A Washington, non più tardi di due settimane fa, hanno professato le loro buone intenzioni. Oggi, in Egitto, si inizia a fare sul serio: il premier israeliano Netanyahu e il presidente dell’Anp Abu Mazen si incontrano a Sharm el-Sheikh, e per due giorni - assistiti dal segretario di Stato americano Hillary Clinton e dall’inviato George Mitchell - proveranno a trattare a tutto campo. Nelle intenzioni del presidente Obama, Netanyahu e Abbas dovrebbero vedersi ogni due settimane: quello di oggi, allora, è solo il primo passo sulla strada di un accordo da siglare ufficialmente entro un anno. Una percorso accidentato, minato tanto dai miliziani di Hamas - decisi a far saltare il banco con la forza dei razzi e degli attentati - quanto dai politici israeliani più estremisti, contrari a ogni tipo di concessione (politica e territoriale) ai palestinesi.
Sui negoziati pesa prima di tutto la data 26 settembre, quando scadrà il divieto di espansione degli insediamenti israeliani nel West Bank. Abu Mazen è stato molto chiaro: se il congelamento delle colonie non verrà prolungato, l’Anp si alzerà dal tavolo. Da registrare, a questo proposito, la cauta apertura del premier israeliano: “I palestinesi vogliono zero costruzioni in Giudea e Samaria - avrebbe detto Netanyahu nel corso di un incontro domenicale con Tony Blair - e questo non è possibile. Allo stesso tempo, non costruiremo tutte le decine di migliaia di unità abitative previste dai progetti”. Le parole di Netanyahu, rilanciate da molti giornali che citano diplomatici presenti all’incontro con Blair, lasciano intendere una possibile mediazione tra le parti: se i palestinesi accettassero la ripresa degli insediamenti, Israele garantirebbe una riduzione delle costruzioni nell’area.
Prima ancora del futuro status di Gerusalemme e della sicurezza dello Stato ebraico, temi su cui si dovrà discutere a lungo, gli insediamenti rappresentano il vero ostacolo alle trattative. L’apertura di Netanyahu, infatti, ha suscitato un vero e proprio vespaio in Israele: Gershon Mesika, capo del Consiglio regionale della Samaria, ha detto chiaramente che “se il premier estenderà il blocco degli insediamenti, la prenderemo come una dichiarazione di guerra”. Il punto è che i coloni, supportati dai partiti di governo alla destra del Likud, si sentono traditi da un premier che - per dirla con il “Jerusalem Post” - è “giunto al potere presentandosi come avvocato difensore delle colonie”. Per Abu Mazen, invece, le decisioni di Netanyahu sugli insediamenti saranno determinanti per provare la reale volontà di trattare a tutto campo una soluzione per la pace.
Ma in Israele non si parla solo di insediamenti. L’ombra di Hamas, infatti, si fa sempre più minacciosa: dopo aver annunciato un’alleanza anti-sionista di tutte le sigle terroristiche presenti nella Striscia di Gaza, i miliziani sono passati all’azione. Dallo scorso mercoledì, il giorno che ha aperto le festività per il Rosh Hashanah (capodanno ebraico), almeno dieci razzi sono caduti nel sud dello Stato ebraico. Nel fine settimana, l’esercito israeliano ha risposto: nella Striscia il bilancio è di tre vittime (un anziano contadino, suo nipote e un altro giovane). Col passare dei giorni, tra gli abitanti del sud d’Israele cresce la paura: secondo Army Radio, le autorità municipali delle aree colpite dai razzi starebbero preparando una petizione indirizzata all’Alta Corte di Giustizia, perché lo Stato intervenga immediatamente per garantire la sicurezza dei cittadini.
Secondo l’intelligence, però, c’è poco da stare allegri. Il capo dello Shin Bet Yuval Diskin, nel corso di un’audizione di fronte al consiglio dei ministri, ha spiegato che con il procedere dei negoziati di pace c’è da aspettarsi un deciso incremento degli attacchi contro lo Stato ebraico: Hamas, in particolare, avrebbe intensificato i contatti con gli ex-prigionieri che hanno fatto ritorno nel West Bank. Diskin ha parlato infine di un aumento dei tunnel per il contrabbando di armi nella Striscia: si tratta di gallerie sotterranee che potrebbero essere utilizzate per rapire militari israeliani, come è accaduto nel caso del caporale Gilad Shalit. Se la pace tra israeliani e palestinesi è ufficialmente nelle mani di Abu Mazen e Netanyahu, gli estremisti non staranno certo a guardare. E le avvisaglie di questi giorni sono solo un antipasto di ciò che potrebbe succedere in futuro.
L'Occidentale