30 dicembre 2009

Usa, nel 2010 capiremo chi sarà il nuovo leader del Partito Repubblicano

Il 4 Novembre 2008 gli americani hanno parlato forte e chiaro: Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti. John McCain, lo sfidante repubblicano, ha provato a rassicurare i suoi sostenitori: “È naturale, questa notte, essere dispiaciuti. Ma domani dobbiamo ripartire e lavorare tutti insieme per far crescere ancora questo Paese”. Belle parole, ma quella notte in pochi avrebbero scommesso su una rapida ripresa del Grand Old Party. L’affermazione democratica è stata netta e profonda, e ha lasciato i repubblicani disorientati alla ricerca di un nuovo leader. Col passare dei mesi però – tra salvataggi bancari e riforma sanitaria – la stella democratica ha perso luminosità, tanto che E. J. Dionne è arrivato a chiedersi sul “Washington Post” se i democratici possano davvero prosperare anche in assenza di George W. Bush, contro il quale si era generata “una creatività politica mai più vista nel centrosinistra dagli anni Trenta”.

Attenzione: il calo di consensi nei confronti di Obama non ha portato sinora ad un compattamento del GOP. Un sondaggio commissionato dal “Washington Post” a fine novembre dipinge i repubblicani allo stesso tempo “uniti” nella contrapposizione al presidente in carica e “divisi” sulla condotta del proprio partito. La netta condanna delle politiche democratiche fa insomma il paio con “una profonda insoddisfazione verso la leadership repubblicana”. “Meno della metà dei sostenitori – scrive il Post – crede che il GOP stia andando nella giusta direzione” e il 40% degli intervistati è “insoddisfatto della linea politica seguita dal partito al Congresso”. Ciò che ancora manca è un leader capace di capitalizzare l’insoddisfazione dell’elettorato guidando i conservatori da qui alle elezioni presidenziali del 2012: nei mesi appena trascorsi, si vedrà, sono emerse alcune figure carismatiche e la loro posizione potrebbe rafforzarsi nel corso del 2010.

Parlare dei futuri leader conservatori non significa necessariamente scommettere sul candidato repubblicano alle prossime elezioni. Maurizio Molinari, corrispondente de “La Stampa” e attento osservatore delle dinamiche politiche statunitensi, è molto chiaro: “Come sempre avviene – spiega a L’Occidentale – il partito all’opposizione inizia a far emergere i suoi candidati solo dopo le elezioni di midterm, che in questo caso sono nel novembre 2010”. Chiarito ciò, continua il giornalista, si può notare che “la Palin cattura grande attenzione e il lancio del libro (l’autobiografia Going Rogue, An American Life, nda) evoca il precedente di Obama, così come Petraeus piace molto ai conservatori”, mentre anche “Pawlenty e Romney restano fra i papabili”. Posto allora che “azzardare previsioni prima di midterm è proibitivo, e quasi sempre si incorre in errore” alla fine del 2009 possiamo limitarci ad individuare alcune personalità di spicco che potrebbero calamitare il consenso dei repubblicani.

Sul piano mediatico, Sarah Palin è stata senza dubbio uno dei personaggi dell’anno: nel corso del 2009 ha lasciato la poltrona di governatrice dell’Alaska, ha dato alle stampe un bestseller, ha intrapreso un tour promozionale, è comparsa su decine di copertine, si è fatta intervistare da Oprah ed è diventata il bersaglio prediletto di Letterman. Tutta questa iperattività, scrive Alan Dowd su “Front Page Mag”, serve a ricordarci che “Sarah Palin è una forza della politica con la quale bisogna fare i conti”: “Oggi sta chiaramente preparando il terreno per la sua corsa alla Casa Bianca” continua Dowd, e avendo abbandonato la poltrona da governatrice potrà stare maggiormente “a contatto con la base conservatrice, chiarendo le sue posizioni politiche”. Dopo essere stata bollata come impresentabile da gran parte dei media americani, difficilmente la Palin potrebbe intercettare il favore repubblicani moderati: allo stesso tempo, però, potrebbe galvanizzare parte di un elettorato senza più riferimenti.

Nella seconda parte del 2009, tra le file del GOP è maturata un’altra ipotesi: a settembre l’informatissimo quotidiano online “Politico” ha lanciato il nome del Generale David Petraeus, autore del provvidenziale “surge” delle truppe americane in Iraq nel 2007, come possibile leader del partito repubblicano. Beniamino dell’elettorato conservatore, Petraeus piace anche ai moderati: secondo Bob Dole, candidato alla presidenza nel 1996 contro Bill Clinton, quello del Generale sarebbe un nome capace di intercettare consensi dentro e fuori il partito, esattamente come ha fatto Obama alle passate elezioni. E se Arnaud de Borchgrave, in un editoriale per la United Press, collega suggestivamente il nome di Petraeus a quello del generale Eisenhower – il quale, una volta alla Casa Bianca, “diede una grande spinta all’economia americana” – secondo Alex Massie dello “Spectator” è più probabile che l’ex capo delle forze americane in Iraq decida di scendere in campo nel 2016.

A differenza della Palin, la quale non nasconde i suoi progetti futuri, Petraeus smentisce però ogni intenzione di scendere in politica. Fox News ha chiesto conto al Generale del discorso che terrà al think tank neoconservatore American Enterprise Institute, dove il 6 maggio 2010 riceverà l’Irving Kristol Award, ma Petreaus ha confermato di essere “apolitico” (dal 2002, il militare non si è mai recato alle urne) e ricorda di aver parlato anche presso associazioni di diverso orientamento, come il Brookings Institute; l’ipotesi di una candidatura repubblicana per il 2012, infine, è stata bollata come pura fantasia. Gli esperti consigliano comunque di tenere gli occhi puntati sulle mosse del Generale, il cui nome è stato inserito dalla prestigiosa rivista “Foreign Policy” tra i dieci più importanti “global thinkers” del 2009. Sportsbook, uno dei bookmakers che già scommette sulle urne del 2012, dà Petraeus candidato repubblicano a 15/1, mentre altre agenzie danno la Palin a 7/2 (puntando due dollari, se ne vincono sette).

Un altro serbatoio di possibili leader del futuro viene dai governatori repubblicani. Tim Pawlenty, governatore del Minnesota, ha annunciato lo scorso giugno che non correrà per un terzo mandato, liberandosi così in vista di altri traguardi; altro nome di peso è quello di Mark Sanford, governatore del South Carolina: su di lui pesa però lo scandalo suscitato da una relazione extraconiugale con una giornalista argentina, una vicenda che lo ha costretto a dimettersi da capo dell’Associazione dei governatori repubblicani. Considerato da molti come un vero e proprio enfant prodige è invece Bobby Jindal, classe 1971, governatore della Louisiana: intervistato da “Politico”, ha recentemente proposto al GOP di collaborare con Obama per ricercare un terreno di intese comuni. Come Petraeus, anche Jindal potrebbe conquistare voti tra gli elettori moderati: a chi gli chiede del futuro, però, il giovane governatore assicura di voler correre per la rielezione nel suo Stato in vista delle elezioni del 2011.

Non è da escludere, infine, che dalle fila del partito repubblicano possano riemergere personaggi già scesi in campo contro McCain alle scorse primarie. Particolarmente apprezzato sembra essere Mike Huckabee: secondo un sondaggio condotto a inizio dicembre, l’ex governatore dell’Arkansas verrebbe battuto da Obama di un solo punto percentuale (45% contro il 46%), mentre Mitt Romney si fermerebbe a 5 punti dal presidente democratico. Al di là dei numeri, chi si mostra ottimista sul futuro è l’ex vicepresidente Dick Cheney: “Credo che conquisteremo molti seggi” ha detto a Fox News parlando delle elezioni di midterm, per poi dichiarare possibile una sconfitta di Obama nel 2012. E se a scendere in campo contro l’attuale presidente fosse proprio lui, Cheney? Interrogata a proposito, la figlia Liz ha così risposto: “Penso di no. Intendiamoci, piacerebbe anche a me. Ma no”.

L'Occidentale