14 ottobre 2007

Pechino 2008, la religione fuori dagli stadi

Alle Olimpiadi cinesi mancano meno di trecento giorni. Mentre i preparativi procedono senza sosta, il mondo si interroga: è giusto affidare i Giochi Olimpici, simbolo di pace e fratellanza, ad una dittatura che reprime dissenso e minoranze?

Alcuni sostengono che l’assegnazione dei Giochi a Pechino sia un modo per spingere la Cina sulla strada di un maggiore rispetto dei diritti umani. Altri, al contrario, credono che nulla cambierà: e la miglior forma di protesta contro il governo cinese sarebbe quella di boicottare le Olimpiadi, ritirando le proprie delegazioni. Nessuno, evidentemente, arriverà a tanto: è assai più probabile che le Olimpiadi si svolgano secondo copione, con tanto di feste e medaglie.

La questione più concreta, allora, è come comportarsi durante lo svolgimento dei Giochi. La Cina teme fortemente clamorosi episodi di dissenso, che avrebbero il pregio di richiamare l’attenzione di tutti i media mondiali, simultaneamente concentrati su Pechino. E su quale fronte la Cina rischia maggiormente le proteste? Senza dubbio su quello religioso.

In questo contesto si spiega l’annuncio lanciato giovedì dagli organizzatori della manifestazione, in occasione del secondo World Press Briefing – un incontro rivolto ai giornalisti che seguiranno i Giochi –: nel villaggio olimpico sarà proibito portare “opuscoli e materiali usati per qualsiasi attività religiosa o politica”, per la prima volta nella storia delle Olimpiadi. Insomma, niente religione nel più grande paese comunista del mondo.

In seguito alle proteste giunte da tutta la comunità internazionale, però, il Comitato organizzatore ha dovuto fare un passo indietro: venerdì è stato precisato che il divieto riguarda solo il “materiale promozionale” – senza chiarire se Bibbia e Corano siano considerati tali –. Saranno inoltre permesse le manifestazioni “personali” di fede: croce al collo e velo in testa dovrebbero insomma essere garaniti. Insieme alla propaganda religiosa, poi, è ovviamente vietata anche quella politica: il portavoce del Comitato, Anthony Edgar, ha ricordato infatti che “in nessun caso le Olimpiadi devono essere usate per la propaganda politica”, in conformità a quanto afferma la Carta olimpica.

Cosa c’è dietro la decisione cinese? Certo non sarà una Messa a preoccupare il partito comunista. Più che dai grandi paesi occidentali, infatti, i maggiori problemi verrebbero dalle minoranze religiose costantemente represse dal governo cinese. In prima linea, sul fronte del dissenso, i buddisti Tibetani, i mussulmani Uighuri e i discepoli del Falun Gong, un movimento spirituale consierato fuorilegge. Ma il doppio divieto – religioso e civile – al materiale propagandistico non può che rimandare anche alla maggiore protesta – religiosa e civile – di questi mesi: quella dei monaci birmani.

La Cina, invisa al mondo per il suo sostegno (neanche troppo celato) al regime militare di Than Shwe, teme fortemente che le Olimpiadi possano rappresentare un’occasione per superare le maglie della censura e riportare in auge la protesta degli arancioni, ad un anno dalla repressione di quella attuale. La Birmania presenta inoltre un ulteriore motivo di preoccupazione: la rivolta buddista contro la giunta del Myanmar potrebbe un giorno essere imitata dai tibetani, questa volta contro il regime comunista cinese. Un’eventualità che il governo cercherà di evitare con ogni mezzo.
I partecipanti ai Giochi si chiedono intanto che fare. Come si comporterà l’Italia, che nelle scorse edizioni è sempre stata accompagnata da Monsignor Mazza? Saranno permesse le celebrazioni pubbliche, alle quali in passato hanno partecipato anche atleti stranieri? E poi che fare con i Vangeli, si potranno mettere in valigia?

Sul fronte istituzionale Giovanna Melandri, ministro delle Attività Sportive, ha espresso soddisfazione per il mezzo passo indietro compiuto dal Comitato organizzatore: “Sarebbe stato inammissibile che il diritto fondamentale di espressione della propria fede religiosa potesse essere censurato durante le Olimpiadi, manifestazione che rappresenta il momento di massima espressione dell’esistenza umana”. Ma il problema resta: gli organizzatori infatti, quando gli è stato chiesto cosa intendessero per “materiale propagandistico”, non hanno dato risposte precise.
Monsignor Carlo Mazza, Vescovo di Fidenza e responsabile per lo sport della Conferenza Episcopale Italiana, rinuncia alle polemiche: “Per me è un privilegio accompagnare gli atleti, non voglio commentare questa vicenda”. Ma, se le direttive restano queste, qualcosa dovrà cambiare: se a Sydney celebrava Messa all’aperto – anche per atleti stranieri – e in un clima gioioso, a Pechino forse dovrà rintanarsi nelle camere degli atleti. Comitato Organizzatore permettendo.