07 luglio 2008

Viale Jenner, la Curia attacca ma Maroni non indietreggia

Dai campi Rom alla moschea di viale Jenner: non c’è pace per il ministro dell’Interno Maroni. Fino a qualche giorno fa a tenere banco era la questione delle impronte digitali dei bimbi Rom: dalla Commissione Europea al settimanale “Famiglia Cristiana”, il ministro è stato accusato da più parti di ledere principi democratici e diritti umani. A infuocare il dibattito odierno è invece il futuro della moschea milanese di viale Jenner: Maroni ha promesso infatti di chiuderla entro agosto, scontrandosi contro un muro di opposizione guidato dalla Curia meneghina.

Per coloro che milanesi non sono, fondamentale è un cenno alla complessa storia della moschea. Sita in un garage di viale Jenner – arteria di circonvallazione a nord del centro di Milano – la moschea nasce nel 1989 ad opera di Ibrahim Saad. Sotto stretta sorveglianza sin dalla bomba nei sotterranei delle Twin Towers del 1993, dopo l’11 settembre 2001 il dipartimento del Tesoro statunitense indica la moschea milanese come uno dei principali crocevia Al Qaeda nel Vecchio Continente. Legati a viale Jenner sono rimasti celebri il processo Sfinge – che vide 34 frequentatori della moschea indagati per attività legate al terrorismo, in gran parte rilasciati per prescrizione del reato – e il caso Abu Omar, l’imam egiziano rapito a Milano dalla Cia il 17 febbraio 2003.

Tra coloro che hanno seguito da vicino le vicende della moschea, un posto di rilievo merita sicuramente il vicedirettore del “Corriere della Sera” Magdi Cristiano Allam. Allam – che in passato ha più volte denunciato l’istigazione al terrorismo perpetrata nella moschea in occasione delle preghiere del venerdì – non crede alla parvenza di moderazione ostentata negli ultimi tempi da viale Jenner: non più tardi di un mese fa, sulle colonne del “Corriere della Sera”, il vicedirettore bollava ancora il garage di viale Jenner come “la moschea più inquisita e collusa con il terrorismo islamico internazionale”.

Ma se la celebrità della moschea milanese è legata a questioni di terrorismo internazionale, le polemiche degli ultimi giorni con Al Qaeda hanno davvero poco a che fare. Al centro della querelle, infatti, ci sono tematiche di ordine pubblico e degrado cittadino. Tutto nasce una settimana fa, quando il ministro Maroni annuncia un sopralluogo a Milano per mantenere fede a una promessa della Lega: impedire l’assembramento di fedeli sulla strada in occasione della preghiera del venerdì. Matteo Salvini, capogruppo della Lega Nord, è molto chiaro: “La Lega chiede lo sgombero, si potrebbe arrivare allo sgombero dei marciapiedi”.

Il problema della moschea è semplice: i fedeli sono troppi, impossibile farli entrare tutti nel garage. Da qui la pratica – che i residenti denunciano da anni – di invadere il marciapiede di viale Jenner, rendendo impossibile il passaggio. I residenti credono in una soluzione condivisa: “Chiediamo le stesse cose che chiedono i fedeli musulmani: visto che il garage, per loro stessa ammissione, è un luogo inidoneo per la preghiera – dice il portavoce dei residenti – si cerchi un altro spazio più grande, magari in un’area industriale servita dai mezzi pubblici, dove poter pregare”. La richiesta dei cittadini, in effetti, è compatibile con quella del direttore del centro islamico Abdel Amid Shari: “Per noi la soluzione migliore è che il Comune ci affitti o ci venda una delle sue proprietà. Perché non abbiamo i soldi per affrontare il mercato privato”.

Il ministro Maroni è di parola: va a Milano, fa un sopralluogo e incontra in prefettura i rappresentanti dei cittadini e delle istituzioni meneghine. E qui cominciano le polemiche: Maroni assicura “una soluzione concordata che soddisfi le richieste dei cittadini e le esigenze poste dal centro culturale” entro la fine dell’estate, ma Umberto Bossi rilancia e dichiara senza mezzi termini che “Maroni ha chiuso la moschea di viale Jenner. Questa è casa nostra”, in consonanza con le promesse leghiste in campagna elettorale. Le condizioni poste al centro islamico sono chiare: traslocare moschea e centro studi, scordandosi i soldi pubblici. Tutto ciò dovrà avvenire entro agosto: in caso contrario, viale Jenner chiuderà i battenti.

La questione, dunque, è tutta urbanistica. Il Comune si dice disponibile ad affittare il velodromo Vigorelli – reso celebre dal concerto dei Beatles negli anni ’60 – per quattro ore a settimana, ma trovare una sistemazione per il centro culturale è impresa ardua: “Nel territorio della nostra città, vista la densità urbana, non c’è posto per il centro culturale” fa sapere il vicesindaco Riccardo De Corato. Shari, dal canto suo, chiede al Comune di far pervenire delle proposte e attacca la Lega: “Per chiuderci devono dirci perché. Non siamo abusivi. Ci vogliono cacciare perché qualcuno prega per strada? Allora mandino i carabinieri a impedirlo, ma non possono chiudere un istituto perché non gli va a genio. Non possiamo accettarlo”.

È a questo punto che la polemica, già rovente, esplode. A innescare la miccia è Monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della diocesi: “Solo un regime fascista o populista arriverebbe a tali metodi dittatoriali. Oso sperare che non siamo caduti così in basso”. Come per le impronte digitali dei bimbi rom, il paragone è sempre quello: fascismo. Ma il ministro dell’Interno, intervistato dal “Corriere della Sera”, non ci sta: “Mi hanno dato del razzista, del nazista e adesso ancora ingiurie. Io seguo la mia linea: non rispondo, spiego”. Questa la precisazione: “Noi non abbiamo parlato di chiudere la moschea, anche perché quello di viale Jenner è un centro islamico. Vogliamo trasferirlo in un altro luogo dove siano rispettate le norme igienico-sanitarie, urbanistiche, e i regolamenti comunali”. Monsignor Bottoni, chiude Maroni, fa bene a preoccuparsi dei diritti: ma dovrebbe preoccuparsi anche di quelli “dei cittadini milanesi che non possono dormire la notte, girare liberamente per il quartiere, fare ciò che è consentito nelle altre zone”.

La soluzione al problema sembra ancora lontana. Su una cosa, però, tutti sono d’accordo: la situazione di viale Jenner è diventata insostenibile. E sulla linea dell’intransigenza si colloca anche Filippo Penati, presidente della Provincia (Partito Democratico): “Da lì il centro se ne deve andare, su questo dubbi non ce ne sono”. Intervistato da “La Repubblica”, Penati sottolinea come vada “salvaguardato il diritto alla preghiera, ma vanno tutelati anche i residenti”: “Migliaia di persone in strada sono un fatto che non si può più tollerare. Multe a chi intralcia e libertà di culto a chi può pregare all’interno”. Per tutti coloro che nel garage non riescono a entrare, invece, bisognerà trovare una nuova sistemazione: questo il bandolo della matassa, da sbrogliare nel corso dei prossimi due mesi.

L'Occidentale