Ibrahim Gambari, inviato in Birmania per conto delle Nazioni Unite, ha lasciato ieri il paese mettendo fine alla sua seconda visita durata cinque giorni. Anche questa volta il diplomatico ha incontrato membri della giunta al potere e la leader dell'opposizione, Aung San Suu Kyi. Ma se le Nazioni Unite ostentano ottimismo, sono ormai in pochi a credere ancora nella diplomazia delle parole.
Partiamo dai fatti. Le Nazioni Unite, dopo la partenza di Gambari, hanno fatto il punto della situazione in un comunicato ufficiale. Stando all'Onu, grazie al lavoro dell'inviato nigeriano e ai suoi incontri con governo e opposizione, "non siamo al punto in cui eravamo qualche settimana fa". Progressi, dunque? Secondo la dichiarazione ufficiale, sì: si sarebbe infatti avviato un processo che porterà "al dialogo tra il governo e Aung San Suu Kyi come strumento chiave per la riconciliazione nazionale". Ma attenzione, "prima il dialogo incomincerà, meglio sarà per la Birmania": più che una certezza, dunque, un auspicio.
Il comunicato prosegue assicurando che le Nazioni Unite continueranno a collaborare con la Birmania, con il "completo supporto e la fiducia del governo della Birmania e della comunità internazionale": una frase assurda, se pensiamo alla totale indisponibilità della giunta e all'ostruzionismo cinese in seno alle Nazioni Unite. A questo proposito, Gambari è già stato invitato a visitare nuovamente il paese nelle prossime settimane: dopo aver capito che le sue possibilità d'azione sono pressoché nulle, per Than Shwe l'ospite diventa quasi gradito.
In cosa consiste il mandato di Gambari? Portare la Birmania alla riconciliazione nazionale, alla liberazione di Aung San Suu Kyi e alla libertà d'espressione politica. Unico strumento per raggiungere i suoi scopi, però, è il dialogo: ben poco di fronte ai bastoni della dittatura.
Sul fronte governativo, Gambari ha incontrato mercoledì il primo ministro Thein Sein – al quale ha consegnato una lettera per il leader supremo, Than Shwe: questa volta, il dittatore non si è neppure degnato di "salutare" personalmente l'ospite. Nel corso dell'incontro, i due hanno discusso dei possibili sviluppi nella collaborazione tra Stato e Nazioni Unite: a questo proposito, Gambari ha ribadito come "un ritorno allo status quo sia inaccettabile", per poi consigliare alcuni passi necessari per andare incontro alle aspettative internazionali (Cina esclusa…). Cosa chiede il mondo alla Birmania? Di avviare un dialogo con l'opposizione, d'intraprendere misure concrete a favore dei diritti umani, di migliorare le condizioni socioeconomiche della popolazione. A questo proposito, Gambari si è poi spinto fino a suggerire la costituzione di una commissione governativa finalizzata all'alleviamento della povertà.
E una risposta secca alla sua proposta – quella della commissione – l'ha data il ministro dell'Informazione, Kyaw San, secondo quanto riportato dal quotidiano "New Light of Myanmar". Secondo il ministro, "invece di rimproverare e suggerire la formazione di una commissione per alleviare la povertà del paese, dovrebbe (Gambari, ndr) giocare un ruolo chiave nel convincere gli altri ad abbandonare le sanzioni: in questo caso, la commissione non sarebbe necessaria". Una vera e propria presa per i fondelli, con tanto d'ironico invito ad unirsi a coloro che sostengono il regime militare.
Dopo le batoste governative, Gambari ha poi dialogato ieri con il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Ancora una volta, i contenuti sono top secret: a Suu Kyi è vietata qualsiasi esternazione pubblica, e pertanto sarà forse l'inviato delle Nazioni Unite a rilasciare una dichiarazione sull'incontro al termine della missione. Un minimo passo avanti, forse solo di facciata, si è comunque registrato: oggi la leader dell'opposizione potrà incontrare qualche esponente del suo partito (Lnd). Secondo la televisione di stato birmana, che ha dato l'annuncio, all'incontro prenderà parte anche un alto funzionario della giunta militare, incaricato di tenere i rapporti con l'opposizione. Un contentino dovuto all'invito al dialogo lanciato dall'Onu.
Ibrahim Gambari ce la mette davvero tutta, ma la via diplomatica molto difficilmente porterà a qualcosa. E anche la nomina di un incaricato europeo per la Birmania – Piero Fassino – non porterà certo ad alcuno sviluppo finché il protagonista di maggior peso nella partita, la Cina, non si schiererà di fianco ai paesi occidentali. E tutto lascia pensare che ciò non avverrà mai. Il pessimismo per l'attuale situazione emerge ormai anche a livello ufficiale: secondo un diplomatico di base a Rangoon, interpellato dalla Reuters, "non c'è alcun dubbio che questo regime non ha la minima intenzione di cooperare con Gambari o di dare il via ad un processo di genuino dialogo politico". Difficile dargli torto: non si tratta più di analisi politiche, quanto di evidenza.
E poche sono le speranze, ormai, anche sul fronte dei monaci. Se la presenza di Gambari sul territorio evita repressioni violente o ulteriori arresti, è pur vero che i religiosi buddisti sembrano essersi arresi all'evidenza: senza un forte supporto internazionale, scendere in piazza è pressoché inutile. Ma se l'arancione è sempre meno presente sulle strade, qualcosa sta forse montando tra le fila della società civile: l'agenzia di stampa Mizzima, infatti, dà notizia di alcuni pamphlet anti-giunta distribuiti a Rangoon da gruppi di attivisti.
I nuovi protestanti si fanno chiamare "Generation Wave", e puntano a raccogliere il testimone della celebre Generazione 88 – che ha visto molti attivisti arrestati nel corso della recente repressione governativa. Attraverso manifesti e poster, gli attivisti vorrebbero riaccendere lo spirito di settembre: i messaggi sinora lanciati sono "CNG" (Change New Government) e "FFF" (Freedom From Fear). Kyaw Kyaw, membro della "Generation Wave", ha rilasciato una vera e propria dichiarazione d'intenti – o meglio, di speranza –: obiettivo del gruppo è distribuire il poema "Bah Kah Tah" (scritto da uno dei leader studenteschi della Generazione 88) ai più giovani, così che capiscano "di avere un compito da portare avanti". Il compito della lotta per un futuro democratico, che da vent'anni a questa parte accompagna la vita quotidiana della popolazione birmana. Anche quando la comunità occidentale guardava da un'altra parte.
Partiamo dai fatti. Le Nazioni Unite, dopo la partenza di Gambari, hanno fatto il punto della situazione in un comunicato ufficiale. Stando all'Onu, grazie al lavoro dell'inviato nigeriano e ai suoi incontri con governo e opposizione, "non siamo al punto in cui eravamo qualche settimana fa". Progressi, dunque? Secondo la dichiarazione ufficiale, sì: si sarebbe infatti avviato un processo che porterà "al dialogo tra il governo e Aung San Suu Kyi come strumento chiave per la riconciliazione nazionale". Ma attenzione, "prima il dialogo incomincerà, meglio sarà per la Birmania": più che una certezza, dunque, un auspicio.
L'Occidentale