25 febbraio 2010

L'affaire Google

Sull'affaire Google la penso esattamente come Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni, che oggi sul Riformista scrive:
La sentenza di Milano, diciamo le cose come stanno, acquista rilievo soprattutto in virtù delle tensioni fra Google e la carta stampata. Oggi, la quasi totalità dei quotidiani l’accoglierà come un trionfo della civiltà sulla barbarie. Per un motivo semplicissimo. Mentre il numero dei lettori paganti si rattrappisce, aumentano sempre più coloro che scelgono d’informarsi e di formarsi un’opinione attraverso Internet. Calano le copie, crescono gli accessi ai siti web. Gli editori non sono ancora capaci a monetizzare questi flussi di visite. Google si, e su questa sua capacità ha costruito un modello di business di successo. Per questo motivo, gli editori sono interessati a qualsiasi forma di disciplina dei contenuti sulla rete. E accolgono la sentenza di Milano (non importa se con loro non ha, a rigore, nulla da spartire) come una prima vittoria, in quella che si annuncia come una lunga guerra di posizione. [...] Il giudice monocratico, accogliendo parzialmente le tesi del procuratore aggiunto Robledo e del pm Cajani, ha creato un precedente pericoloso. Ha trattato Google/ YouTube come fossero, come dovessero, essere un editore. Fingendo di comprendere che Google non è un editore: è un’autostrada. Se guidando io infrango i limiti di velocità, la colpa è mia – non del concessionario autostradale. Abbiamo a che fare è una “traslazione” impropria di responsabilità, basata sulla falsa analogia fra YouTube e un canale tv tradizionale.