11 settembre 2007

Sei anni e non sentirli

11 per 6 fa 66. L’undici settembre, moltiplicato per il 6 degli anni trascorsi, fa 66. Come i feriti provvisori di un missile Qassam che questa mattina ha colpito un convoglio dell’esercito israeliano a riposo. Un soldato è gravissimo. Il missile, neanche a dirlo, è partito dalla Striscia di Gaza, e ora Hamas ringrazia per bocca del portavoce Fawzi Barhoum: “Consideriamo questa una vittoria venuta da Dio per la resistenza. Consideriamo la resistenza un legittimo diritto dei palestinesi a difendere sé stessi e a ristabilire i propri diritti”. Che Hamas parli di “diritti dei palestinesi” con questa limpidezza fa quantomeno sorridere: giusto tre mesi fa, prendendo il controllo della Striscia di Gaza, Hamas ha massacrato i membri di al Fatah (o in odor di Fatah) sparando, torturando, gettando da scale e palazzi, passando e ripassando con le automobili sulle teste e sui corpi dei cari fratelli palestinesi. Punti di vista.

11 settembre e Bin Laden sembra tornato a nuova vita. Un video pochi giorni fa, con una barba nerissima, e oggi un nuovo audio con la lettura del testamento di attentatore del 9/11. Diverse le reazioni. L’intelligence americana, in prossimità della pubblicazione del video di Osama, ha parlato di pericoli grandi ed imminenti per gli Usa: in altre parole, Osama si sta preparando a colpire di nuovo. Bush però, dopo aver visto il video, ha minimizzato: Bin Laden, secondo il presidente, è ormai una macchietta in grado solo di girare filmini. Certezze? Forse una sola. Secondo il ministro degli esteri afgani, Rangeen Dadfar Spanta, Bin Laden non è più in Afghanistan: “Le nostre informazioni di intelligence e le attività di al Qaeda...oltre alle informazioni di afghani impegnati nella guerra contro il terrore...indicano tutte che Bin Laden non si trova nel Paese”. Dove sia, però, resta l’indovinello del secolo.

11 settembre significa pure guerra in Iraq (e dopoguerra da incubo che tutti conosciamo). Bene, ci sono novità dal fronte. L’America ha atteso con ansia la relazione tenuta ieri dal generale Petraeus di fronte al Congresso, e Bush junior può forse tirare un sospiro di sollievo: dall’invio dei rinforzi (30.000 unità), ci sono progressi nella sicurezza anche se non uniformi. Risultato: ad agosto 2008 si può tornare a 15 brigate, cioè al numero di soldati sul campo prima dell’invio dei rinforzi. Non vi pare un grande passo avanti? Neanche a me. Il premier iracheno Al Maliki, del resto, aveva messo le mani avanti ancora prima che il generale aprisse bocca a Washington: “Abbiamo bisogno ancora di maggiori sforzi e tempo perché le nostre forze armate siano in grado di assumere la responsabilità della sicurezza in tutte le province irachene”. Insomma, Bush resta.

C’è chi ride e c’è chi piange, sei anni dopo. Piangono gli Usa, impantanati in Iraq. Piangono i palestinesi di al Fatah, massacrati come animali nei mattatoi di Hamas. Piange Israele, sotto una pioggia di missili, tra vicini che lo vogliono eliminare e l’Europa che rifiuta ogni sostegno (anche morale). Ma c’è chi ride. Ride l’Iran, che corre tranquillo verso l’atomica con l’apertura di tremila centrifughe, mentre nel mondo si discute su come discutere. Ride Hamas, padrona di Gaza, riccamente finanziata dall’Iran. Ride il buon Osama, e prova pure a fare lo spiritoso (“Abbracciate l’Islam, qui non si pagano le tasse”, mentre infuria la crisi dei mutui) con un umorismo molto inglese. Ridono migliaia di jihadisti nel mondo, perché il loro numero aumenta di giorno in giorno con nuovi adepti stanchi dell’Occidente.

Undici settembre, sei anni fa. Tutti ricordiamo dove eravamo, cosa stavamo facendo, cosa abbiamo pensato. Ricordiamo i crolli delle torri, ricordiamo il Pentagono. Ricordiamo l’Afghanistan, una guerra da vincere, ricordiamo l’Iraq, dove forse era meglio non andare. Ricordiamo Madrid e Londra. Ricordiamo gli attentati sventati in seguito. Ricordiamo la guerra in Libano, dove Israele aveva ragione ma non ha saputo vincere. E avanti, fino alla presa di Gaza da parte di Hamas con tutto il terrore, la morte e le torture che sono seguite. Eh sì, sono stati sei anni pieni. Eppure, sembra ieri.

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