Le cifre sono da capogiro: 7.4 miliardi di dollari a favore dell’Autorità Nazionale Palestinese, un’immensa colletta messa in piedi da ottantasette paesi e organizzazioni internazionali. Il tutto finirà nelle casse di Abu Mazen nel corso dei prossimi tre anni: questo è stato deciso – e stanziato – lunedì a Parigi, nel corso della Conferenza internazionale dei donatori per lo Stato palestinese.
Sarà l’aria di Annapolis, sarà che la pace con Israele appare più vicina che in passato, fatto sta che la conferenza di lunedì passerà agli annali della storia come la più proficua raccolta di fondi per la causa palestinese, da undici anni a questa parte. Neppure Abu Mazen si aspettava tanto: si pensi solo che, nel suo discorso di fronte ai paesi e alle organizzazioni giunte nella capitale francese, il leader dell’Anp aveva chiesto un finanziamento di 5.6 miliardi. Risultato: quasi due miliardi in più.
Ma andiamo con ordine. La conferenza di Parigi, si diceva, è stata organizzata per raccogliere finanziamenti a favore della causa palestinese. Moltissimi i partecipanti, dagli Stati Uniti – nella persona del segretario di Stato Condoleezza Rice – all’Europa, rappresentata anche da esponenti dei singoli Paesi dell’Unione. L’urgenza degli aiuti è stata ben esplicitata dallo stesso Abu Mazen: “Senza il proseguimento di questi aiuti e senza la liquidità necessaria per il bilancio palestinese, avremmo una catastrofe nella Striscia di Gaza e nel West Bank”.
Insomma, stando all’Anp questi soldi sono necessari per evitare una catastrofe economica nei territori palestinesi. Non a caso, degli oltre sette miliardi stanziati, quattro saranno un immediato e “liquido” supporto al budget dell’organizzazione, al fine di favorire la creazione delle istituzioni per il futuro Stato palestinese tratteggiato a fine novembre nella tre giorni del Maryland.
Lo stretto legame tra l’iniziativa di Annapolis e quella di Parigi è stato messo in luce dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice, che per mesi ha seguito da vicino le trattative tra Olmert e Abu Mazen: se ad Annapolis si è parlato delle questioni strettamente politiche, in primo piano a Parigi ci sono stati i problemi strettamente economici. La conferenza, ha detto la Rice, rappresenta “l’ultima speranza per evitare la bancarotta” dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Passando ai dati concreti, tra i principali donatori svetta senza dubbio l’Unione Europea, con 650 milioni di dollari nel solo 2008. I singoli Stati dell’Unione si sono poi impegnati in offerte personali dilazionate nell’arco di un triennio: Francia e Svezia verseranno 300 milioni di dollari, la Gran Bretagna mezzo miliardo, la Norvegia 420 milioni, la Spagna 360 e la Germania 200. Nel solo 2008, lo stanziamento degli Stati Uniti sarà invece pari a 555 milioni. Degno di nota, infine, è il versamento triennale di 500 milioni di dollari da parte dell’Arabia Saudita.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo le dichiarazioni del viceministro degli Esteri Patrizia Sentinelli, vi sarà un’aggiunta di 80 milioni ai 108 già programmati per il triennio 2008-2010. Il viceministro, che ha preso direttamente parte all’evento, ha parlato di una conferenza di “grande soddisfazione e molto partecipata”, foriera di un buon risultato in quanto “i tanti attori internazionali hanno contribuito a dimostrare con concretezza come è possibile trasformare in un qualcosa di reale e realizzabile le linee dettate ad Annapolis”. I soldi italiani, nello specifico, saranno utilizzati dall’Anp nei settori della giustizia, delle istituzioni, dell’istruzione e della sanità. Ma l’Italia non è nuova a queste iniziative: a novembre aveva già versato 850.000 euro all’Unrwa, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi, e 650.000 euro alla Fao per il sostentamento degli agricoltori della Cisgiordania.
Molto soddisfatto si è mostrato il primo ministro palestinese Salam Fayyad, che già da marzo potrà attingere dai primi versamenti: “Vediamo la conferenza come un importante voto di fiducia da parte della comunità internazionale”.
Un ruolo di primo piano, nella conferenza, lo ha avuto anche Israele. Il muro israeliano in Cisgiordania e la limitazione dei movimenti da e verso la Striscia di Gaza, infatti, sono additati dai palestinesi come la prima causa di povertà della popolazione dei Territori. A questo proposito, a Parigi, si è espresso anche il presidente francese Nicolas Sarkozy consigliando a Israele di assicurare la libertà di movimento e di congelare la pratica degli insediamenti. Solo così, ha concluso Sarkozy, per i palestinesi sarà possibile lavorare, rilanciare l’economia e smorzare l’odio nei confronti dei vicini israeliani. Le stesse richieste di Sarkozy sono giunte poi per bocca della Banca Mondiale e dello stesso Abu Mazen.
Di fronte a queste richieste non si è fatta trovare impreparata Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano, secondo la quale gli israeliani “a dispetto delle difficoltà, sono pronti ad agire in questo senso e a rispettare gli obblighi della Road Map, inclusa la questione del congelamento degli insediamenti”. Maggior intransigenza, però, la Livni ha esibito sulla questione dei checkpoint (che Israele vede come irrinunciabili baluardi di sicurezza).
Niente di nuovo, verrebbe da dire: anche se quest’anno si è toccata una cifra record, da anni i maggiori Stati mondiali versano dei soldi per salvare l’Anp dalla bancarotta. Niente di nuovo anche perché i problemi sul tavolo restano sempre gli stessi: ma anziché cercare di risolverli, andando alla radice, l’Anp preferisce travestirsi da grande Organizzazione Non Governativa a caccia di fondi per garantire la vita della sua gente.
Sarà l’aria di Annapolis, sarà che la pace con Israele appare più vicina che in passato, fatto sta che la conferenza di lunedì passerà agli annali della storia come la più proficua raccolta di fondi per la causa palestinese, da undici anni a questa parte. Neppure Abu Mazen si aspettava tanto: si pensi solo che, nel suo discorso di fronte ai paesi e alle organizzazioni giunte nella capitale francese, il leader dell’Anp aveva chiesto un finanziamento di 5.6 miliardi. Risultato: quasi due miliardi in più.
Ma andiamo con ordine. La conferenza di Parigi, si diceva, è stata organizzata per raccogliere finanziamenti a favore della causa palestinese. Moltissimi i partecipanti, dagli Stati Uniti – nella persona del segretario di Stato Condoleezza Rice – all’Europa, rappresentata anche da esponenti dei singoli Paesi dell’Unione. L’urgenza degli aiuti è stata ben esplicitata dallo stesso Abu Mazen: “Senza il proseguimento di questi aiuti e senza la liquidità necessaria per il bilancio palestinese, avremmo una catastrofe nella Striscia di Gaza e nel West Bank”.
Insomma, stando all’Anp questi soldi sono necessari per evitare una catastrofe economica nei territori palestinesi. Non a caso, degli oltre sette miliardi stanziati, quattro saranno un immediato e “liquido” supporto al budget dell’organizzazione, al fine di favorire la creazione delle istituzioni per il futuro Stato palestinese tratteggiato a fine novembre nella tre giorni del Maryland.
Lo stretto legame tra l’iniziativa di Annapolis e quella di Parigi è stato messo in luce dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice, che per mesi ha seguito da vicino le trattative tra Olmert e Abu Mazen: se ad Annapolis si è parlato delle questioni strettamente politiche, in primo piano a Parigi ci sono stati i problemi strettamente economici. La conferenza, ha detto la Rice, rappresenta “l’ultima speranza per evitare la bancarotta” dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Passando ai dati concreti, tra i principali donatori svetta senza dubbio l’Unione Europea, con 650 milioni di dollari nel solo 2008. I singoli Stati dell’Unione si sono poi impegnati in offerte personali dilazionate nell’arco di un triennio: Francia e Svezia verseranno 300 milioni di dollari, la Gran Bretagna mezzo miliardo, la Norvegia 420 milioni, la Spagna 360 e la Germania 200. Nel solo 2008, lo stanziamento degli Stati Uniti sarà invece pari a 555 milioni. Degno di nota, infine, è il versamento triennale di 500 milioni di dollari da parte dell’Arabia Saudita.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo le dichiarazioni del viceministro degli Esteri Patrizia Sentinelli, vi sarà un’aggiunta di 80 milioni ai 108 già programmati per il triennio 2008-2010. Il viceministro, che ha preso direttamente parte all’evento, ha parlato di una conferenza di “grande soddisfazione e molto partecipata”, foriera di un buon risultato in quanto “i tanti attori internazionali hanno contribuito a dimostrare con concretezza come è possibile trasformare in un qualcosa di reale e realizzabile le linee dettate ad Annapolis”. I soldi italiani, nello specifico, saranno utilizzati dall’Anp nei settori della giustizia, delle istituzioni, dell’istruzione e della sanità. Ma l’Italia non è nuova a queste iniziative: a novembre aveva già versato 850.000 euro all’Unrwa, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi, e 650.000 euro alla Fao per il sostentamento degli agricoltori della Cisgiordania.
Molto soddisfatto si è mostrato il primo ministro palestinese Salam Fayyad, che già da marzo potrà attingere dai primi versamenti: “Vediamo la conferenza come un importante voto di fiducia da parte della comunità internazionale”.
Un ruolo di primo piano, nella conferenza, lo ha avuto anche Israele. Il muro israeliano in Cisgiordania e la limitazione dei movimenti da e verso la Striscia di Gaza, infatti, sono additati dai palestinesi come la prima causa di povertà della popolazione dei Territori. A questo proposito, a Parigi, si è espresso anche il presidente francese Nicolas Sarkozy consigliando a Israele di assicurare la libertà di movimento e di congelare la pratica degli insediamenti. Solo così, ha concluso Sarkozy, per i palestinesi sarà possibile lavorare, rilanciare l’economia e smorzare l’odio nei confronti dei vicini israeliani. Le stesse richieste di Sarkozy sono giunte poi per bocca della Banca Mondiale e dello stesso Abu Mazen.
Di fronte a queste richieste non si è fatta trovare impreparata Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano, secondo la quale gli israeliani “a dispetto delle difficoltà, sono pronti ad agire in questo senso e a rispettare gli obblighi della Road Map, inclusa la questione del congelamento degli insediamenti”. Maggior intransigenza, però, la Livni ha esibito sulla questione dei checkpoint (che Israele vede come irrinunciabili baluardi di sicurezza).
Niente di nuovo, verrebbe da dire: anche se quest’anno si è toccata una cifra record, da anni i maggiori Stati mondiali versano dei soldi per salvare l’Anp dalla bancarotta. Niente di nuovo anche perché i problemi sul tavolo restano sempre gli stessi: ma anziché cercare di risolverli, andando alla radice, l’Anp preferisce travestirsi da grande Organizzazione Non Governativa a caccia di fondi per garantire la vita della sua gente.
L'Occidentale