19 marzo 2010

La solita vecchia leggenda della rivoluzione liberale

Lo schema è sempre quello. Berlusconi è a Napoli, parla di fronte ai sostenitori (pochi, dicono): scegliete me, c'è in ballo la democrazia, se vince la sinistra sarete tutti intercettati, verranno raddoppiate le imposte, si vivrà in uno Stato di polizia fiscale, ecc, ecc. Poi, però, la butta lì: la vittoria è importante perché "si possa lavorare sicuri del sostegno della gente e introdurre nel nostro Paese la rivoluzione liberale", che consiste in "riforma importante delle istituzioni, una modernizzazione del fisco, una grande, grande, grande riforma radicale del sistema giudiziario". Ora, il premier ha poco da scherzare sulla rivoluzione liberale: nel 1994, gli italiani lo votarono in massa per questo; quindici anni dopo, non c'è stata alcuna rivoluzione liberale, e per trovare qualcosa di minimamente liberale devo pensare al ministero di Pierluigi Bersani (oggi capo del centrosinistra, vedi un po'...).

Le tasse: a parte l'abolizione dell'Ici e della tassa di successione, quello che davvero conta - due aliquote fiscali, basse, accompagnate da una lotta senza quartiere all'evasione perché TUTTI paghino POCO - resta un sogno. E al di là dei proclami, resterà un sogno. Berlusconi può raccontare quel che vuole, ma il professor Tremonti è stato molto chiaro: i soldi non ci sono, nessuna riforma all'orizzonte.

P.S.: Aldo Busi non ha tutti i torti quando proclama: "Se non fanno questa legge delle due aliquote al 23 e 33 per cento, del meno tasse ma per tutti a cosa è servito Berlusconi? Cosa fa?".