Gli attentati di New York, Madrid e Londra – così come le stragi di Sharm El Sheik, Beslan e quelle quotidiane in Iraq e Afghanistan – hanno pericolosamente abituato tutti noi a convivere con il terrorismo islamico. Un tempo eventi d'assoluta centralità, oggi gli attentati non fanno più notizia: un'autobomba deve uccidere almeno cinquanta iracheni perché i quotidiani europei ne diano notizia, relegando il tutto in un trafiletto. E soltanto un attentato in territorio occidentale, capace di palesare la morte a pochi chilometri da casa, riesce ormai a tenere vivo il senso del pericolo che quotidianamente incombe su Europa e Stati Uniti.
L'abitudine all'attentato porta con sé anche quella ad Al Qaeda. Sei anni fa, un messaggio audio o video di Bin Laden e Al Zawahiri era in grado di catalizzare l'attenzione mondiale: edizioni straordinarie, titoli di apertura, tutti a tremare di fronte alle minacce dello Sceicco del terrore. Oggi, invece, i messaggi di Al Zawahiri non fanno più notizia. Quasi stancano: sempre la stessa solfa, le stesse minacce, le stesse rivendicazioni di un folle. Bin Laden e Al Zawahiri, nel 2007, sono ormai due personaggi "normali", quasi politici, con i quali fare i conti al pari di altri (più o meno folli) capi di Stato.
Ma ci sono delle questioni che non si possono dimenticare. I soldati italiani sono in Afghanistan proprio a combattere Al Qaeda, coperta e sostenuta dal movimento Taliban. E sempre Al Qaeda è dietro a gran parte del sangue che scorre quotidianamente per le vie di Baghdad. L'organizzazione nata dall'unione dei soldi di Bin Laden e dell'esperienza di Zawahiri è ancora viva, e ogni giorno lotta per inseguire l'originario progetto di un califfato islamico che abbracci tutte le terre emerse. Sulle pagine dell'Occidentale, Hamza Boccolini ricordava qualche giorno fa come l'internazionale del terrore si trovi di fronte a crescenti difficoltà sul campo di battaglia iracheno: da qui l'ultimo messaggio audio attribuito a Osama Bin Laden, nel tentativo di compattare le fila per scacciare l'odiato nemico americano dalle terre dell'Islam. Ma se in Iraq e Afghanistan i movimenti legati ad Al Qaeda sono costantemente monitorati dagli angloamericani, bisogna fare attenzione a non scordare il fronte interno: il cuore dell'Occidente, dove Al Qaeda prospera all'ombra delle moschee.
Anche l'Italia, nel suo piccolo, ha avuto a che fare in questi anni con i seguaci di Bin Laden. Imam dediti all'apologia – e al sostegno – del terrorismo internazionale, personaggi scomodi passati da viale Jenner e via fino alla notizia di ieri: una vera e propria "fabbrica di kamikaze" all'ombra della Madonnina, dedita all'arruolamento di giovani volenterosi da mandare in Iraq e Afghanistan.
Diciassette membri della banda sono oggi, fortunatamente, dietro alle sbarre: ma il lavoro compiuto egregiamente dai Ros, tanto a Milano quanto a Reggio Emilia, deve essere un monito per tutti. Primo: Al Qaeda non è solo in Medio Oriente, ma può trovarsi anche a pochi passi da noi (sotto forme diverse, certo: ma pur sempre Bin Laden è il maestro ispiratore). Secondo: si può combattere militarmente Al Qaeda, ma il messaggio è ormai filtrato e ci sarà sempre qualcuno, indottrinato per bene, pronto a rinverdire le fila del terrorismo.
Osama e Zawahiri, del resto, possono contare su una rete mediatica sterminata: al centro di tutto, internet. Un esempio: se Bin Laden chiama i Fratelli Mussulmani a compattarsi, in seguito a una flessione nella "resistenza" irachena e afgana, ecco che pochi giorni dopo il suo braccio destro egiziano può rilasciare un vero e proprio comunicato stampa in mondovisione, annunciando di aver "scritturato" il gruppo islamico militante in Libia nella rete del terrore. Le potenzialità degli audiomessaggi non devono essere sottovalutate: se hanno stancato noi occidentali, infatti, restano sempre manna dal cielo per coloro che cercano uno sprone ad intraprendere l'attività terroristica. E non è un caso, come è successo a Milano, che nelle case dei sospetti terroristi vengano sempre ritrovati materiali propagandistici inneggianti al Jihad, così come registrazioni su audiocassetta dei proclami di Bin Laden.
Il vero pericolo, a sei anni dall'11 settembre, è sempre di più l'indottrinamento al terrorismo in territorio europeo: vere e proprie scuole della morte, pronte a sorgere dove meno ce l'aspettiamo. E in Europa, a farne maggiormente le spese, sembra essere quella Gran Bretagna che in occasione degli attentati di Londra fece i conti con la rabbia di immigrati nati e cresciuti sul suo territorio. L'Inghilterra non ha dimenticato, e ancora oggi sa bene che il pericolo maggiore non viene tanto dagli aerei di linea quanto piuttosto dai suoi stessi figli. Così, allora, si spiega il grido d'allarme lanciato martedì dal capo del M15, la sezione dell'intelligence militare inglese per la sicurezza e il controspionaggio.
Jonathan Evans, al suo primo discorso pubblico, non ha lasciato intravedere nulla di buono: tanto per il suo paese, quanto per l'Europa. Il pericolo targato Al Qaeda, secondo l’M15, è il più immediato ed acuto che l'intelligence si sia trovata ad affrontare (in tempo di pace) nei suoi 98 anni di storia. E poi, l'affondo: "I terroristi stanno metodicamente e intenzionalmente mirando a giovani e bambini in questo paese" ha detto Evans, spiegando che "stanno radicalizzando, indottrinando e crescendo persone giovani e vulnerabili per spingerli a compiere attentati terroristici". Non basta più, insomma, guardarsi da quegli immigrati che si credevano completamente integrati nella Londra multietnica: ora l'intelligence inglese si trova a fronteggiare persino dei bambini.
L'allarme dell’M15 è suffragato dai fatti: "Quest'anno abbiamo visto individui di 15 o 16 anni implicati in attività relative al terrorismo" ha detto Evans. La notizia non deve stupire: non sarà certo il rispetto per i più piccoli a fermare i piani di Al Qaeda. Il premio Pulitzer Lawrence Wright, in "Le altissime torri", rivela a questo proposito una storia inquietante. Nei primi anni novanta, allo scopo di mettere le mani su Zawahiri, i servizi segreti del presidente egiziano Mubarak si servirono di alcuni bambini. Caso volle, però, che Zawahiri li scoprì: nonostante si trovassero nella posizione di spie in seguito ad un tremendo ricatto del governo egiziano (che li drogò e sodomizzò, filmando il tutto), Zawahiri li fece fucilare e "per essere certo che la lezione ottenesse lo scopo, filmò le confessioni e le esecuzioni, diffondendo poi il nastro perché servisse di esempio a chiunque potesse venir tentato di tradire l'organizzazione".
E a confortare, infine, le parole del nuovo direttore del controspionaggio inglese ci sono anche numeri precisi: se nel novembre 2006 il MI5 teneva sotto controllo 1600 sospetti implicati in una trentina di progetti terroristici, oggi i sospetti sono 2000. Un aumento del pericolo indirettamente proporzionale a quello iracheno e afgano, dove Al Qaeda si trova sotto il fuoco incrociato della coalizione internazionale. Ulteriore indizio, se ancora ve ne fosse bisogno, che è ancora una volta il territorio occidentale ad essere maggiormente esposto ai pericoli rappresentati da Bin Laden e dalla cricca del terrore.
L'abitudine all'attentato porta con sé anche quella ad Al Qaeda. Sei anni fa, un messaggio audio o video di Bin Laden e Al Zawahiri era in grado di catalizzare l'attenzione mondiale: edizioni straordinarie, titoli di apertura, tutti a tremare di fronte alle minacce dello Sceicco del terrore. Oggi, invece, i messaggi di Al Zawahiri non fanno più notizia. Quasi stancano: sempre la stessa solfa, le stesse minacce, le stesse rivendicazioni di un folle. Bin Laden e Al Zawahiri, nel 2007, sono ormai due personaggi "normali", quasi politici, con i quali fare i conti al pari di altri (più o meno folli) capi di Stato.
Ma ci sono delle questioni che non si possono dimenticare. I soldati italiani sono in Afghanistan proprio a combattere Al Qaeda, coperta e sostenuta dal movimento Taliban. E sempre Al Qaeda è dietro a gran parte del sangue che scorre quotidianamente per le vie di Baghdad. L'organizzazione nata dall'unione dei soldi di Bin Laden e dell'esperienza di Zawahiri è ancora viva, e ogni giorno lotta per inseguire l'originario progetto di un califfato islamico che abbracci tutte le terre emerse. Sulle pagine dell'Occidentale, Hamza Boccolini ricordava qualche giorno fa come l'internazionale del terrore si trovi di fronte a crescenti difficoltà sul campo di battaglia iracheno: da qui l'ultimo messaggio audio attribuito a Osama Bin Laden, nel tentativo di compattare le fila per scacciare l'odiato nemico americano dalle terre dell'Islam. Ma se in Iraq e Afghanistan i movimenti legati ad Al Qaeda sono costantemente monitorati dagli angloamericani, bisogna fare attenzione a non scordare il fronte interno: il cuore dell'Occidente, dove Al Qaeda prospera all'ombra delle moschee.
Anche l'Italia, nel suo piccolo, ha avuto a che fare in questi anni con i seguaci di Bin Laden. Imam dediti all'apologia – e al sostegno – del terrorismo internazionale, personaggi scomodi passati da viale Jenner e via fino alla notizia di ieri: una vera e propria "fabbrica di kamikaze" all'ombra della Madonnina, dedita all'arruolamento di giovani volenterosi da mandare in Iraq e Afghanistan.
Diciassette membri della banda sono oggi, fortunatamente, dietro alle sbarre: ma il lavoro compiuto egregiamente dai Ros, tanto a Milano quanto a Reggio Emilia, deve essere un monito per tutti. Primo: Al Qaeda non è solo in Medio Oriente, ma può trovarsi anche a pochi passi da noi (sotto forme diverse, certo: ma pur sempre Bin Laden è il maestro ispiratore). Secondo: si può combattere militarmente Al Qaeda, ma il messaggio è ormai filtrato e ci sarà sempre qualcuno, indottrinato per bene, pronto a rinverdire le fila del terrorismo.
Osama e Zawahiri, del resto, possono contare su una rete mediatica sterminata: al centro di tutto, internet. Un esempio: se Bin Laden chiama i Fratelli Mussulmani a compattarsi, in seguito a una flessione nella "resistenza" irachena e afgana, ecco che pochi giorni dopo il suo braccio destro egiziano può rilasciare un vero e proprio comunicato stampa in mondovisione, annunciando di aver "scritturato" il gruppo islamico militante in Libia nella rete del terrore. Le potenzialità degli audiomessaggi non devono essere sottovalutate: se hanno stancato noi occidentali, infatti, restano sempre manna dal cielo per coloro che cercano uno sprone ad intraprendere l'attività terroristica. E non è un caso, come è successo a Milano, che nelle case dei sospetti terroristi vengano sempre ritrovati materiali propagandistici inneggianti al Jihad, così come registrazioni su audiocassetta dei proclami di Bin Laden.
Il vero pericolo, a sei anni dall'11 settembre, è sempre di più l'indottrinamento al terrorismo in territorio europeo: vere e proprie scuole della morte, pronte a sorgere dove meno ce l'aspettiamo. E in Europa, a farne maggiormente le spese, sembra essere quella Gran Bretagna che in occasione degli attentati di Londra fece i conti con la rabbia di immigrati nati e cresciuti sul suo territorio. L'Inghilterra non ha dimenticato, e ancora oggi sa bene che il pericolo maggiore non viene tanto dagli aerei di linea quanto piuttosto dai suoi stessi figli. Così, allora, si spiega il grido d'allarme lanciato martedì dal capo del M15, la sezione dell'intelligence militare inglese per la sicurezza e il controspionaggio.
Jonathan Evans, al suo primo discorso pubblico, non ha lasciato intravedere nulla di buono: tanto per il suo paese, quanto per l'Europa. Il pericolo targato Al Qaeda, secondo l’M15, è il più immediato ed acuto che l'intelligence si sia trovata ad affrontare (in tempo di pace) nei suoi 98 anni di storia. E poi, l'affondo: "I terroristi stanno metodicamente e intenzionalmente mirando a giovani e bambini in questo paese" ha detto Evans, spiegando che "stanno radicalizzando, indottrinando e crescendo persone giovani e vulnerabili per spingerli a compiere attentati terroristici". Non basta più, insomma, guardarsi da quegli immigrati che si credevano completamente integrati nella Londra multietnica: ora l'intelligence inglese si trova a fronteggiare persino dei bambini.
L'allarme dell’M15 è suffragato dai fatti: "Quest'anno abbiamo visto individui di 15 o 16 anni implicati in attività relative al terrorismo" ha detto Evans. La notizia non deve stupire: non sarà certo il rispetto per i più piccoli a fermare i piani di Al Qaeda. Il premio Pulitzer Lawrence Wright, in "Le altissime torri", rivela a questo proposito una storia inquietante. Nei primi anni novanta, allo scopo di mettere le mani su Zawahiri, i servizi segreti del presidente egiziano Mubarak si servirono di alcuni bambini. Caso volle, però, che Zawahiri li scoprì: nonostante si trovassero nella posizione di spie in seguito ad un tremendo ricatto del governo egiziano (che li drogò e sodomizzò, filmando il tutto), Zawahiri li fece fucilare e "per essere certo che la lezione ottenesse lo scopo, filmò le confessioni e le esecuzioni, diffondendo poi il nastro perché servisse di esempio a chiunque potesse venir tentato di tradire l'organizzazione".
E a confortare, infine, le parole del nuovo direttore del controspionaggio inglese ci sono anche numeri precisi: se nel novembre 2006 il MI5 teneva sotto controllo 1600 sospetti implicati in una trentina di progetti terroristici, oggi i sospetti sono 2000. Un aumento del pericolo indirettamente proporzionale a quello iracheno e afgano, dove Al Qaeda si trova sotto il fuoco incrociato della coalizione internazionale. Ulteriore indizio, se ancora ve ne fosse bisogno, che è ancora una volta il territorio occidentale ad essere maggiormente esposto ai pericoli rappresentati da Bin Laden e dalla cricca del terrore.
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