12 giugno 2009

Iran, giovani e donne votano per cacciare il presidente Ahmadinejad

Chiusa la tornata elettorale libanese, oggi è l’ora dell’Iran. Gli occhi di tutto il mondo sono puntati su Teheran, dove il presidente Mahmoud Ahmadinejad si gioca la rielezione dopo un primo mandato (2005-2009) giocato sul filo tra sfida nucleare e crisi economica interna. Principale sfidante del presidente è il conservatore pragmatico Mir Hossein Mussavi, sostenuto dalle donne e dalle frange più giovani dei votanti. Le elezioni chiudono una campagna elettorale infuocata, culminata con un duri scontri televisivi tra i candidati e manifestazioni di piazza dei rispettivi sostenitori.

Per cominciare, qualche numero. La campagna elettorale (partita ufficialmente il 20 maggio) si è chiusa ieri mattina alle otto: fino alla chiusura dei seggi, la legge prescrive il silenzio. Questa mattina hanno aperto le urne: sono chiamati al voto tutti gli iraniani maggiorenni, per un totale di circa 46 milioni di elettori. L’attenzione mediatica internazionale è alle stelle: secondo l’agenzia statale Irna, 429 giornalisti provenienti da 44 Paesi hanno chiesto un visto d’ingresso per poter seguire lo svolgimento delle elezioni. Le scorse elezioni (2005) segnarono la vittoria di Ahmadinejad al secondo turno con il 62% delle preferenze, contro il 38% del moderato Hashemi Rafsanjani.

La legge elettorale iraniana prevede che venga eletto presidente il candidato che supera il 50% più uno dei voti: nel caso in cui la soglia non dovesse essere raggiunta, gli elettori saranno chiamati a scegliere tra i due candidati più votati al primo turno. Dal 1979 – anno della Rivoluzione Islamica – il capo di Stato uscente è sempre stato rieletto per un secondo mandato, ma i riformisti tengono sotto stretta osservanza la percentuale dei votanti: le possibilità di sconfiggere Ahmadinejad, infatti, sono legate a un’affluenza più alta della media. Fondamentale sarà poi il ruolo di garante dell’Ayatollah Khamenei, da alcuni sospettato di favorire il presidente uscente. Un appello diretto all’Ayatollah, affinché vigili sulla regolarità del voto, è venuto nelle ultime ore dal riformista Hashimi Rafsanjani, che ha anche garantito la presenza di 50.000 osservatori ai seggi.

I nomi dei candidati stampati sulle schede elettorali sono quattro. Oltre al presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, concorrono alla presidenza Mirhossein Mousavi (ex primo ministro ai tempi di Khomeini), Mehdi Karoubi (già speaker del Parlamento) e Mohsen Rezaie (ex comandante dei Guardiani della Rivoluzione). L’approvazione dei quattro candidati è venuta dal Consiglio dei Guardiani, composto da chierici e giuristi: per aspirare alla poltrona di Presidente – oltre alla cittadinanza iraniana – sono richiesti prestigio e provata fede alla Repubblica Islamica dell’Iran. Sono queste le condizioni che hanno portato alla bocciatura di 475 aspiranti candidati, comprese 42 donne. Una pratica contestata da svariate organizzazioni per la tutela della democrazia e dei diritti umani.

Tra i quattro “superstiti”, gli unici che possono realisticamente aspirare alla maggioranza dei voti sono Mahmud Ahmadinejad e Mirhossein Mousavi. Nelle ultime settimane, lo scontro tra i due è esploso: Mousavi, sostenuto dagli influenti riformisti Hashimi Rafsanjani e Mohammad Khatami, ha giocato la sua campagna sulle “bugie” di Ahmadinejad e la necessità di cambiamento; Ahmadinejad, invece, ha puntato tutto sul nazionalismo e la politica di potenza dell’Iran, fino ad accusare i suoi avversari di utilizzare “tecniche hitleriane”. Dato per favorito fino a poche settimane fa, il presidente uscente teme però che Mousavi possa rialzare la testa, sostenuto dalle grandi folle che per giorni hanno invaso le strade di Teheran chiedendo un cambiamento di rotta.

Se è difficile prevedere l’esito delle consultazioni, qualche indicazione sull’orientamento dell’elettorato viene dai temi cruciali trattati nel corso della campagna elettorale. Il voto, infatti, ruoterà attorno al nucleare (tutti sono a favore, ma i moderati puntano a fornire maggiori garanzie all’Occidente), ai rapporti con gli Stati Uniti (Mousavi è più aperto al dialogo con Obama) e ai diritti umani. Cruciale, secondo gli analisti, sarà però l’economia: nei quattro anni di presidenza Ahmadinejad, i prezzi delle materie prime si sono impennati e molte famiglie sono finite sotto la soglia della povertà. Buona parte della colpa, secondo i riformisti, va attribuita alle scellerate politiche economiche del presidente uscente.

Qualche indicazione sulle priorità dei votanti viene infine da un sondaggio condotto dall’organizzazione americana Terror Free Tomorrow (TFT) su un campione di 1001 iraniani. Stando ai risultati, tre quarti degli intervistati sarebbe a favore di un miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, mentre il 70% sostiene lo stop alla fabbricazione di armi nucleari in cambio di aiuti ed investimenti: un altro segnale dell’importanza ricoperta dall’economia, in un Paese che ha grande bisogno di capitali freschi. Per quanto riguarda Israele, però, gli elettori sembrano stare dalla parte di Ahmadinejad: solo il 25%, infatti, è favorevole al riconoscimento dello Stato ebraico e alla normalizzazione dei rapporti con Gerusalemme. L’inchiesta telefonica di TFT si è svolta dal 11 al 20 maggio, mentre i risultati sono stati resi noti pochi giorni prima del voto.

Da segnalare, in chiusura, due elementi che contraddistinguono nettamente queste elezioni. Prima di tutto il ruolo di internet: aggirando il controllo sui media da parte del regime, i sostenitori di Moussavi hanno fatto un ampio (e inedito) uso dei social network, da Facebook a Twitter passando per You Tube (dove sono stati pubblicati video tesi a smascherare le bugie di Ahmadinejad). Poi, il ruolo delle donne e dei giovani: Moussavi, che è attivamente sostenuto dalla moglie, ha messo la condizione femminile al centro delle sue politiche; il candidato riformista è sostenuto inoltre da moltissimi giovani, che hanno riempito le strade per sentire i suoi comizi e sostenerlo apertamente.

A decretare il vincitore, o gli sfidanti per il ballottaggio, sarà lo spoglio delle schede. Nell’attesa, cresce l’attenzione della comunità internazionale: e in particolare, quella di Barack Obama. Ufficialmente, il presidente americano non si sbilancia: il portavoce Robert Gibbs ha dichiarato che “il presidente non interferisce nel processo elettorale”, assicurando allo stesso tempo che la Casa Bianca monitorerà attentamente le elezioni e i suoi esiti. Dopo la sconfitta libanese di Hezbollah, Obama chiaramente spera in quella di Ahmadinejad: una politica basata sul dialogo, con Moussavi, sarebbe più giustificabile. Ma sulle elezioni, fondamentali per il Medio Oriente, hanno detto la loro anche Paesi più vicini a Teheran: Mohammad Javad Khalifa, ministro libanese, ha lodato la democrazia iraniana. Parole di elogio anche da parte dei leader politici pakistani. Le considerazioni politiche, però, sono rimandate ai prossimi giorni.

L'Occidentale