18 novembre 2010

Il Cimitero di Praga/ Il romanzo di Eco è un duro colpo all’antisemitismo

Una buona recensione prevede sempre un riassunto della trama. Ma del “Cimitero di Praga” si è parlato talmente tanto – è primo in classifica, è stato recensito ovunque ed è stato ristampato più volte – che dilungarsi sarebbe superfluo. Ambientato nella seconda metà dell’Ottocento, il nuovo romanzo di Umberto Eco narra le gesta del falsario Simone Simonini: svezzato da un nonno antisemita, il giovane impara l’arte del mestiere (ovvero la produzione di documenti falsi) presso lo studio di un notaio torinese. È l’inizio di una carriera folgorante, che nel giro di pochi anni lo proietta – in qualità di falsario, spia e assassino – sulle scene della Storia: dalla spedizione dei Mille alla Comune di Parigi, non c’è evento, complotto o sotterfugio dietro cui non si celi lo zampino del protagonista. Fino al terribile capolavoro finale: la produzione di documenti, divenuti celebri come “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, che proverebbero il complotto ebraico per la dominazione del mondo. Un documento ripreso di lì a poco da un certo Adolf Hitler, e che ancora oggi fa bella mostra di sé nei mercati e nelle librerie di buona parte del mondo islamico.

Qualche parola in più la merita certo lo straordinario (e raccapricciante) Simonini. Il protagonista del “Cimitero” è un concentrato di odio allo stato puro, capace di amare solo la buona cucina. Su consiglio di un giovane austriaco (ed ebreo!) dottor Froïde, Simone inizia a scrivere le proprie memorie e, nel giro di poche pagine, stila un incredibile catalogo delle categorie umane più disprezzabili: gli ebrei, prima di tutto, con “quegli occhi che ti spiano, così falsi da farti illividire”; i tedeschi, “il più basso livello di umanità concepibile”; i francesi, “pigri, truffatori, rancorosi, gelosi, orgogliosi oltre ogni limite”; l’italiano, “infido, bugiardo, vile traditore”; i preti, tanto che “la civiltà non raggiungerà la perfezione finché l’ultima pietra dell’ultima chiesa non sarà caduta sull’ultimo prete”; massoni e gesuiti, tenendo conto che “i gesuiti sono massoni vestiti da donna”; le donne stesse. Insomma, l’universo mondo. Odiando tutti così “democraticamente”, Simonini non ha problemi a lavorare per i piemontesi prima e per i francesi poi, per i gesuiti e per i russi, vendendosi volta per volta al miglior offerente nel libero mercato dello spionaggio e del falso.

“Il cimitero di Praga” è un libro importante per diversi motivi. Primo: un romanzo destinato a vendere milioni di copie racconta finalmente la storia dell’Ottocento, uno dei secoli peggio studiati e conosciuti. Secondo, Eco racconta – in forma romanzesca – lo schema che sta dietro a ogni teoria del complotto passata e presente (compresa quella legata all’undici settembre, che – sostengono ancora in troppi – sarebbe stato organizzato dalla Cia in combutta con l’immancabile Mossad): ogni complotto, scrive Simonini nel suo diario, deve essere costruito a partire da materiali precedenti, già conosciuti, perché “la gente crede solo a quello che già sa, e questa era la bellezza della Forma Universale del Complotto”. Nel caso dei Protocolli antisemiti, la cui nascita e diffusione è trama portante del libro, il materiale originario è fatto dai romanzi d’appendice ottocenteschi, pane quotidiano delle classi popolari e borghesi. E la buona notizia, nel caso di un romanzo che demistifica il più celebre testo antisemita della storia, è che il “Cimitero” verrà presto pubblicato anche in lingua araba, presso la casa editrice libanese Dar-al-Kitab.

Mario Andreose, direttore letterario di RCS, spiega che “si tratta di un grande risultato culturale, dato che il romanzo di Eco si propone di demistificare i ‘Protocolli dei Savi di Sion’ che in varie parti del mondo arabo sono propagandati come testo base dell’antisemitismo”. Eppure, all’uscita del libro, alcuni esponenti della comunità ebraica hanno espresso qualche riserva sul romanzo. Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che si è confrontato con lo scrittore presso la redazione de “L’Espresso”, pensa in particolare “che il messaggio di Eco sia ambiguo”: alla fine, osserva, il lettore – preso nel vortice di una narrazione molto avvincente – potrebbe chiedersi se quello che ha letto è vero o falso. “Il problema è che non si tratta di un libro scientifico che analizza e spiega i fenomeni. ‘Il Cimitero di Praga’ è un romanzo. E in più ha una trama avvincente, che finisce per convincere”. Tra colpi di scena e i continui ribaltamenti narrativi, chiosa Anna Foa, “il falso sembra diventare vero in un contesto in cui tutti i documenti sono falsi, tutti sono doppi, o tripli, e la confusione tra falso e vero regna sovrana”.

Le critiche hanno un loro fondamento, ma certo è che un romanziere non può essere responsabile di eventuali menti deviate tra i propri lettori. E che il romanzo di Eco possa davvero convincere qualcuno della bontà dei Protocolli mi sembra onestamente difficile. Verso la fine del romanzo, commentando i testi antisemiti prodotti da Simonini, un personaggio (Golovinskij) osserva: “Non vi pare che molte delle idee espresse da questi documenti si contraddicano tra loro? Per esempio, si vuole da un lato proibire il lusso e i piaceri superflui e punire l’ubriachezza e dall’altro diffondere sport e divertimenti, e alcolizzare gli operai…”. Ecco, questo passaggio è la miglior dimostrazione del fatto che mai – in cinquecento pagine – può balzare in testa l’idea che i Protocolli siano veri, o sostengano il vero. Lo stesso Eco, presentando il libro alla Fondazione Corriere della Sera con Paolo Mieli e Moni Ovadia, ha spiegato come su ogni tema (dalla spedizione dei Mille ai Protocolli, passando per la Comune di Parigi) “io metto in contraddizione le diverse posizioni: ci vuole proprio un coglione per prenderle sul serio”.

Certo, la madre dei coglioni è sempre incinta. E, vista la diffusione che avrà questo “Cimitero di Praga” nel mondo, comprendo le preoccupazioni del rabbino Di Segni. Allo stesso tempo, mi sentirei di rassicurarlo: c’è poco da discutere, questo romanzo è un pugno dritto nello stomaco di tutti gli antisemiti. E proprio per questo vorrei lanciare un appello. Nei licei italiani, almeno così accadeva ai miei tempi, viene spesso fatto leggere “Il nome della rosa”, magari come compito estivo; ecco, per il 2011 (150° dell’Unità d’Italia) io propongo di sostituire il primo romanzo di Eco (un capolavoro, ma oggettivamente difficile e “pesante” per dei ragazzi di 15-16 anni) con il “Cimitero di Praga”. In questo modo gli studenti scoprirebbero che leggere può essere ancora appassionante, studierebbero qualcosa del bistrattato Risorgimento italiano (tutt’altro che palloso, come spesso si crede) e – divertendosi – farebbero a pugni con l’ignoranza e la follia che sta dietro a ogni razzismo, a partire da quello antisemita. Come dire, tre piccioni con una fava.

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