Ogni anniversario che si rispetti comporta celebrazioni e divisioni. Così è per i grandi eventi storici, dal 25 aprile all’11 settembre, come per i personaggi che hanno lasciato un segno nella storia e nella cultura. Il 15 settembre 2007, primo anniversario della morte di Oriana Fallaci, non fa eccezione: le commemorazioni vanno a braccetto con le discussioni tra chi l’ha sempre amata e chi l’ha sempre odiata, tra chi l’ha scoperta nel 2001 e chi da quel momento non l’ha riconosciuta più.
Oltre a segnare il ritorno di Oriana Fallaci dopo dieci anni di assoluto silenzio, “La rabbia e l’orgoglio” – pubblicato dal Corriere della Sera il 29 settembre 2001 – ha dato una scossa vitale alle interpretazioni politico-culturali dell’11 Settembre. Da lì in avanti, infatti, le riflessioni sul terrorismo islamico molto spesso faranno riferimento a quel phamplet dirompente, seguito a breve distanza da “La forza della ragione” e “Oriana Fallaci intervista se stessa”. Questa rinnovata attenzione per la scrittrice nasconde però una trappola insidiosa, cioé il rischio che ad essere ricordata e tramandata sia solamente la Fallaci “anti-islam” degli ultimi cinque anni. Ma le opere di Oriana Fallaci sono molte di più rispetto alla “trilogia islamica”, che chiude la sua carriera ed è solo la fase conclusiva delle esperienze, degli studi e degli scritti che occupano l’arco intero di una vita intensissima.
Oriana Fallaci è stata prima di tutto una scrittrice. E fare la giornalista, ha sempre dichiarato, “è stato un mezzo per essere scrittrice”. La commistione tra le due professioni emerge in ogni sua opera. Così è in “Niente e così sia”, il racconto del primo anno da inviata in Vietnam a caccia del significato della vita. Così è in “Insciallah”, una moderna Iliade trasposta nella guerra civile libanese degli anni Ottanta. Così in “Se il sole muore”, un ritratto degli uomini che stavano per tornare sulla luna. Leggere oggi queste opere significa scoprire una grande autrice italiana che ancora non compare sui libri di letteratura. Significa scoprire un romanziere di razza, un cantore della libertà e della vita, capace di commuovere milioni di lettori con libri sensazionali come “Un uomo”, la biografia del proprio compagno Alekos Panagulis che si oppose fino alla morte alla dittatura greca dei Colonnelli. Reportage, romanzi, biografie.
Ma Oriana Fallaci è stata anche una giornalista in senso stretto. Spinta dallo zio Bruno mosse i primi passi al Mattino di Firenze, per poi presentarsi a L’Europeo con un brillante articolo sul funerale negato a un comunista di Fiesole: finì direttamente in prima pagina. Da quel giorno, la strada è stata tutta in discesa. Oriana Fallaci ha intervistato i potenti della terra, da Khomeini a Kissinger. Ha ritratto i grandi dello spettacolo e della cultura, da Anna Magnani a Pier Paolo Pasolini. Dal Vietnam ha raccontato con onestà tanto gli orrori degli americani quanto quelli dei vietcong. È stata in Libano per testimoniare la guerra civile in atto. Ha inviato corrispondenze da tutti i punti caldi del pianeta, fino a Città del Messico dove nel 1968 ha addirittura sfiorato la morte in Piazza delle Tre Culture: le vittime della repressione statale furono centinaia, ma le Olimpiadi proseguirono come se niente fosse accaduto.
Insomma, quella della Fallaci è stata una vita in prima linea, tanto che le sue interviste, i suoi reportage e le sue cronache sono oggi esempio (e oggetto di studio) per tutti gli aspiranti giornalisti del mondo. E quello stesso giornalismo, che intraprese inizialmente per poter essere scrittrice, divenne per la Fallaci una missione di vita: “We’re heroes”, disse riferendosi agli inviati di guerra nel corso della celebre trasmissione americana “60 minutes”. Eroi e “storici del presente”.
Ma Oriana Fallaci è stata molte altre cose, forse meno note dei bestseller e della sua lotta al terrorismo. Ed è stata una perfezionista della parola, capace di costruire una prosa tanto studiata da apparire fresca, immediata e perfetta. E in fondo è stata semplicemente un essere umano: con tutte le sfumature, i pregi e i difetti che questo comporta.
Parlare di Oriana Fallaci è parlare di un simbolo. Il simbolo dell’emancipazione femminile, con le battaglie a favore della parità tra i sessi. È poi stata un simbolo della resistenza ad ogni dittatura, l’ultima quella islamica (combattuta questa volta con le parole). Il simbolo del rifiuto della guerra, denunciata in ogni romanzo e reportage. Il simbolo dell’indipendenza, con una vita spesa in solitudine contando solo sulle proprie forze. Questo è il senso dell’anniversario: celebrare una grandezza oggettiva e spingere ad indagare un mondo vasto e complesso come il pensiero e le opere di Oriana Fallaci.
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