14 novembre 2011

Parola di Monti

Il Post ha pubblicato una raccolta di dichiarazioni di Mario Monti, un modo per conoscere meglio il successore di Berlusconi a Palazzo Chigi. Alcune affermazioni mi piacciono molto, e non so quanto possano piacere a gran parte delle persone che hanno festeggiato in piazza la caduta dell'attuale governo:
Probabilmente il cittadino comune percepisce che il mercato è una cosa scomoda, che sarebbe più confortevole esserne al riparo, dietro questa o quella protezione; ma capisce che se c’è mercato c’è più efficienza, tutti si sforzano di più e in definitiva c’è più benessere (Agosto 2005).

In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’ opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili (Gennaio 2011).

È certo, come mostra l’esperienza di più legislature, che un governo non riuscirà a riformare l’Italia per darle una prospettiva di crescita e di equità, se il potere politico non saprà imporre la riduzione della selva di rendite di cui godono moltissime categorie economico-sociali, vicine alla destra, al centro e alla sinistra (febbraio 2008).

In Italia c’è una selva di privilegi corporativi, siamo tutti con gli artigli tesi a difendere i nostri privilegi (settembre 2011).

Se si vuole essere seri sulle liberalizzazioni, si rivisiti pure la Costituzione, ma prima ancora si visiti Atene. Il 21 gennaio il governo Papandreou ha adottato una riforma di quelle che i Greci chiamano correttamente le «professioni chiuse» e noi pudicamente le «professioni liberali». La riforma consiste nell’abolizione, per tutte le professioni, delle tariffe minime, del numero chiuso, delle restrizioni territoriali e del divieto di farsi concorrenza con la pubblicità. È lasciata agli ordini professionali la possibilità di dimostrare, ma avendo su di sé l’onere della prova, che l’una o l’altra di quelle restrizioni sono necessarie per la tutela di interessi pubblici, quali l’integrità nell’esercizio della professione o la tutela dei consumatori (febbraio 2011).

Devo riconoscere che, spesso richiesto all’estero di giudizi sul presidente Berlusconi e sul suo governo, non ho mai assecondato le colorite espressioni usate dai miei interlocutori nel formulare la domanda e ho sempre sottolineato che, se c’è un «problema Berlusconi», deve essere un problema di noi italiani, che l’abbiamo democraticamente eletto tre volte. La prima volta, posso aggiungere, nella speranza di molti che emergesse anche in Italia una forza liberale (ottobre 2011).

Rendere più efficienti le strutture di mercato, anche con politiche di liberalizzazione, significa rendere più sostenibile la maggiore socialità, grazie ad un’economia più competitiva; significa non ridurre, ma accrescere ulteriormente l’equità sociale (novembre 2006).

Un esempio di riforma strutturale utile per non penalizzare i giovani nel mercato del lavoro è quella proposta dal senatore Pietro Ichino. Essa mira a superare la divisione tra lavoratori anziani di fatto stabili e i giovani che invece, quando riescono ad avere un’occupazione, sono in prevalenza precari. E rispetta anche l’esigenza delle imprese di avere la necessaria flessibilità (febbraio 2009).

I politici sarebbero disposti a dire di sì a tutti pur di vincere. Altro che patto fra le generazioni: se non ci fosse l’Unione Europea a far rispettare i vincoli fra deficit e PIL a pagare il conto sarebbero le generazioni future (aprile 2008).