12 dicembre 2010

Bari non dimentica la "Pearl Harbor" del Mediterraneo (e i suoi segreti)


Il 2 dicembre 1943 Julian Assange non era ancora nato, e la segretezza era una cosa molto seria: Sir Wiston Churchill, primo ministro britannico, diceva che “in tempo di guerra la verità è così preziosa che dovrebbe essere protetta da una cortina di bugie”. Altri tempi, certo, e per questo non dobbiamo stupirci se alcuni eventi del secolo passato sono ancora oggetto di studio da parte degli storici, che cercano di far luce su fatti e misfatti coperti da segreto militare. Insomma, altro che WikiLeaks: per scoprire ciò che è accaduto veramente a Bari il 2 dicembre 1943, per ricordare la più grande tragedia navale del conflitto dopo Pearl Harbor, lo sceneggiatore Francesco Morra ha consultato documenti inediti, ha intervistato i testimoni, ha costruito ipotesi e cercato risposte. Il risultato è un documentario intitolato “Top Secret: Bari, 2 dicembre 1943”, prodotto dalla SD Cinematografica per il mercato televisivo nazionale e internazionale, e tuttora aperto al contributo di chi possa fornire documenti e testimonianze volte a ristabilire la verità su una tragedia nascosta del Novecento.

Forse la data del 2 dicembre 1943 non vi dirà niente: i libri di scuola non ne parlano, e per lunghi anni - come voleva Churchill - gli eventi occorsi al porto di Bari sono stati coperti da una “cortina di bugie”. Partiamo dai fatti, dunque. Siamo nel pieno della guerra, e l’Italia è spezzata in due: il capoluogo pugliese è stato liberato tre mesi prima, e gli alleati marciano verso nord per completare la liberazione del paese. La mattina del 2 dicembre il pilota tedesco Werner Hahn sorvola la città - divenuta un centro strategico per i rifornimenti angloamericani - e conferma alla sua base che il porto è “voll besez”, “completamente occupato”. A segnalare la grande affluenza di navi alleate alla Luftwaffe è stata probabilmente una spia, la quale - scrive Antonio Rossano nel saggio “1943: ‘Qui Radio Bari’” (Edizioni Dedalo, 1993) - “secondo una ricostruzione fatta dagli stessi responsabili baresi delle trasmissioni dell’epoca, probabilmente riuscì ad inserirsi negli elenchi di coloro che - di settimana in settimana - venivano ammessi a rivolgere appelli personali diretti ad amici, parenti, familiari lontani”.

Il porto di Bari era effettivamente in fermento: trenta navi all’attracco, operazioni ininterrotte di carico e scarico. Gli alleati si sentono sicuri e - come a Pearl Harbor due anni prima - nessuno immagina che il nemico possa attaccare da un momento all’altro. Così, alle 19.30, 105 bombardieri tedeschi decollati da Aviano e Villa Orba piombano indisturbati sull’obiettivo e aprono il fuoco: in venti minuti la Luftwaffe affonda 19 navi, uccide mille persone e blocca l’attività portuale per tre settimane. Pochi anni dopo, nel memoriale “Crociata in Europa”, il generale Eisenhower scriverà che “il 2 dicembre ‘43 avvenne nel porto di Bari un incidente molto spiacevole e inquietante... Il porto fu soggetto a un’incursione e subimmo la più grave perdita inflittaci con attacco aereo dell’intera campagna militare nel Mediterraneo e in Europa”. Fin qui niente di strano, ci troviamo di fronte a un classico bombardamento contro un obiettivo di cruciale importanza: le domande che pone Francesco Morra nel documentario partono dal giorno dopo, quando iniziano le vere stranezze.

Nel trailer di “Top Secret: Bari, 2 dicembre 1943” sfilano alcuni testimoni e studiosi dell’epoca, insospettiti dalle condizioni dei feriti che nei giorni e nelle settimane seguenti si presentano negli ospedali. Un uomo spiega che “il personale medico era molto perplesso dai sintomi”: feriti in modo lieve presentavano “bolle estese, insolite e irregolari”; gente senza un graffio “aveva la pelle tutta marrone”. Cosa sta succedendo? Se lo chiede anche un’infermiera britannica, che nelle sue memorie ricorda come “gli ufficiali medici cercarono di contattare il War Office a Londra, per informazioni: nessuna risposta. Diventammo furiosi e tuttavia se il War Office non poteva rilasciare informazioni, doveva trattarsi di un segreto militare… non potemmo salvare la maggior parte dei feriti… i loro occhi ci ponevano delle domande alle quali non potevamo rispondere”. A quelle domande risponderà in parte la storia della “John Harvey”, una nave americana di stanza nel porto di Bari colpita dal fuoco tedesco: l’imbarcazione, si scoprirà, trasportava segretamente bombe chimiche.

A provocare quelle morti misteriose, a tracciare quelle ferite devastanti sui corpi di marinai e soccorritori è stato l’iprite, un gas letale bandito dalla Convenzione di Ginevra del 1925. Negli anni trenta il gas venne utilizzato dai fascisti in Etiopia, ma nel corso del secondo conflitto mondiale non venne mai adoperato sui campi di battaglia. Tornando agli eventi di Bari, Churchill ha negato che la “John Harvey” contenesse bombe al gas mostarda: eppure, col tempo, la verità è emersa. L’esplosione del mercantile ha liberato in aria e in mare 550 tonnellate di iprite, ma i morti di Bari venne dichiarati deceduti per “ustioni provocate da azione nemica”, senza particolari precisazioni. Qualche anno dopo, sempre nelle sue memorie, Eisenhower conferma (anche se sminuendolo) l’accaduto: “Per fortuna c'era il vento e il gas fuggente non recò danni. Se il vento fosse spirato in direzione opposta, però, avrebbe potuto benissimo verificarsi un disastro”. Ciò che il generale non sapeva è che gli effetti dell’iprite avrebbero colpito per anni i pescatori baresi, venuti a contatto con le bombe inesplose sui fondali.

Chiarita la presenza dell’iprite sulla “John Harvey”, restano molte domande a cui “Top Secret: Bari 2 dicembre 1943” cercherà di dare una risposta. Perché gli Alleati trasportavano in Italia una nave carica di armi chimiche? Churchill ed Eisenhower erano a conoscenza del carico del mercantile? E i tedeschi, davvero erano all’oscuro di tutto? O, come sostiene l’ex maggiore britannico Glenn B. Infield, la Luftwaffe sapeva bene cosa stava per colpire? Per fare chiarezza, spiega Francesco Morra a “La Repubblica”, “siamo stati in Inghilterra dove abbiamo incontrato e intervistato tre testimoni dei fatti del ’43 a Bari, fortunatamente ancora in vita: due marinai che parteciparono alle operazioni di soccorso e un tecnico medico in forze all’ospedale britannico. Furono costretti a giurare di non rivelare nulla di quanto fosse accaduto”. Anche a Washington, continua l’ideatore del progetto, “abbiamo potuto consultare alcuni documenti che, coperti fino a pochi anni fa dal segreto militare, consentono oggi di poter ricostruire i fatti del 2 dicembre a Bari”. La speranza resta quella di risolvere definitivamente un tragico giallo di molti anni fa.

L'Occidentale