13 maggio 2011

Open/ Andre racconta Agassi

La storia parte dalla fine. Siamo gli US Open del 2006: Andre Agassi batte il giovane Marcos Baghdatis in una delle partite più faticose della sua carriera. Negli spogliatoi, stringendo la mano dell’avversario, la mente del tennista corre all’infanzia trascorsa a respingere le palline sparate dal “drago”, sotto l’occhio intransigente del padre. Fin dalle prime pagine della sua autobiografia Agassi urla al mondo l’odio per il tennis, ripetuto come un mantra: quando “Open” è stato pubblicato negli Stati Uniti, la rivelazione ha suscitato molto clamore e le anticipazioni - fornite con il contagocce alla stampa - hanno rivelato agli americani che il tennista, tra le altre cose, ha portato per anni un parrucchino e ha fatto uso di stupefacenti. Le cinquecento pagine scritte dall’ex-campione rendono però del tutto naturali queste rivelazioni: che Agassi si sia drogato, o che abbia odiato il tennis, è solo un effetto collaterale di una vita vissuta a cento all’ora.

“Open” non ha niente a che fare con le solite autobiografie degli sportivi, scritte da ghost writer. La storia di Agassi, tradotta da Giuliana Lupi e pubblicata da Einaudi, è prima di tutto un grande romanzo di formazione, tipicamente americano, in cui lo sport viene messo a nudo in tutte le sue contraddizioni. Difficile dire dove il tennista abbia trovato l’ispirazione: determinante, comunque, è stato l’incontro con il Pulitzer J. R. Moehringer, che per diversi mesi ha affiancato Agassi in un lungo processo di autoanalisi e, ovviamente, nella stesura del libro. Ad ogni modo, il risultato è davvero sorprendente.

Le pagine migliori di “Open” sono quelle dedicate agli uomini e alle donne che, nel bene e nel male, hanno segnato la vita dell’autore. Da piccolo Agassi è vittima delle angherie di un padre-padrone, determinato a fare del figlio il tennista più forte del mondo: fondamentali, a questo proposito, sono gli anni trascorsi alla scuola tennis di Nick Bollettieri, che seguirà Andre nei primi anni da professionista. Commoventi, nella loro umanità, sono invece Gil e Brad: preparatore atletico il primo e coach il secondo, da un punto di vista professionale i due sono le fondamenta su cui poggiano i trionfi del tennista americano. Un discorso a parte merita poi la rivalità con Pete Sampras, vissuta da entrambi come una serie di battaglie infinite che hanno costellato più di un decennio sportivo.

Ma per l’autore lo sport non è tutto. La vita pubblica e privata del tennista è scandita da storie sentimentali passeggere - come quella con Brooke Shields, sposata senza troppa convinzione - e da un unico grande amore: Steffi Graf, inarrivabile campionessa e madre dei suoi figli. Sarà proprio la passione per i bambini, insieme alla convinzione che l’istruzione sia un diritto fondamentale, a spingere infine Agassi verso la più grande impresa della sua vita: una scuola per togliere i ragazzi dalla strada e accompagnarli fino all’università. Una sfida vinta, che continua a seminare successi lontano dai campi da tennis.

Le partite di una vita

Sampras b. Agassi 6-4, 6-3, 6-2
Poi compare un Pete diverso. Uno che non sbaglia. Giochiamo punti lunghi, difficili, e lui è impeccabile. Arriva dappertutto, ribatte tutto, balzando di qua e di là come una gazzella. Serve delle bombe, vola a rete, m’impone il suo gioco, poi attacca il mio servizio. Sono impotente. Arrabbiato. Mi dico: non può essere vero. (pag. 199)

Agassi b. Ivanišević 6-7, 6-4, 6-4, 1-6, 6-4
Cado in ginocchio. Poi a faccia in giù. Non riesco a credere di provare una simile emozione. Quando mi rialzo barcollando, Ivanišević compare al mio fianco. Mi abbraccia e mi dice con calore: Congratulazioni, campione di Wimbledon. Te lo sei meritato, oggi. (pag. 211)

Agassi b. Stich 6-1, 7-6, 7-5
I giornalisti mi dicono che sono il primo tennista non testa di serie a vincere gli US Open dal 1966. Non solo, sono il primo a riuscirci dai tempi di Frank Shields, il nonno della quinta persona nel mio angolo. Brooke, che era presente ad ogni match, appare felice quanto Brad. (pag. 252)

Agassi b. Sampras 4-6, 6-1, 7-6, 6-4
È il mio secondo slam di fila, il terzo complessivamente. Tutti dicono che è il migliore finora, perché è la mia prima vittoria su Pete nella finale di uno slam. Ma io penso che tra vent’anni lo ricorderò come il mio primo slam da calvo. (pag. 257)

Sampras b. Agassi 6-4, 6-3, 4-6, 7-5
I giornalisti mi chiedono che effetto fa vincere ventisei match di fila, vincere per tutta l’estate, soltanto per finire in quella rete gigantesca che è Pete. Penso: secondo voi che effetto fa? Dico: L’estate prossima perderò un po’ di più. Sono 26-1 e rinuncerei a tutte quelle vittorie per questa. (pag. 279)

Agassi b. Bruguera 6-2, 6-3, 6-1
Un uomo mi mette al collo la medaglia d’oro. Parte l’inno nazionale. Sento il cuore che mi si gonfia, e non ha niente a che fare con il tennis, o con me, e perciò supera tutte le mie aspettative. (pag. 307)

Agassi b. Medvedev 1-6, 2-6, 6-4, 6-3, 6-4
Alzo le braccia e la mia racchetta finisce sulla terra. Sto singhiozzando. Mi strofino la testa. Sono terrorizzato da quant’è bello. Vincere non dovrebbe essere così bello. Non dovrebbe mai importare così tanto. Ma è così, e non posso farci niente. (pag. 390)

Agassi b. Sampras 6-4, 3-6, 6-7, 7-6, 6-1
Mi trafigge con trentasette ace, più di quanti ne abbia mai messi a segno contro di me. Io però ho dalla mia la vigilia di Natale trascorsa con Gil. A due punti dalla sconfitta attuo una furiosa rimonta. Vinco il match e divento il primo dai tempi di Laver a raggiungere la finale di quattro slam consecutivi. (p. 414)

Sampras b. Agassi 6-7, 7-6, 7-6, 7-6
È passata mezzanotte. I tifosi - oltre ventitremila - si alzano in piedi. Non ci lasciano iniziare il quarto tie-break. Battendo i piedi e applaudendo, inscenano il loro tie-break. Prima che ricominciamo vogliono dirci grazie. Sono commosso. Vedo che anche Pete lo è. (pag. 431)

Becker b. Agassi 7-5, 6-7, 6-4, 7-5
Dico ai tennisti: Sentirete un sacco di applausi in vita vostra, ragazzi, ma nessuno sarà tanto importante per voi quanto l’applauso… dei colleghi. Spero che ciascuno di voi lo senta, alla fine. Grazie a tutti. Addio. E abbiate cura gli uni degli altri. (pag. 482)

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