Sono passati tre anni da quel terribile giorno, il 25 giugno 2006. Il giovane militare Gilad Shalit, classe 1986, viene catturato da un commando palestinese nei pressi di Kerem Shalom, vicino al confine con Gaza. Poi, il silenzio: da quel giorno, genitori e commilitoni di Shalit non hanno più avuto sue notizie. Più di una volta il governo israeliano – presieduto da Ehud Olmert – ha lasciato intendere di essere vicino alla liberazione del militare: puntualmente, però, tutto si è risolto in niente. Speranze vane anche in occasione delle trattative con Hamas in seguito all’operazione Piombo Fuso: la guerra è finita, ma il soldato israeliano è rimasto nella Striscia di Gaza.
A ricordare e rendere omaggio a Gilad Shalit, sull’esempio della Francia di Sarkozy, interviene oggi la città di Roma. Il Consiglio comunale, con voto definitivo, ha deliberato il conferimento della cittadinanza onoraria al giovane soldato israeliano, mettendo fine ad un iter iniziato lo scorso 2 aprile su iniziativa del sindaco della capitale, Gianni Alemanno. Un’iniziativa carica di valore simbolico, ma non solo: ad essere prigioniero nella Striscia di Gaza, infatti, non è più soltanto un cittadino israeliano, ma anche un cittadino italiano e francese. E i suoi carcerieri, da questo momento in poi, dovranno rendere conto della sorte del prigioniero non soltanto ad Israele, ma anche a Roma e Parigi.
L’iniziativa capitolina – lodata in particolare dalla Vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera, Fiamma Nirenstein – rientra in un insieme di iniziative volte a ricordare il giovane militare e ad esprimere solidarietà ai suoi genitori. Noam Shalit, padre del ragazzo, lotta infatti da tre anni perché il governo del suo Paese metta in campo tutte le risorse di cui dispone per giungere alla liberazione del figlio. Oggi, in occasione del terzo anniversario della cattura di Gilad, il padre Noam invita tutti a tenere gli occhi chiusi per tre minuti: solo tre minuti, per provare a figurarsi l’oscurità e l’isolamento in cui il figlio si trova ormai da tre anni.
Parallelamente al conferimento della cittadinanza onoraria, l’Italia si è mossa a sostegno di Shalit anche a livello della Commissione diritti umani del Senato. Il presidente Pietro Marcenaro ha scritto infatti una lettera al padre del ragazzo, invitandolo ufficialmente in Italia per prendere parte ad una seduta della commissione. “Il rapimento di Suo figlio costituisce un atto efferato e insopportabile, che ripugna alla coscienza” ha scritto Marcenaro, sottolineando poi l’importanza di rompere il silenzio: “Il silenzio è complice dei peggiori crimini e il nostro dovere, se vogliamo realmente favorire il processo di pace che nonostante tutto deve andare avanti, è far sentire la nostra voce contro ogni atto di violenza e di barbarie”.
Fiamma Nirenstein, da tre anni in prima linea a sostegno di Shalit, ha ricordato in una nota che “durante questo lunghissimo periodo, né i genitori di Ghilad, né nessun altro ha mai potuto ricevere la minima informazione sulla salute del ragazzo”. Una prassi in palese violazione della Convenzione di Ginevra, se è vero che neppure la Croce Rossa Internazionale ha potuto visitare il soldato per verificare le sue condizioni di salute. Da qui l’appello della Nirenstein alla Croce Rossa perché metta in campo tutte le sue forze, rinnovando “l’invito formulato nello scorso dicembre dal confine con la Striscia di Gaza con una lettera sottoscritta da 24 parlamentari italiani in visita in Israele”.
Il ricordo e le manifestazioni per Shalit si accompagnano anche alla cronaca. Le notizie, come sempre, sono confuse e contraddittorie: pochi giorni fa, secondo quanto riportato dai giornali egiziani, le trattative per la liberazione di Gilad sembravano ad un punto di svolta. Poi, come sempre accade quando si parla del prigioniero israeliano, la doccia fredda: oggi Hamas, per bocca del suo portavoce Osama al Muzini, ha comunicato che “la folle guerra nella Striscia di Gaza ha spazzato tutto, così noi non sappiamo se Shalit sia ancora vivo o sia morto”. Strategia della tensione? Possibile. Quel che è certo è che familiari e amici di Gilad convivono da tre anni con speranze continuamente gelate dalle dichiarazioni che giungono da Gaza.
A supporto della causa del giovane militare è intervenuta infine anche Human Rights Watch. L’appello dell’Ong per i diritti umani è di particolare importanza: in prima linea contro le politiche e le campagne militari israeliane, l’organizzazione non può certo essere tacciata in quanto filoisraeliana. Secondo Hrw, “il rifiuto di Hamas di permettere al soldato Shalit di comunicare con l'esterno è crudele, inumano e può essere paragonato a una forma di tortura”. “Le leggi di guerra – prosegue l' Ong – impongono ad Hamas di permettere a Shalit di comunicare con la sua famiglia”: il comportamento dei carcerieri di Hamas, dunque, “è ingiustificabile”.
Basteranno questi appelli per avere sue notizie? Forse no. Le iniziative delle organizzazioni internazionali e dei genitori di Shalit, però, contribuirebbero ad evitare che cali il silenzio sulla prigionia di Gilad. Missione compiuta: secondo un sondaggio pubblicato dal principale quotidiano israeliano, “Yedioth Aharonoth”, il 69% degli ebrei israeliani sarebbe favorevole alla liberazione di detenuti palestinesi, anche se responsabili di attentati sanguinosi, in cambio di Shalit; di parere contrario è solo il 28% degli intervistati.
L'Occidentale