24 ottobre 2013

Morrissey secondo Morrissey


My childhood is streets upon streets upon streets upon streets. Streets to define you and streets to confine you, with no sign of motorway, freeway or highway.

La musicalità è quella di una canzone degli Smiths. Potrebbe essere tranquillamente una canzone degli Smiths. E invece sono le prime due frasi dell'autobiografia di Morrissey, una cavalcata di 450 pagine - senza alcuna suddivisione in capitoli - pubblicata da Penguin Classics. Uscito da pochi giorni in Inghilterra, è già il libro più chiacchierato dell'anno (lo trovate su Amazon).

La prima parte di Autobiography, 150 pagine, è dedicata all'infanzia e alla formazione di Morrissey a Manchester. La scuola, la famiglia, i primi dischi e i primi concerti. L'amore per Patti Smith e Lou Reed, per Wilde e Auden. Sono le pagine migliori, anche da un punto di vista letterario: un romanzo vero e proprio, di grande qualità (paragonabile a Chronicles di Bob Dylan).

Poi arrivano gli Smiths. L'incontro con il chitarrista Marr, la pubblicazione di quattro album e lo scioglimento della band (senza un vero perché) sono racchiusi in sole 80 pagine. Molte delle quali incentrate sulla figura di Geoff Travis, il manager della Rough Trade che ha messo sotto contratto la band senza averla mai davvero capita.

La seconda parte del libro è interamente occupata dalla carriera solista di Morrissey, dall'uscita di Viva Hate al tour del 2011. Sono le pagine più "libere", in cui l'autore si lascia andare a considerazioni personali sulla vita, sulla musica e sulla politica (ma anche sulla città di Roma, molto amata). Morrissey si toglie poi qualche sassolino dalla scarpa, attaccando - una pagina sì e l'altra pure - il NME e la stampa musicale. Non mancano le chicche, come un tentato rapimento in Messico e il sospetto di aver visto un fantasma.

Tanta attesa era giustificata. Non tanto per le rivelazioni, perché sono ben poche: chi spera di scoprire perché gli Smiths si siano divisi, resterà deluso. Ma Autobiography è un libro importante per ricostruire un'epoca della storia britannica - dagli anni sessanta agli anni novanta - che ha segnato anche la nostra cultura popolare. Ed è un libro davvero bello, soprattutto nella prima parte. Scritto meglio di romanzi spacciati per capolavori. Bentornato, Mr. Morrissey.