Una cavalcata dentro al lessico famigliare che le era più caro, giù, giù, procedendo a ritroso, fino al 1773 e poi su, ripercorrendo la storia dei suoi avi fino al 1889. Non oltre, per ora. Tutto questo e molto di più è il libro postumo di Oriana Fallaci. «Un cappello pieno di ciliege» (Rizzoli, 25 euro, in libreria dal 30 luglio). «Un grande romanzo sulla storia della nostra famiglia, dal respiro ottocentesco che commuove, incanta, e fa sorridere, intriso com'è della sua sfacciata ironia». Edoardo Perazzi, nipote prediletto ed erede di Oriana, parla di quest'ultima fatica della giornalista con tenerezza e con un velato timore. Il lavoro di editing per pubblicare il romanzo, è stato fatto da lui in collaborazione con i redattori della Rizzoli, una responsabilità non da poco: «Oriana aveva lasciato detto tutto, aveva dato indicazioni sul titolo, sulla copertina, aveva previsto ogni minimo dettaglio. Di più aveva corretto le prime tre parti, ma non l'ultima. Su questa spiega - siamo intervenuti il meno possibile, e laddove c'erano delle incongruenze, le abbiamo lasciate specificandolo in nota». Così, nel volume, troveremo dei pezzi dattiloscritti e delle correzioni manoscritte. E forse, leggendolo con un po' di attenzione, riusciremo a guardare dentro al cuore del «metodo Oriana», fatto di un lavoro di documentazione ossessivo e di una scrittura ricercatissima, ritoccata più e più volte, elaborata, scarnificata, sbianchettata e poi di nuovo buttata giù, sempre con la sua macchina da scrivere, sempre con la sua Lettera 32, il cui ticchettio, frenetico, risuonava costante ovunque lei fosse.
IL NIPOTE. «I miei ricordi della casa di Oriana a New York - racconta Edoardo - hanno sempre quel rumore di fondo come colonna sonora, e l'immagine che mi torna alla mente è quella di lei che lavora, ossessivamente, disordinatissima e ordinatissima allo stesso tempo». Sempre, certamente, per ogni suo scritto, ma soprattutto durante la stesura di «Un cappello pieno di ciliege», senza «i» secondo sua precisa indicazione. «È il libro di un vita - spiega ancora il nipote, il libro della vita di Oriana. Racconta la storia della nostra famiglia di origine, ed è diviso in 4 capitoli ciascuno dedicato a un ramo del suo personalissimo albero genealogico: Fallaci, Launaro, Ferrier e Cantini». Scritto dal '91 al 2001 vede la sua genesi molti anni prima. Quando Oriana, avida di conoscere le premesse, storiche, biologiche e genetiche della sua stessa esistenza, rovistava dentro a una cassapanca cinquecentesca, andata distrutta nel '44, che conteneva cimeli e memorie di famiglia. «Noi la chiamavamo la cassapanca di Ildebranda (personaggio citato nel libro, ndr.), bruciata viva dall'Inquisizione, come eretica perché cucinava l'agnello in tempo di Quaresima. Di quella cassapanca Oriana ne teneva una copia identica nella sua casa a New York, l'aveva fatta fare il nonno Edoardo ed era la cosa a cui lei teneva di più». Fu partendo da quegli oggetti ed appunti che iniziò il viaggio a ritroso della giornalista scrittrice. Poi ci furono i viaggi quelli veri, nelle biblioteche, negli archivi toscani, piemontesi e americani, nelle pievi dove andava a caccia dei registri delle anime. Ovunque trovasse traccia dei suoi, come racconta il Corriere Magazine, oggi in edicola, nello speciale dedicato al libro e curato da Enrico Mannucci e Alessandro Cannavò.
LA PRIMA STESURA. La prima stesura del romanzo, che in omaggio a quei cimeli doveva intitolarsi «La cassapanca di Ildebranda», partiva dalle vicende a lei più vicine nel tempo, parlava di zii, nonni e figure familiari che avevano attraversato il '900. «Ci lavorò parecchio, ma nel buttarla giù non le tornava qualcosa, così mise mano ai due secoli precedenti » racconta Edoardo. E allora sì che la scrittura le prese la mano. Tesa, vibrante, come negli stralci che pubblichiamo qua a fianco. Fino a costruire lo scheletro del romanzo che tra una settimana sarà in libreria. Il libro è diviso in quattro capitoli, tanti quanti i rami della sua famiglia. Ciascun capitolo ha un protagonista di fondo attorno a cui ruota una storia che è in sé conclusa e che però si riaggancia, per forza di cose, con quelle narrate in seguito. L'incipit è dedicato a Carlo Fallaci, l'antenato che avrebbe voluto andare in America e che non oltrepasserà mai l'Oceano. Il secondo a Francesco Launaro, (bisnonno del nonno materno di Oriana) uomo di mare e di grande passione, che vive a Livorno quando i francesi di Napoleone irrompono in città. Il terzo al carbonaro Giovanni Cantini (anche questo antenato materno) e al suo figlio illegittimo, Giovan Battista, detto Giobatta. Il quarto e ultimo è l'epopea della bisnonna, Anastasìa Ferrier. Un personaggio adorabile. «Un tipaccio» sottolinea Edoardo. Proprio come l'Oriana.
IL NIPOTE. «I miei ricordi della casa di Oriana a New York - racconta Edoardo - hanno sempre quel rumore di fondo come colonna sonora, e l'immagine che mi torna alla mente è quella di lei che lavora, ossessivamente, disordinatissima e ordinatissima allo stesso tempo». Sempre, certamente, per ogni suo scritto, ma soprattutto durante la stesura di «Un cappello pieno di ciliege», senza «i» secondo sua precisa indicazione. «È il libro di un vita - spiega ancora il nipote, il libro della vita di Oriana. Racconta la storia della nostra famiglia di origine, ed è diviso in 4 capitoli ciascuno dedicato a un ramo del suo personalissimo albero genealogico: Fallaci, Launaro, Ferrier e Cantini». Scritto dal '91 al 2001 vede la sua genesi molti anni prima. Quando Oriana, avida di conoscere le premesse, storiche, biologiche e genetiche della sua stessa esistenza, rovistava dentro a una cassapanca cinquecentesca, andata distrutta nel '44, che conteneva cimeli e memorie di famiglia. «Noi la chiamavamo la cassapanca di Ildebranda (personaggio citato nel libro, ndr.), bruciata viva dall'Inquisizione, come eretica perché cucinava l'agnello in tempo di Quaresima. Di quella cassapanca Oriana ne teneva una copia identica nella sua casa a New York, l'aveva fatta fare il nonno Edoardo ed era la cosa a cui lei teneva di più». Fu partendo da quegli oggetti ed appunti che iniziò il viaggio a ritroso della giornalista scrittrice. Poi ci furono i viaggi quelli veri, nelle biblioteche, negli archivi toscani, piemontesi e americani, nelle pievi dove andava a caccia dei registri delle anime. Ovunque trovasse traccia dei suoi, come racconta il Corriere Magazine, oggi in edicola, nello speciale dedicato al libro e curato da Enrico Mannucci e Alessandro Cannavò.
LA PRIMA STESURA. La prima stesura del romanzo, che in omaggio a quei cimeli doveva intitolarsi «La cassapanca di Ildebranda», partiva dalle vicende a lei più vicine nel tempo, parlava di zii, nonni e figure familiari che avevano attraversato il '900. «Ci lavorò parecchio, ma nel buttarla giù non le tornava qualcosa, così mise mano ai due secoli precedenti » racconta Edoardo. E allora sì che la scrittura le prese la mano. Tesa, vibrante, come negli stralci che pubblichiamo qua a fianco. Fino a costruire lo scheletro del romanzo che tra una settimana sarà in libreria. Il libro è diviso in quattro capitoli, tanti quanti i rami della sua famiglia. Ciascun capitolo ha un protagonista di fondo attorno a cui ruota una storia che è in sé conclusa e che però si riaggancia, per forza di cose, con quelle narrate in seguito. L'incipit è dedicato a Carlo Fallaci, l'antenato che avrebbe voluto andare in America e che non oltrepasserà mai l'Oceano. Il secondo a Francesco Launaro, (bisnonno del nonno materno di Oriana) uomo di mare e di grande passione, che vive a Livorno quando i francesi di Napoleone irrompono in città. Il terzo al carbonaro Giovanni Cantini (anche questo antenato materno) e al suo figlio illegittimo, Giovan Battista, detto Giobatta. Il quarto e ultimo è l'epopea della bisnonna, Anastasìa Ferrier. Un personaggio adorabile. «Un tipaccio» sottolinea Edoardo. Proprio come l'Oriana.
Chiara Dino
(C) Corriere Fiorentino
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