07 gennaio 2010

La guerra ad Al Qaeda nello Yemen deve riprendere

Dal sole delle spiagge hawaiane al buio della situation room, aula bunker posta sotto la Casa Bianca: non è stato un buon Natale per il presidente Obama. Prima il fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit, orchestrato dal nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, poi la strage nella base Cia di Khost (Afghanistan), dove un agente doppiogiochista si è fatto esplodere uccidendo sette agenti dell’intelligence. Il denominatore comune è chiaro: gli apparati di sicurezza americani hanno fallito su tutta la linea, e Obama lo sa bene. In entrambi i casi, ha spiegato il presidente, “l’intelligence non ha sbagliato nella raccolta delle informazioni, quanto nell’elaborazione e nel confronto dei dati raccolti”: “Questo non è accettabile”, ha concluso, “e io non lo tollererò”.

Di ritorno a Washington dalla turbolenta pausa natalizia, martedì pomeriggio il presidente ha convocato un vertice con i responsabili della sicurezza degli Stati Uniti. Nella situation room c’erano tutti, dal ministro della Difesa Robert Gates al segretario di Stato Hillary Clinton, passando per la responsabile della sicurezza interna Janet Napolitano e i direttori di Cia ed Fbi, Leon Panetta e Robert Mueller. Tutti si sono presi una bella strigliata: “L'intelligence – ha ricordato Obama – sapeva che il fallito attentatore era stato nello Yemen e che si era unito agli estremisti. Non eravamo a conoscenza della pericolosità dell’attentatore di Natale, ma avevamo abbastanza informazioni per fermarlo”. Morale? “La sicurezza ha fallito in maniera disastrosa”.

Data la riservatezza che copre l’attentato alla base Cia – un fatto gravissimo se, come ha scritto David Ignatius sul “Washington Post”, “negli ultimi anni l’intelligence aveva messo in guardia sul rischio di infiltrazione da parte di agenti doppiogiochisti legati ad Al Qaeda” – in conferenza stampa Obama ha calcato la mano sul fallito attentato di Detroit. Dopo aver messo in luce le falle dei servizi di sicurezza, il presidente – che deve far fronte a pesanti attacchi dalle file del partito Repubblicano – ha annunciato nuove misure restrittive tra cui un ampliamento della “no fly list”, la lista dei passeggeri potenzialmente pericolosi, e l’introduzione dei body scanner, che tante polemiche stanno suscitando nel mondo.

Particolarmente contestata è però la norma che estende l’elenco delle “nazionalità sospette”: in altri termini, i passeggeri di determinate nazionalità verranno sottoposti a controlli più accurati di altri. Tra i paesi in questione figurano Nigeria, Pakistan, Iran, Yemen, Sudan, Afghanistan, Libia, Somalia. A risaltare, in quanto Stato non musulmano, è Cuba, tanto che il governo di Castro ha protestato formalmente convocando l’ambasciatore americano sull’isola. La posta in gioco, però, è troppo alta e Obama, che sa di giocarsi molto sulla sicurezza, va avanti per la sua strada. “Nei prossimi giorni”, ha anticipato il presidente, “annuncerò ulteriori misure”: per ora, comunque, la decisione di chiudere il carcere di Guantanamo non verrà rivista, anche se i prigionieri non verranno più trasferiti nello Yemen.

Insieme alle falle della sicurezza interna, il fallito attentato del volo Amsterdam-Detroit ha riportato in auge la guerra al terrorismo internazionale. “Siamo determinati a smantellare le reti terroristiche una volta per tutte – ha detto Obama – e attaccheremo Al Qaeda ovunque tenti di radicarsi”. Il nuovo terreno di scontro è lo Yemen: è infatti Al Qaeda nella Penisola Arabica, nata dalla fusione degli estremisti yemeniti con quelli sauditi, ad aver addestrato e armato il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab. Momentaneamente esclusa l’ipotesi di un intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti, Washington sembra voler combattere – fornendo soldi e armi – per mezzo dell’esercito yemenita, e in questo quadro si colloca la recente visita del generale David Petraeus nella capitale San’a.

Anche se la strategia americana nello Yemen dovrà fare i conti con la debolezza e la corruzione del governo centrale, ieri sono giunti i primi risultati concreti. In seguito ad alcuni attacchi contro le cellule di Al Qaeda, l’esercito nazionale ha ferito e arrestato uno dei capi dell’organizzazione terroristica, Mohammad Ahmed al-Hanak, il quale sarebbe responsabile delle recenti minacce all’ambasciata americana di San’a. Negli Stati Uniti, intanto, si discute sul “nuovo fronte” della lotta ad Al Qaeda e in un brillante editoriale sul “New York Times” Ali H. Soufan – ex agente dell’Fbi che ha indagato sull’attentato al cacciatorpediniere USS Cole dal 2000 al 2005 – ha ricordato come la guerra al network di Bin Laden sia sempre stata legata allo Yemen.

“Lo Yemen è un fronte della guerra al terrorismo almeno dal 12 ottobre 2000, quando Al Qaeda ha fatto saltare la Cole”, scrive Soufan, ma già prima il paese era stato una base importante per i terroristi e “i militanti yemeniti di Al Qaeda hanno perfino contribuito ad organizzare gli attentati dell’11 settembre”, fornendo sostegno economico al network di Bin Laden. Un anno e mezzo fa, parlando dello Yemen di fronte a un gruppo bipartisan di senatori, Soufan aveva messo in guardia il Congresso: “Se l’America non convincerà gli yemeniti a combattere contro Al Qaeda, i terroristi responsabili dell’attacco alla Cole resteranno liberi e ci saranno altri attacchi contro l’America”. L’attacco c’è stato, ma fortunatamente è fallito. Ora, però, la guerra ad Al Qaeda nello Yemen deve riprendere e Obama – insieme a Gordon Brown – sembra averlo capito.

L'Occidentale