10 dicembre 2009

Se in Iraq viene meno la sicurezza a crollare sarà la democrazia

Il viaggio dell’Iraq dalla dittatura alla democrazia continua a fare i conti con il terrorismo: dopo gli attentati di martedì, che hanno provocato oltre 100 vittime e centinaia di feriti, il governo iracheno e i suoi sostenitori hanno dovuto prendere atto della dura realtà. I terroristi hanno colpito indisturbati il centro della città e tra gli obiettivi figura anche il nuovo ministero delle Finanze, un obiettivo particolarmente simbolico se si pensa che la sua vecchia sede era stata distrutta ad agosto da un altro attacco terroristico: “Possiamo colpire come e quando vogliamo”, questo sembra essere il messaggio degli attentatori. Calato il silenzio dopo le esplosioni, la capitale irachena fa ora i conti con la rabbia della popolazione e le preoccupazioni di politici e comunità internazionale: cos'è andato storto? Il governo è in grado di difendere la popolazione? E cosa succederà quando gli ultimi 120.000 soldati americani rimasti sul territorio lasceranno l’Iraq?

Per gran parte degli analisti, gli attentati rappresentano una chiara risposta del terrorismo all’annuncio di nuove elezioni per il 7 marzo 2010. Poche ore dopo l’accordo sulla data del voto, cinque bombe hanno cambiato radicalmente l’agenda politica gettando il paese nel caos: le accuse sulla testa del premier al Maliki sono piovute da ogni parte, insieme alle richieste di dimissioni per i responsabili della sicurezza nazionale. L’esecutivo è corso ai ripari annunciando che i ministri degli Interni, della Difesa e della Sicurezza nazionale riferiranno in parlamento il 17 dicembre: feriti e familiari delle vittime, intanto, puntano il dito contro l’inesperienza dell’esercito e polizia irachena, che hanno preso il controllo del territorio dopo il ritiro di gran parte delle truppe americane. Nella seduta parlamentare convocata subito dopo gli attacchi, gli oppositori dell’attuale governo hanno accusato l’esecutivo di pensare troppo alla campagna elettorale, trascurando le garanzie di sicurezza per i cittadini.

Ma al di là delle (ovvie) polemiche, chi c’è dietro agli attacchi? Il presidente Talabani e il premier al Maliki hanno inizialmente puntato il dito contro i “terroristi”, intravedendo responsabilità materiali da parte di esponenti di al-Qaeda e membri del partito Baath. “La tempistica di questi attacchi codardi conferma che i nemici dell’Iraq e della sua gente cercano di creare il caos nel paese, bloccando il progresso e cercando di rimandare le elezioni” si legge in un comunicato del premier, il quale si è appellato ieri alla popolazione perché mantenga la calma e non perda fiducia nelle forze di sicurezza. Per quanto riguarda i mandanti, il governo pensa a militanti residenti all’estero e diversi funzionari accusano esplicitamente la Siria, la quale ospiterebbe terroristi e avrebbe concesso un implicito benestare agli attacchi di martedì: “Questo crimine ci porterà a rivedere le nostre strategie di sicurezza” ha dichiarato al Maliki, lasciando intendere di non poter contare sulla cooperazione alla sicurezza da parte dei paesi vicini.

Sullo scenario internazionale, le bombe irachene hanno risvegliato anche l’attenzione degli Stati Uniti, da mesi impegnati sul dossier afgano. Poche ore prima degli attacchi, il generale Odierno ha tenuto una conferenza stampa a Killeen (Texas) salutando con favore la chiamata alle urne per il prossimo marzo: “Oggi l’Iraq è una democrazia nascente che sta tornando ad essere una potenza regionale strategica per il Medio Oriente” ha detto il generale, descrivendo con partecipazione l’attesa per le elezioni da parte della popolazione. Un ottimismo che, almeno pubblicamente, non appare colpito dal terrorismo: la Casa Bianca ha duramente condannato gli attacchi, sostenendo però che nulla cambierà nei piani strategici dell’amministrazione americana e che tutti i militari torneranno a casa entro il 2010. La sicurezza, col passare dei mesi, diventerà sempre più un affare iracheno ed ecco perché al-Bayati, capo della commissione parlamentare di sicurezza, ha proposto un piano di emergenza in vista delle elezioni: “Gli iracheni hanno bisogno di risposte convincenti dai comandanti della sicurezza” ha dichiarato al-Bayati, e “se la sicurezza verrà meno, crollerà tutto”.

L’insufficiente preparazione delle forze militari, la necessità di correre ai ripari in vista delle elezioni di marzo e la ricerca dei responsabili – fuori e dentro il paese – sono senza dubbio le principali preoccupazioni sollevate dagli attentati di martedì. Resta però un’ultima questione, passata in sordina sui media internazionali ma di estrema importanza per l’economia irachena: il petrolio. Martedì Londra ha ospitato un’importante conferenza sull’oro nero, finalizzata a presentare agli investitori le prospettive economiche di un settore vitale per tutto il Medio Oriente. Tra pochi giorni, inoltre, Bagdad ospiterà un’asta per investitori internazionali: attentati e destabilizzazione politica, però, non invogliano certo le compagnie estere ad inviare i propri lavoratori in un paese tanto pericoloso. A dispetto del terrorismo, il ministro del Petrolio ha dichiarato che l’asta si terrà comunque l’11 e 12 dicembre all’interno dell’edificio ministeriale: ad oggi, scrive la Reuters, non si sono registrate defezioni da parte delle compagnie energetiche occidentali.

L'Occidentale