Comunque la si pensi, l’ultimo rapporto della Nie (National Intelligence Estimate) – redatto dalle sedici agenzie di spionaggio statunitensi – è stato una bomba politica. Incuranti del presidente George W. Bush, che da mesi parla del pericolo rappresentato dalla corsa al nucleare iraniano, gli 007 americani hanno scritto nero su bianco che il programma atomico di Teheran sarebbe stato sospeso nel 2003, sotto effetto della pressione internazionale.
Secondo la Nie, insomma, non ci sarebbe alcun programma atomico segreto, anche se Ahmadinejad ha proseguito (dichiaratamente) nell’arricchimento dell’uranio per scopi civili: un’operazione che, in caso d’inversione di rotta, lo porterebbe a ottenere la bomba atomica entro il 2015. Il rapporto della Nie rappresenta anche un passo indietro rispetto quello redatto dall’unione delle agenzie di spionaggio nel 2005: nel documento si legge infatti che “la decisione dell'Iran di bloccare il programma di armamenti nucleari suggerisce che il Paese è meno determinato a sviluppare armi atomiche, come avevamo invece giudicato sin dal 2005”.
La portata del nuovo documento dell’intelligence segna una svolta politica non indifferente: per l’Iran, per gli Stati Uniti e per il presidente Bush in prima persona, per la Cina (rafforzata ora nella posizione di assoluta contrarietà a un incremento delle sanzioni contro il regime iraniano) così come per il mondo mediorientale. E le reazioni a caldo non fanno che confermare la sorpresa di fronte a dichiarazioni d’intelligence senza dubbio inaspettate.
A gridare vittoria è ovviamente il presidente iraniano Ahmadinejad, che ha nel corso di una manifestazione in diretta televisiva ha proclamato la sconfitta degli Stati Uniti e ha annunciato che l’Iran proseguirà nella corsa al nucleare civile. Alaeddin Boroujerdi, responsabile della politica estera, ha poi affermato che “il rapporto invalida il presidente Bush e i suoi seguaci”, sottolineando come il documento delle agenzie statunitensi “avrà effetti positivi sull’avanzamento della tecnologia nucleare iraniana e coloro che esercitano una pressione sull’Iran per sospendere e fermare la sua energia nucleare saranno più isolati”.
Di ben altro tenore la reazione del presidente statunitense George W. Bush, che sulla questione ha imbastito una conferenza stampa. Secondo Bush, l’Iran resta un serio pericolo per la stabilità del Medio Oriente e per la sicurezza mondiale in quanto sta continuando a sviluppare progressi tecnologici utili alla costruzione della bomba. “È chiaro dall'ultimo Nie che il governo iraniano ha ancora delle cose da spiegare sulle sue intenzioni nucleari” ha detto il presidente dall’aereoporto di Omaha, descrivendo l’Iran come una nazione di fronte a un bivio: Ahmadinejad può “spiegare alla comunità internazionale lo scopo delle attività nucleari e accettare interamente la sospensione del programma di arricchimento sedendosi al tavolo dei negoziati”, oppure può “continuare sulla strada dell'isolamento”. Un isolamento che, secondo molti analisti, è stato recentemente formalizzato dalla cospicua presenza di Stati arabi alla conferenza sul Medio Oriente di Annapolis. Secondo Bush, infine, è proprio grazie alle continue pressioni internazionali che il progetto atomico si è fermato al 2003: fondamentale, dunque, proseguire sulla stessa linea d’intransigenza.
Isituzionalmente rilevante anche la reazione di El Baradei, direttore generale dell’Iaea (International Atomic Energy Agency) e responsabile delle trattative sul nucleare con l’Iran. In una conferenza stampa da Brasilia, El Baradei ha dichiarato che il documento delle agenzie d’intelligence americane “apre ora una finestra di opportunità per l’Iran, perché l’Iran è stato in un certo senso vendicato dichiarando di non aver lavorato per ottenere armi atomiche perlomeno negli ultimi anni”. E a chi gli chiede se l’Iran resti una minaccia, Baradei risponde che “in questa fase ovviamente non possiamo dare una garanzia, perché c’è ancora lavoro da fare… Se l’Iran continui a essere un pericolo, per chi e a quali condizioni, resta un tema da discutere al tavolo dei negoziati”.
Nella sua conferenza stampa da Omaha, Bush si è premurato di ricordare come Francia, Germania, Russia e Gran Bretagna comprendano che “il nucleare iraniano è un problema, che continua a esserlo e che va affrontato”. Il riferimento agli alleati non è casuale: la pubblicazione del documento, infatti, rinforza quei paesi che si sono sempre detti contrari a un incremento di sanzioni contro Ahmadinejad e la sua corsa al nucleare. In cima agli oppositori, la Cina – che può contare sul diritto di veto in seno al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite –: l’ambasciatore di Pechino all’Onu, Wang Guangya, ha infatti subito dichiarato che “ora le cose sono cambiate” e il consiglio di sicurezza dovrebbe prendere seriamente in considerazione le affermazioni della Nie. Il legame tra Pechino e Teheran, questo temono gli Stati Uniti, potrebbe ora pericolosamente rinsaldarsi: non a caso un portavoce di Ahmadinejad, Gholam Hussein Elham, ha parlato della Cina come di un “paese amico” utile per “per trasmettere la verità sull’Iran e convincere gli americani ad un approccio realistico”.
Passando al Medio Oriente, le reazioni alla Nie sono molteplici. La linea di Israele combacia sostanzialmente con quella statunitense: il premier Ehud Olmert ha infatti dichiarato che è necessario proseguire negli sforzi – condivisi con gli Stati Uniti – per evitare che l’Iran possa dotarsi un giorno di armi non convenzionali. Il mondo arabo, soprattutto a mezzo stampa, legge invece le dichiarazioni dell’intelligence come una sconfitta degli Stati Uniti e della sua politica allarmista: da un lato, dunque, è ravvisabile la soddisfazione (sottaciuta) per il blocco dello sviluppo atomico iraniano, dall’altro emerge invece (questa volta ben in evidenza) la “sconfessione” del presidente degli Stati Uniti da parte dei suoi stessi servizi segreti.
In ultima analisi, il più grosso problema arrecato dal report della Nie resta la posizione della Cina: se Bush e gli alleati “anti-iraniani” restano fissi nelle loro posizioni, così come gli Stati arabi e le organizzazioni solidali con l’Iran, è il gigante asiatico ad assumere ora maggior forza al Palazzo di Vetro. Quando si tratterà di varare nuove sanzioni contro l’arricchimento dell’uranio, insomma, per Pechino sarà molto più semplice giustificare – e giocare – la carta del veto. Con buona pace di Bush, Sarkozy, Merkel e Brown. E per la gioia di Putin, che potrà realizzare i propri desideri lasciando alla Cina il ruolo della guastafeste.
Secondo la Nie, insomma, non ci sarebbe alcun programma atomico segreto, anche se Ahmadinejad ha proseguito (dichiaratamente) nell’arricchimento dell’uranio per scopi civili: un’operazione che, in caso d’inversione di rotta, lo porterebbe a ottenere la bomba atomica entro il 2015. Il rapporto della Nie rappresenta anche un passo indietro rispetto quello redatto dall’unione delle agenzie di spionaggio nel 2005: nel documento si legge infatti che “la decisione dell'Iran di bloccare il programma di armamenti nucleari suggerisce che il Paese è meno determinato a sviluppare armi atomiche, come avevamo invece giudicato sin dal 2005”.
La portata del nuovo documento dell’intelligence segna una svolta politica non indifferente: per l’Iran, per gli Stati Uniti e per il presidente Bush in prima persona, per la Cina (rafforzata ora nella posizione di assoluta contrarietà a un incremento delle sanzioni contro il regime iraniano) così come per il mondo mediorientale. E le reazioni a caldo non fanno che confermare la sorpresa di fronte a dichiarazioni d’intelligence senza dubbio inaspettate.
A gridare vittoria è ovviamente il presidente iraniano Ahmadinejad, che ha nel corso di una manifestazione in diretta televisiva ha proclamato la sconfitta degli Stati Uniti e ha annunciato che l’Iran proseguirà nella corsa al nucleare civile. Alaeddin Boroujerdi, responsabile della politica estera, ha poi affermato che “il rapporto invalida il presidente Bush e i suoi seguaci”, sottolineando come il documento delle agenzie statunitensi “avrà effetti positivi sull’avanzamento della tecnologia nucleare iraniana e coloro che esercitano una pressione sull’Iran per sospendere e fermare la sua energia nucleare saranno più isolati”.
Di ben altro tenore la reazione del presidente statunitense George W. Bush, che sulla questione ha imbastito una conferenza stampa. Secondo Bush, l’Iran resta un serio pericolo per la stabilità del Medio Oriente e per la sicurezza mondiale in quanto sta continuando a sviluppare progressi tecnologici utili alla costruzione della bomba. “È chiaro dall'ultimo Nie che il governo iraniano ha ancora delle cose da spiegare sulle sue intenzioni nucleari” ha detto il presidente dall’aereoporto di Omaha, descrivendo l’Iran come una nazione di fronte a un bivio: Ahmadinejad può “spiegare alla comunità internazionale lo scopo delle attività nucleari e accettare interamente la sospensione del programma di arricchimento sedendosi al tavolo dei negoziati”, oppure può “continuare sulla strada dell'isolamento”. Un isolamento che, secondo molti analisti, è stato recentemente formalizzato dalla cospicua presenza di Stati arabi alla conferenza sul Medio Oriente di Annapolis. Secondo Bush, infine, è proprio grazie alle continue pressioni internazionali che il progetto atomico si è fermato al 2003: fondamentale, dunque, proseguire sulla stessa linea d’intransigenza.
Isituzionalmente rilevante anche la reazione di El Baradei, direttore generale dell’Iaea (International Atomic Energy Agency) e responsabile delle trattative sul nucleare con l’Iran. In una conferenza stampa da Brasilia, El Baradei ha dichiarato che il documento delle agenzie d’intelligence americane “apre ora una finestra di opportunità per l’Iran, perché l’Iran è stato in un certo senso vendicato dichiarando di non aver lavorato per ottenere armi atomiche perlomeno negli ultimi anni”. E a chi gli chiede se l’Iran resti una minaccia, Baradei risponde che “in questa fase ovviamente non possiamo dare una garanzia, perché c’è ancora lavoro da fare… Se l’Iran continui a essere un pericolo, per chi e a quali condizioni, resta un tema da discutere al tavolo dei negoziati”.
Nella sua conferenza stampa da Omaha, Bush si è premurato di ricordare come Francia, Germania, Russia e Gran Bretagna comprendano che “il nucleare iraniano è un problema, che continua a esserlo e che va affrontato”. Il riferimento agli alleati non è casuale: la pubblicazione del documento, infatti, rinforza quei paesi che si sono sempre detti contrari a un incremento di sanzioni contro Ahmadinejad e la sua corsa al nucleare. In cima agli oppositori, la Cina – che può contare sul diritto di veto in seno al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite –: l’ambasciatore di Pechino all’Onu, Wang Guangya, ha infatti subito dichiarato che “ora le cose sono cambiate” e il consiglio di sicurezza dovrebbe prendere seriamente in considerazione le affermazioni della Nie. Il legame tra Pechino e Teheran, questo temono gli Stati Uniti, potrebbe ora pericolosamente rinsaldarsi: non a caso un portavoce di Ahmadinejad, Gholam Hussein Elham, ha parlato della Cina come di un “paese amico” utile per “per trasmettere la verità sull’Iran e convincere gli americani ad un approccio realistico”.
Passando al Medio Oriente, le reazioni alla Nie sono molteplici. La linea di Israele combacia sostanzialmente con quella statunitense: il premier Ehud Olmert ha infatti dichiarato che è necessario proseguire negli sforzi – condivisi con gli Stati Uniti – per evitare che l’Iran possa dotarsi un giorno di armi non convenzionali. Il mondo arabo, soprattutto a mezzo stampa, legge invece le dichiarazioni dell’intelligence come una sconfitta degli Stati Uniti e della sua politica allarmista: da un lato, dunque, è ravvisabile la soddisfazione (sottaciuta) per il blocco dello sviluppo atomico iraniano, dall’altro emerge invece (questa volta ben in evidenza) la “sconfessione” del presidente degli Stati Uniti da parte dei suoi stessi servizi segreti.
In ultima analisi, il più grosso problema arrecato dal report della Nie resta la posizione della Cina: se Bush e gli alleati “anti-iraniani” restano fissi nelle loro posizioni, così come gli Stati arabi e le organizzazioni solidali con l’Iran, è il gigante asiatico ad assumere ora maggior forza al Palazzo di Vetro. Quando si tratterà di varare nuove sanzioni contro l’arricchimento dell’uranio, insomma, per Pechino sarà molto più semplice giustificare – e giocare – la carta del veto. Con buona pace di Bush, Sarkozy, Merkel e Brown. E per la gioia di Putin, che potrà realizzare i propri desideri lasciando alla Cina il ruolo della guastafeste.
L'Occidentale