26 novembre 2010

Qualche voce a favore della riforma Gelmini

Complici le spettacolari occupazioni dei monumenti italiani, non si parla che delle proteste contro la riforma universitaria in discussione alla Camera. La sensazione è che tutto il mondo dell’università sia in rivolta contro il progetto della Gelmini. Ora, le cose non stanno esattamente così: voci a favore della riforma non mancano, e sono voci di peso. Il “Foglio” di Giuliano Ferrara, in un articolo intitolato Pochi studenti e quattro finiani bloccano una riforma che piace a molti, riprende i pareri favorevoli di Emma Marcegaglia (“Sarebbe inaccettabile che per litigi interni cadesse, introduce elementi importanti come premiare il merito e migliorare la governance”), del rettore dell’Università di Milano Enrico Decleva e di Elio Franzini, ordinario di Estetica e già preside della facoltà di Lettere e filosofia alla statale di Milano.

Franzini, in particolare, è convinto che “a condividere la riforma sia il novanta per cento dei docenti. Nella mia università, la terza in Italia, non è successo niente, a parte una ventina di ricercatori sul tetto”. Il docente considera “imprescindibile la riforma nella parte relativa al reclutamento, con cui si adegua la normativa italiana a quella europea e internazionale, attraverso il meccanismo dell’idoneità nazionale e della chiamata sulla base di un concorso locale tra gli idonei. E anche il tenure track – il ricercatore non è più assunto da subito a tempo indeterminato, ma nei sei anni a disposizione dovrà avere tempo e possibilità di ottenere l’idoneità, per poi concorrere a posti di professore associato e ordinario – lo troviamo identico in tutti i paesi d’Europa dove l’università non è ancora interamente privatizzata. È il modello francese: funziona”.

Franzini aggiunge che “il problema dei finanziamenti scarsi esiste, e ha riguardato i governi di centrosinistra come ora il centrodestra. Ma il modello della riforma è buono. Chi va sui tetti la accusa di voler privatizzare l’Università: non è vero. Nella prima formulazione, un 40 per cento di esterni nei consigli di amministrazione poteva turbare alcune coscienze, ma oggi siamo a tre esterni”. Stessa confusione si fa “sulla pretesa abolizione delle facoltà. La facoltà come madre di tutto il processo universitario ha una diminuzione di peso, è innegabile, ma non è per forza un male, se dà alle singole sedi, a partire dalle loro possibilità e dalla loro tradizione, l’opportunità di disegnarsi statuti che diano peso o meno a strutture didattiche comuni”.

Si aggiunga ciò che Fabrizio Forquet scrive oggi sul “Sole 24 Ore”: “Riforma certamente perfettibile, che ha bisogno di più risorse per partire nel modo migliore, ma che segna(va) un passo importante nel tentativo di dare più efficienza e razionalità a un sistema universitario che affonda nelle sue miserie. Ebbene, quella riforma rischia ora di essere cancellata, risucchiata nel buco nero di uno scontro che ha tutt'altri obiettivi e tutt'altre ragioni. E gli studenti e i ricercatori non ne avranno una migliore e più efficace, rimpiomberanno nel solito tran tran”. Sullo stesso quotidiano, Massimo Egidi spiega perché “la riforma Gelmini porterà l’università italiana nel nuovo decennio più forte e più competitiva di come si presenta oggi”. Si potrebbe continuare a lungo - anche diversi editorialisti del “Corriere della Sera” si sono detti più volte favorevoli a una riforma condivisibile nel suo impianto generale - ma mi fermo qui. I monumenti occupati sono suggestivi, ma non rappresentano la maggioranza degli studenti e dei docenti: tutto qui.