23 settembre 2010

Woodward ci consegna l'immagine di un Obama in guerra con i suoi generali

Che tra Barack Obama e i suoi consiglieri militari non corra buon sangue è cosa nota, e il caso del Generale McChrystal - silurato per le critiche affidate a un giornalista di “Rolling Stone” - è solo la punta di un iceberg molto profondo. Lunedì mattina, a conferma delle indiscrezioni pubblicate quotidianamente dai giornali di tutto il mondo, gli americani troveranno in libreria un volume che racconta molti aneddoti scottanti: si tratta di “Obama’s Wars” (Simon & Schuster), il nuovo saggio del giornalista investigativo Bob Woodward. Dagli anni settanta, quando insieme a Carl Bernstein scrisse una serie di articoli che portarono alle dimissioni di Richard Nixon, Bob ne ha fatta di strada: ogni suo libro è diventato un bestseller, grazie a fonti di alto livello e alla consultazione di documenti estremamente riservati.

Ciò che sappiamo del contenuto di “Obama’s Wars” lo dobbiamo alle anticipazioni fornite dal “New York Times”, che ha letto in anteprima l’opera di Woodward. Il libro, scrive Peter Baker, “dipinge un’amministrazione profondamente divisa sulla guerra in Afghanistan”, con tanto di alti consiglieri convinti “che la strategia del presidente non funzionerà”. Certo di giocarsi la reputazione - e il consenso - sull’andamento del conflitto, nel corso di una riunione Obama avrebbe addirittura “implorato” un’exit-strategy, per poi giustificare il ritiro delle truppe a partire dal 2011 con il rischio di “perdere il sostegno di tutto il partito democratico”. Al di là di alcune note di politica internazionale - il presidente afgano Karzai, per dirne una, soffrirebbe di crisi depressive - ciò che più colpisce nella ricostruzione di Woodward è davvero la confusione che serpeggia tra i collaboratori di Obama.

Collaboratori che certo non se le mandano a dire. Il vice-presidente Joe Biden, già celebre per le sue gaffes, parla di Richard Holbrooke - principale esperto di Pakistan e Afghanistan - come del “più bastardo egoista che abbia mai incontrato”. Il gelo serpeggia poi tra i funzionari di Obama e l’ex-generale dei Marines James L. Jones, primo consigliere per la sicurezza nazionale, che parla con disprezzo di “Politburo” (o di “Mafia”) in riferimento allo staff presidenziale. E se Robert Gates è preoccupato che a Jones possa presto succedere il suo vice Thomas E. Donilon, che sarebbe “un disastro”, il generale David Petraeus - che ha preso il posto di McChrystal al comando delle truppe Nato in Afghanistan - non sopporta le conversazioni con il consigliere politico David Axelrod, “un vero spin doctor” preoccupato solo degli effetti che ogni decisione avrebbe sull’opinione pubblica.

Al di là degli screzi personali, alcuni scontri in seno all’amministrazione rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. Woodward racconta di una discussione tra il direttore dell’intelligence nazionale, Dennis C. Blair, e il capo dello staff Rahm Emanuel: quando, nel maggio 2009, Blair ha messo in guardia da possibili attacchi provenienti da una cellula addestrata in Pakistan, Emanuel ha accusato il collega di “buttare addosso queste informazioni così non sarà un errore tuo”. Sempre sul fronte della sicurezza, il libro rivela come un’esercitazione abbia mostrato tutta l’impreparazione del governo a fronte di un possibile attacco nucleare: un’eventualità, ha confidato Obama a Woodward, che è in cima alla lista delle preoccupazioni del presidente, perché “in quel caso non puoi permetterti alcun errore”.

Ma che immagine ci consegna Woodward di Obama? Secondo il “New York Times”, dalle pagine emerge la figura di un “presidente professorale che assegna i compiti ai propri collaboratori”, e si agita di fronte ai tentativi dell’apparato militare di strappargli una promessa che lo mette a disagio: aumentare il numero dei soldati in Afghanistan. Alla fine il presidente accorderà l’invio di 30.000 militari, distribuendo ai consiglieri un documento di sei pagine contenente tutto ciò che le truppe non dovrebbero fare: un modo, commenta l’autore, per evitare che i generali espandano la missione. “Nel 2010 - avrebbe detto Obama a Petraeus e Gates - non avremo una conversazione su come fare di più. Non parleremo più di come modificare la missione in Afghanistan”: per il presidente, del resto, “il cancro si trova in Pakistan”.

L'Occidentale