18 dicembre 2007

Hamas festeggia e prepara la terza Intifada

Trecentomila persone in piazza, bandiere verdi al vento, uomini incappucciati, mitra puntati al cielo e tanto odio contro Israele. Nel ventesimo anniversario della sua fondazione, l’organizzazione palestinese di Hamas ha celebrato sé stessa e la sua storia. Poche – ma chiare – certezze: Abu Mazen è un negoziatore illegittimo, i palestinesi non devono concedere un millimetro di terra e Israele va combattuto fino alla morte. E al ritmo dei razzi Qassam, lanciati contro il sud dello Stato ebraico, ci si prepara intanto a una possibile invasione israeliana della Striscia di Gaza.

Hamas vide la luce nel dicembre 1987 (in seguito alla prima Intifada palestinese) come costola dei Fratelli Musulmani in Terra Santa: obiettivo principale, esplicitato orgogliosamente nello Statuto fondativo del 1988, la distruzione d’Israele e la fondazione di uno Stato islamico in Palestina. Alla base dell’ideologia di Hamas, sviluppatasi nel corso dell’ultimo ventennio, il peggio dei miti antisemiti: secondo il movimento islamico di Gaza, ad esempio, i Protocolli dei Savi di Sion sarebbero autentici, così come massoneria, Lions e Rotary sarebbero pericolose organizzazioni create agli ebrei “per distruggere la società e promuovere gli interessi sionisti”.

In vent’anni, Hamas si è macchiata di numerosi atti di terrorismo contro Israele, concentrati prevalentemente nell’utilizzo di kamikaze sul suolo nemico (le terribili esplosioni che hanno flagellato per anni locali e mezzi di trasporto pubblici israeliani) e, più recentemente, nel continuo lancio di razzi Qassam dalla Striscia di Gaza al Negev, rendendo pressoché invivibile una città come Sderot.

Riconosciuta come organizzazione terroristica tanto dagli Stati Uniti quanto da Israele, il 25 gennaio 2006 Hamas vinse le elezioni palestinesi: ma in seguito al boicottaggio da parte di mezzo mondo, il governo di Hamas venne sostituito da un esecutivo misto, comprendenti membri del partito avversario Fatah. Hamas non ha mai digerito quella che considera un’illegittima usurpazione di potere: da qui la rivolta di giugno, nel corso della quale – dopo giorni di violenze inaudite contro i “fratelli” di Fatah – l’organizzazione ha assunto il controllo di tutta la Striscia di Gaza, e dividendo di fatto in due il territorio palestinese (“Hamastan” e la Cisgiordania, controllata da Fatah e Abu Mazen, leader dell’Autorità Nazionale Palestinese).

È questa la storia che lo scorso fine settimana Hamas ha festeggiato in piazza a Gaza, colma fino all’inverosimile (trecentomila persone secondo gli organizzatori, anche se alcune stime giungono a parlare di mezzo milione di persone). Un’occasione per autocelebrarsi, contarsi e dare nuova linfa alla lotta contro Israele, mentre Olmert e Abu Mazen, nelle trattative post-Annapolis, fanno come se Hamas non esistesse. Ci siamo anche noi, questo il messaggio della piazza: e se la pace fallirà, come i leader di Hamas auspicano fortemente, la colpa (o il merito, per la gente di Gaza) sarà prima di tutto dei militanti verdi che da vent’anni mietono vittime tra i cittadini israeliani.

Due i protagonisti indiscussi della manifestazione, l’ex premier Ismail Haniyeh e lo storico leader di Hamas – di base a Damasco – Khaled Meshaal. L’ex premier palestinese ha preso per primo la parola, dicendo la sua sulle principali questioni all’ordine del giorno. Primo, Hamas non soccomberà: “Il messaggio che oggi viene da voi è che Hamas e tutta questa gente non si arrenderà di fronte alle sanzioni”. Secondo, è tempo di lottare: “Oggi è il giorno del Jihad, della resistenza e della sommossa. Questo è Hamas: chi rimane fermamente ancorato ai diritti della sua gente, chi crede che l’America e l’occupazione sionista sia il nemico”. Terzo, Israele non verrà mai riconosciuto (come da anni chiedono Unione Europea e principali organizzazioni internazionali): “Chiunque insista sul non riconoscere Israele, abbraccia Allah e non si arrende di fronte ai blocchi americani e israeliani: la sua popolarità cresce a dispetto dell’ostilità americana”. In altri termini, la lotta contro Israele è un precetto divino e a mettere le cose in chiaro ci pensa un altro leader dell’organizzazione, al-Masri: “Giudei, abbiamo già scavato le vostre tombe”. A campeggiare sulla folla poi, giusto per dissipare ogni dubbio, uno striscione nero con un concetto molto chiaro espresso in Arabo, Inglese e Francese: “Non riconosceremo Israele”.

Ma il piatto forte viene con il messaggio televisivo del leader supremo di Hamas Khaled Mashaal, che si è rivolto al popolo di Gaza parlando da Damasco (dove risiede). Minaccioso e pericolosamente carismatico: Hamas non abbandonerà la violenza, che “è la nostra scelta reale, la nostra carta vincente, quella che farà soccombere l’avversario”. Profeta di sventura (per Israele) ed eccitatore degli animi dei trecentomila in piazza: “La nostra gente è in grado di lanciare una terza e una quarta Intifada, finché non arriverà la vittoria”. Chiaro anche nei confronti di Abu Mazen: è illegittimo, non si può permettere di trattare con i sionisti a nome di tutti i palestinesi. Applausi: quelli di una folla combattiva, pronta a combattere ancora una volta.

Con questa Hamas, in vena di celebrazioni e Intifade, Israele – ma soprattutto Abu Mazen – dovrà prima o poi averci a che fare. Abu Mazen perché, se vuole trattare seriamente con Olmert, dovrebbe prima accordarsi con Haniyeh sulla situazione di Gaza: chi comanderà nella Striscia? Ci saranno due palestine? Si può fare un governo insieme? Se sì, chi lo comanderà? Israele, dal canto suo, perché Hamas si può pure ignorare ma la popolazione di Sderot fatica a dimenticare i razzi che quotidianamente piovono sulle loro teste.

A questo proposito, dopo che domenica l’ennesimo razzo stava per uccidere un bambino di due anni, il ministro della Difesa Barak ha annunciato un investimento di trecento milioni per rafforzare le difese del sud di Israele. Fallita la pratica delle sanzioni, l’idea di un’invasione armata della Striscia resta prepotentemente sul tavolo e presto potrebbe forse diventare inevitabile.

Venti di guerra che trovano conferma anche dall’altro lato della barricata. Hamas è consapevole di giocare con il fuoco, e sa benissimo che Israele non starà per sempre con le mani in mano. Da qui l’annuncio, evaso sempre domenica (dopo l’ennesimo lancio di razzi) da parte del braccio armato dell’organizzazione, del completamento di un nuovo piano di difesa in caso di invasione israeliana. Così Abu Obeida: “L’esercito israeliano non saprà da dove vengono i colpi, e dove i loro carri armati saranno colpiti dai missili in nostro possesso”. Sembrano tattiche di guerriglia contro uno degli eserciti più forti del pianeta, certo. Ma quanto siano sofisticati questi missili, e quanto addestrati i militanti di Hamas, è qualcosa che si potrà scoprire solo sul campo.

L'Occidentale