21 marzo 2010

Gli eroi senza patria letteraria che piacevano tanto a Giovanni Testori

“Quando ho detto che sono nato nel 1923, a Novate, cioè a dire alla periferia di Milano, dove da allora ho sempre vissuto e dove spero di poter vivere sino alla fine, ho detto tutto”. Così scriveva Giovanni Testori, una delle figure più complesse – e controverse – della cultura italiana novecentesca. Critico d’arte, narratore, poeta, drammaturgo, opinionista: Testori è stato tutto questo, e molto di più. Per riscoprire uno dei talenti italiani più poliedrici del secolo passato, abbiamo intervistato la dottoressa Paola Gallerani, fondatrice della prestigiosa Officina Libraria e curatrice dell’archivio Testori per conto della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano.

Dottoressa Gallerani, l’Associazione Testori lamenta il fatto che lo scrittore di Novate sia assente tanto dalle antologie letterarie quanto dai manuali di storia dell’arte. Perché, a suo parere, è stato dimenticato?

Mi sembra che Testori sia in buona compagnia. I manuali scolastici tendono a seguire schemi canonici, secondo scelte invecchiate, ma sedimentate nella prassi dell’insegnamento e della produzione editoriale, difficilmente modificabili dall’iniziativa di singoli autori. Al di là dell’inclusione nelle antologie e nei manuali, sarebbe bello che la scuola spingesse i ragazzi alla lettura dei testi integrali, ampliandone il canone: non solo quindi i Promessi Sposi o Verga, ma anche Il fabbricone, o Notre Dame de Paris. Quanto ai manuali di storia dell’arte, la letteratura critica, dalle Vite di Vasari in poi, per intenderci, è raramente presente, e se manca Longhi figuriamoci Testori…

Se è d’accordo, comincerei a parlare del Testori critico d’arte…

Testori si laurea nel 1947 con una tesi sull’estetica surrealista, La forma nella pittura moderna, e fin dagli esordi giornalistici su testate universitarie si occupa di critica d’arte, soprattutto contemporanea (è uno degli estensori del Manifesto del realismo del 1946) alla quale accompagna, con fasi alterne, la sua produzione artistica. L’incontro cardine avviene però nel 1951, all’epocale mostra su Caravaggio a Palazzo Reale curata da Roberto Longhi, il più grande storico dell'arte italiano del Novecento. La sua lezione è fondamentale per Testori, anche sul piano linguistico, sotto la sua egida inizia la collaborazione con “Paragone” e la riscoperta di personalità del calibro di Martino Spanzotti e Gaudenzio Ferrari, Romanino, Moretto, Francesco Cairo, Tanzio da Varallo e i cosiddetti “pestanti”, che guadagnano un posto d’onore nella letteratura artistica grazie alla mostra sul “Seicento lombardo” del 1973. Ancora oggi alcune delle sue pagine riescono a rendere in modo vibrante e imprescindibile il mondo poetico di questi artisti.

Testori è stato anche un narratore. Dopo l’esordio con Il Dio di Roserio, pubblicato per Einaudi su interessamento di Vittorini, il successo arriva con il ciclo I segreti di Milano...

Al centro della sua poetica Testori mette l’uomo e nel ciclo dei “Segreti di Milano” – che si compongono di testi di vario genere, dalle raccolte di racconti Il Ponte della Ghisolfa e La Gilda del MacMahon, ai drammi teatrali La Maria Brasca e L’Arialda fino al romanzo Il fabbricone – è l’umanità degli umili, dei poveri, della gente comune, giovani operai comunisti e inviperiti pensionati democristiani, vedove di guerra e pugili, puttane e sartine, terroni e bauscia il mondo che descrive, amandolo e dandogli voce per quello che è, senza giudicarlo, nella sua miseria e nella sua grandezza. Sono questi gli eroi senza patria letteraria a cui dà fiato, con una lingua che si bagna nel Lambro senza mai scadere in facili dialettalismi.

Che rapporto aveva Testori con la scrittura, anche sulla base del lavoro da lei svolto sui manoscritti originali?

I quaderni autografi, fitti di una scrittura quasi illeggibile e che conservano la maggior parte delle stesure originali di queste opere, sono stati acquistati dalla Regione Lombardia nel 2001 e dati in deposito presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori con compiti di conservazione, catalogazione e valorizzazione. Proprio dai manoscritti si coglie quanto fosse ampio e ambizioso il progetto dei “Segreti”, con indici fatti e disfatti e l’indicazione delle vicende di un personaggio che proseguono da un racconto all’altro. Sempre nei quaderni si conserva uno “spaccato” del Fabbricone: un disegno del casermone popolare teatro dell’amore tra il Carlo Villa e la Rina Oliva con i nomi degli occupanti scritti sulle finestre, per non perdersi nell’intreccio. Sono questi e altri materiali di lavoro, insieme a brani inediti, i documenti che ho voluto illustrare nel libroQuesto quaderno appartiene a Giovanni Testori. Inediti dall’archivio, proprio per offrire a un pubblico più vasto degli addetti ai lavori la possibilità di un emozionante dietro le quinte.

Pochi sanno che Testori è stato anche un poeta: i suoi versi, scrisse Montanelli, “sono fra le più belle che mi sia capitato di leggere”. Che ne pensa?

Testi come i Trionfi o Crocifissione, una moderna ekfrasis a partire dalle opere di Tanzio da Varallo, Caravaggio o Bacon, una poesia come “quantità barocca” per dirla con Giovanni Raboni, che di Testori è uno dei più fini esegeti, meritano certamente attenzione. A mio parere, rispetto ad altri generi in cui Testori raggiunge vertici espressivi notevolissimi, come la narrativa, la critica d’arte e il teatro, la poesia non è la sua produzione più interessante, così come la pittura, e dico questo in controtendenza rispetto a una visione “leonardesca” di Testori come genio poliedrico, celebrato su tutti i fronti, a parziale risarcimento forse, della scarsa fortuna di cui ha goduto negli ultimi decenni.

In teatro il successo – e lo scandalo – è legato a L’Arialda, la cui regia era stata affidata a Visconti: perché creò tanti problemi?

Sono “le passioni, gli interessi, i reati… di esistenze anormali”, narrate nella “scandalosa” Arialda, a determinare la richiesta della censura preventiva di due scene (quella dell’amore omosessuale dell’Eros per il Lino e della seduzione della Mina), e che per tutta risposta saranno invece pubblicate in anteprima sul “Contemporaneo”, causando così l’arresto delle prove della compagnia Morelli-Stoppa. Il sit-in della compagnia davanti al Quirinale e la lettura pubblica del copione ottennero il visto della procura, ma lo spettacolo fu vietato ai minori di 18 anni, e solo quattro anni dopo, nel 1964, Testori e il suo editore, Feltrinelli, vennero assolti dall’accusa di oscenità mossa loro dalla magistratura milanese.

Celebre – anche da un punto di vista linguistico ed espressivo – è la “Trilogia degli Scarrozzanti”, Ambleto, Macbetto ed Edipus: cosa ci racconta di queste opere?

La Trilogia degli Scarrozzanti debutta con L’Ambleto nel 1973 al Salone Pier Lombardo di Milano, un ex cinema recuperato per l’occasione, non avendo trovato accoglienza negli spazi ufficiali, grazie al sodalizio tra Testori, Andrée Ruth Shammah, Dante Isella, Gian Maurizio Fercioni, Luisa Rossi e Franco Parenti, “scarno, rotto, ruttante, violento e violatore, quasi trogloditico” principe di Lomazzo. Si tratta di una delle più feconde stagioni di Testori: il momento in cui il disperato universo di passioni dei suoi primi personaggi della periferia milanese ascende all’epica, dando vita, attraverso il confronto con i testi classici, a una nuova idea di teatro espressa attraverso la violenza mai pacificata della parola, un linguaggio babelico, fatto da una strana commistione di latino, dialetto e termini stranieri, che attendono ancora una precisa disamina filologica.

A metà degli anni Settanta, Testori perde la madre: un’esperienza drammatica, alla base di Conversazione con la morte. Negli stessi anni, lo scrittore si converte definitivamente al cattolicesimo avvicinandosi a "Comunione e Liberazione", e prendendo fortemente posizione contro l’aborto. Come venne accolta la sua conversione da amici e intellettuali?

La conversione, e soprattutto il coinvolgimento con l’organo militante di CL, non gli sarà mai perdonato, né compreso, da certa parte della sinistra, che lo vive come un tradimento, un’incoerenza, e suscita molte polemiche e rotture (anche di amicizie decennali). Ma Testori è uomo che concilia l’inconciliabile: è capace di fare dell’amore (spesso omosessuale, spesso comprato), della carne, del sangue e delle deiezioni dell’uomo il perno della sua poetica, senza ritrarsi di fronte all’osceno e alla bestemmia, e allo stesso tempo di recitare di fronte a Giovanni Paolo II.

Che rapporto ha avuto Testori con la religione?

Dai suoi scritti traspare un rapporto tormentato, un dissidio interiore e il teatro con la “Trilogia per la parola” (Conversazione con la morte, Interrogatorio aMaria e Factum est) fino a Confiteor e Verbò ne è il mezzo d’espressione più flagrantemente efficace. L’adesione a CL è una scelta che sicuramente ha proiettato Testori su un piano di ricezione molto ampio, come ancora oggi si vede, ma che dall’altro ha talvolta compromesso la comprensione della sua complessità.

Un’ultima domanda. Nel 1975 Testori inizia a collaborare con il “Corriere della Sera” prendendo, secondo alcuni, il posto di Pasolini come “coscienza critica” del quotidiano. Che rapporto aveva Testori con il suo pubblico?

La collaborazione di Testori con il quotidiano, iniziata con qualche recensione di libri e mostre, si intensifica nel 1978 con la direzione della pagina domenicale d’arte, le numerose recensioni di esposizioni ed eventi – che superando il commento occasionale non di rado assurgono al rango di saggio critico – e gli interventi dalla prima pagina su fatti di cronaca. Testori prende materialmente il posto di Pasolini alla sua morte e ne eredita i lettori. Aveva sicuramente un ampio pubblico (si pensi che gli articoli venivano poi ripubblicati anche sul “Sabato”), ma la sua era una voce tutt’altro che accomodante: sono celebri le sue polemiche radicali con istituzioni ed esponenti di spicco della cultura dominante fin dall’inizio, ad esempio con l’attacco alla corsa al potere degli intellettuali. Tuttavia l’adesione a CL finì per etichettare Testori, nonostante il suo dissidio interiore: cosa che per Pasolini ancora oggi non si può fare…

L'Occidentale