine del programma elettorale di Barack Obama. Dopo l’approvazione della Camera, il presidente si trova a fronteggiare l’ostruzionismo del Senato ed è chiaro che il risultato finale della partita sarà un testo di compromesso tra le diverse posizioni coesistenti nel partito democratico. Obama dice di essere “cautamente ottimista”, ma diversi analisti si chiedono apertamente cosa resterà della riforma sanitaria Usa, se e quando dovesse essere approvata dal Senato. Il presidente riuscirà a strappare un buona legge di compromesso o in mano gli resteranno solo i cocci di un progetto fatto a pezzi?
Il principale ostacolo all’approvazione della riforma ha un nome e un cognome: Joseph I. Lieberman, senatore indipendente del Connecticut, il cui sostegno è fondamentale per raggiungere la magica soglia dei 60 voti. Domenica il senatore si è presentato in tv e ha annunciato senza mezzi termini che la riforma, così com’è, proprio non va: se il progetto non verrà modificato, ha aggiunto Lieberman, voterò con i repubblicani. Pochi minuti dopo sono iniziate le trattative: Obama ha fretta di chiudere, a costo di "annacquare" la riforma (come dicono i liberal e i radicali del partito), e dopo un incontro con il presidente i vertici del partito si sono arresi a Lieberman. Nel testo in esame al Senato dovrebbero dunque cadere tanto la “public option” (una copertura sanitaria "universale") quanto l’estensione della previdenza pubblica (Medicare) agli ultra 55enni, mantenendo la soglia attuale di 65 anni.
La resa incondizionata al senatore indipendente potrebbe però creare ulteriori problemi tra le file dei democrats: all’interno del partito dell’Asinello, infatti, convivono posizioni molto diverse. Vicini a Liberman, anche se meno intransigenti, sono i Blue Dog, un gruppo di 53 democratici moderati che sui grandi temi – dalla sicurezza nazionale alla riforma sanitaria – guardano più alle scelte condivise che alla linea di partito. A preoccupare Obama è poi un altro membro del senato, il democratico antiabortista del Nebraska Ben Nelson: non voterò la riforma, ha minacciato il senatore, se la copertura sanitaria includerà l’interruzione di gravidanza. A fronte di tante “mine vaganti” nelle file democratiche, fondamentale potrebbe essere allora il voto della senatrice repubblicana del Maine Olympia Snowe, la quale si riserva di decidere all’ultimo momento.
I democratici di sinistra non nascondono la delusione, anche perché la linea imposta dal presidente – per dirla con Montanelli – è quella di "turarsi il naso" e votare. Secondo Howard Dean, ex governatore del Vermont, “la cosa migliore da fare sarebbe cancellare la riforma del Senato e ricominciare da capo”, e “molto dispiaciuto” si è detto anche il senatore dell’Ohio Sherrod Brown, che però voterà a favore in quanto “la posta è troppo alta”. Richard J. Durbin dell’Illinois, un altro importante senatore democratico, ha illustrato la situazione meglio di altri: “Molti di noi sentono di dover pesare quello che resta sulla bilancia, e quello che resta è davvero drammatico”. Una bocciatura, però, sarebbe ancora peggio: sulla riforma sanitaria – la cui sorte potrebbe essere decisa in concomitanza con l’anniversario del giuramento di Obama – il presidente ha puntato moltissimo, forse troppo.
Mentre continua la caccia ai 60 voti c’è chi torna con la memoria ai primi anni novanta, quando Hillary Clinton propose a sua volta una riforma della sanità: a vincere, in quel 1994, furono le opposizioni. Quindici anni dopo, Obama ci riprova ed è possibile che questa volta passi un testo di compromesso basato su finanziamenti per accedere alle assicurazioni private e maggiori vincoli per queste ultime. Un discorso a parte meriterebbero poi gli effetti della riforma sul corpo elettorale: secondo alcuni, molti elettori liberal potrebbero abbandonare il presidente; altri, invece, sottolineano come le defezioni da parte dei democratici più radicali sarebbero compensate da americani moderati, soddisfatti dal compromesso raggiunto sulla sanità. Una cosa è certa: sin dall’inizio della campagna elettorale, Obama ha giocato la carta del centrismo per raccogliere voti da entrambi gli schieramenti. E questa sembra la linea che seguirà anche in futuro.
L'Occidentale