07 luglio 2010

Bibi e Barack, cosa dicono i giornali

Il New York Times pubblica un editoriale non firmato, in cui esprime molte riserve sull'incontro tra i due leader. Entrambi, spiega il quotidiano, avevano un disperato bisogno di presentare agli elettori un miglioramento dei rapporti diplomatici tra i due paesi, ed ecco perché hanno posato per una foto, hanno parlato con i giornalisti, hanno pranzato insieme. Vorremmo, scrive il giornale, "credere a Netanyahu quando dice di essere 'impegnato per la pace' con i palestinesi, e al presidente Obama quando dice che Netanyahu 'è pronto ad assumere rischi' per la pace", peccato però che il premier israeliano "non abbia specificato cosa intenda fare per far progredire i negoziati". C'è ancora molto lavoro da lavoro da fare, da Washington a Gerusalemme, passando per Ramallah.

Sul Washington Post, Dana Milbank parla di "summit Oil of Olay: tutto per salvare la faccia". Obama, osserva l'editorialista, "non ha neppure nominato gli insediamenti israeliani, finché un giornalista non l'ha chiesto direttamente - e a quel punto ha evitato di dire che Israele deve estendere il blocco degli insediamenti che scade a settembre". Evitando ogni critica agli israeliani, Obama si è invece rivolto ai palestinesi invitandoli a non sollevare questioni che possano mettere in imbarazzo lo Stato ebraico. Per Netanyahu, una vittoria su tutta la linea.

Yedioth Ahronoth, principale quotidiano israeliano, riprende in parte le tesi del New York Times. Obama e Netanyahu, scrive Eytan Gilboa, sono entrambi stretti da politica estera e strategie difensive da un lato e questioni di politica interna dall'altro. "Il summit serviva a bloccare queste pressioni, rafforzando l'immagine dei due leader a casa e all'estero; sembra che questi obiettivi siano stati raggiunti". Obama, in particolare, avrebbe capito che la durezza dei mesi passati è stata inutile: "Non ha rafforzato l'immagine dell'America nel mondo arabo e musulmano, non ha sbloccato le trattative tra israeliani e palestinesi, e non ha portato a cambiamenti strategici nelle politiche di Netanyahu". Meglio, allora, "influenzare il premier israeliano con abbracci e incoraggiamenti, piuttosto che con schiaffi in faccia e pressioni".

Natasha Mozgovaya, su Haaretz, concorda sul fatto che l'incontro sia stato perlopiù un'operazione d'immagine. Ma anche l'immagine ha la sua importanza: "Per alcuni israeliani, seppur scettici, queste strette di mano e questi mazzi di fiori da parte della First Lady, i sorrisi e le foto, il pernottamento alla Blair House piuttosto che in un hotel distante dalla Casa Bianca, [...] possono rappresentare un raro momento di consolazione".

Il Jerusalem Post, a firma Herb Keinon, riprende infine la tesi di Eytan Gilboa: "Negli ultimi 14 mesi, Obama ha capito che potrà ottenere molto di più lavorando pubblicamente con Netanyahu, piuttosto che contro di lui".