21 luglio 2009

Vittorio Bodini, poeta dimenticato tra il Salento e la Spagna

Salentino di nascita e spagnolo d’adozione, Vittorio Bodini figura tra i maggiori poeti dimenticati del secolo scorso. Instancabile sperimentatore, amante e traduttore della letteratura spagnola, critico letterario e mediatore culturale, il poeta leccese è un intellettuale in cui “si fondono esperienze e stimoli diversi”. Per conoscerlo meglio, abbiamo intervistato Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università del Salento e direttore della collana “Bodiniana”, volta alla riscoperta di un grande autore che “non rientra negli schemi consolidati del Novecento”.

Professore, al di là di qualche eccezione, le poesie di Vittorio Bodini sono state trascurate tanto dalle antologie novecentesche quanto dai libri di testo scolastici. Perché – e quando – ci siamo dimenticati di questo grande poeta?

Bodini, che negli anni Cinquanta era al centro del dibattito letterario e aveva pubblicato le sue raccolte poetiche anche con Mondadori e Scheiwiller, è stato dimenticato dopo la morte, anzi un po’ prima, per diversi motivi. Innanzi tutto per la sua “eccentricità” rispetto alle correnti poetiche dominanti del Novecento; in secondo luogo, perché la sua fama di ispanista ha messo un po’ in ombra l’attività creatrice; e infine perché da qualche critico frettoloso è stato scambiato per un poeta del “colore” meridionale, quando invece il Sud di Bodini è una sua originalissima “invenzione”, che arriva a diventare metafora di una triste condizione esistenziale. L’inizio della “sfortuna” critica di Bodini si può far risalire all’esclusione dall’antologia Poesia italiana del Novecento curata da Edoardo Sanguineti (1969). Questo esempio venne seguito purtroppo anche da quelle di Pier Vincenzo Mengaldo, Cucchi-Giovanardi e Segre-Ossola. È stato così che Bodini è stato estromesso dal canone poetico novecentesco del quale invece merita pienamente di far parte.

Parlare di Vittorio Bodini implica necessariamente una riflessione sulla sua terra, il Salento, con cui l'intellettuale ha intrattenuto una relazione conflittuale…

Con il Sud il poeta ebbe sempre un rapporto problematico, complesso, di odio-amore (“… mio paese / così sgradito da doverti amare”). All’inizio, anzi, a prevalere era una sorta di rifiuto della sua terra, che dopo la fondamentale esperienza spagnola si tramutò invece in profonda comprensione. Bodini esplorò il Salento, come aveva fatto con la Spagna, scoprendone una dimensione intima, nascosta, e lo interpretò da grande poeta, anche attraverso la chiave di lettura del barocco leccese, visto come “horror vacui”.

E proprio la Spagna – una seconda casa – è l’altro luogo topico nella parabola intellettuale del poeta… Cosa lo ha colpito della penisola iberica? Vi ha trovato forse delle corrispondenze con la terra natia?

Sì, è proprio questo che succede quando per la prima volta, alla fine del 1946, si reca in Spagna. Qui, partendo dalle manifestazioni più tipiche di quella nazione (la corrida, il flamenco, ecc.), si immerge nella realtà profonda della Spagna e, con la guida ideale di García Lorca, va alla ricerca della sua anima segreta. In questo modo rinviene le numerose affinità che legano il paese visitato alla sua terra, che riesce a capire meglio lontano da essa. A questo proposito non posso che rinviare ai bellissimi reportage che io stesso ho raccolto nel volume Corriere spagnolo (1947-54), pubblicato dall’editore Manni di Lecce nel 1987.

All’incontro con gli usi e i costumi segue immediatamente la scoperta della letteratura spagnola: il poeta Bodini diventa così uno dei maggiori traduttori dei capolavori iberici. Come, e perché, iniziò a tradurre gli autori spagnoli?

Bodini aveva incominciato a tradurre autori spagnoli, su varie riviste, fin dal 1941, ma è fuor di dubbio che la permanenza nel paese iberico contribuì in maniera determinante a convincerlo a proseguire su questa strada. Non a caso, subito dopo il rientro in Italia, portò a termine la traduzione del Teatro di Lorca(1952), poi del Don Chisciotte di Cervantes (1957), fino all’antologia dei Poeti surrealisti spagnoli (1963). Si tratta di tre opere fondamentali, continuamente ristampate ancora oggi dall’editore Einaudi. Bodini non è stato solo un grande traduttore, ma anche uno straordinario interprete della letteratura spagnola e, in particolare, di due suoi momenti, il “siglo de oro”, cioè il Seicento, e il Novecento, che sentiva intimamente suoi.

Tornando al Bodini poeta, come descriverebbe la sua poetica e il suo stile? Quali sono stati i suoi riferimenti culturali?

È difficile riuscire a definire la poetica di Bodini, che, come ho già detto, non rientra negli schemi consolidati del Novecento. In essa si fondono esperienze e stimoli diversi, dall’iniziale ermetismo a un certo realismo, ma poi soprattutto sperimentalismo, surrealismo, fino alla neoavanguardia. I suoi riferimenti principali, sia pure rielaborati originalmente, sono Montale e Lorca.

A proposito di sperimentalismo, in gioventù Bodini è stato anche un poeta futurista: cosa ha rappresentato per lui l'avanguardia di Marinetti? Forse una via d'uscita all'immobilità della sua terra?

Sì, il futurismo giovanile di Bodini è stato soprattutto questo: una forma di contestazione, di insofferenza nei confronti dell’immobilità culturale, sociale, economica della sua terra, tanto è vero che i temi della modernità presenti nelle sue poesie di quel periodo sono soprattutto simboli di evasione dal mondo soffocante e oppressivo della provincia.

Seppur celebre in quanto poeta e traduttore, Bodini è stato anche critico letterario, narratore e intellettuale a tutto tondo. Quali lati "inesplorati" della sua attività letteraria meritano di essere riscoperti?

Bodini è stato uno scrittore completo nel vero senso del termine. Tra i tanti aspetti della sua attività meritano ancora di essere conosciuti meglio quelli di narratore e di critico, letterario e d’arte, nonché di operatore culturale. Nel 1954 fondò e diresse una rivista, “L’esperienza poetica” (1954-1956), che cercava nuove strade alla poesia italiana, rifiutando sia il postermetismo sia il neorealismo. In tal senso anticipò la tanto più nota rivista bolognese “Officina”.

Attraverso la collana "Bodiniana" lei sta lavorando per riportare Vittorio Bodini alla meritata notorietà. Come procede il suo progetto?

In questa collana, pubblicata dall’editore Besa di Nardò (Lecce), finora sono usciti tre volumi: Barocco del Sud, una raccolta di racconti e prose, da me curati; il commento alla prima raccolta poetica di Bodini, La luna dei Borboni(1952), a cura di Antonio Mangione; e il Carteggio tra Vittorio Bodini e Luciano Erba, a cura di Maria Ginevra Barone. A settembre sarà pubblicato il quarto, un commento alla seconda raccolta bodiniana, Dopo la luna, del 1956, sempre a cura di Mangione. Successivamente sono in programma una raccolta degli scritti critici, una scelta delle lettere e ancora il commento a Metamor, il terzo libro poetico, nonché la pubblicazione di un romanzo giovanile, ancora inedito in volume, di alcuni racconti dispersi e di altri carteggi. Ma non mancherà nemmeno qualche sorpresa…

L'Occidentale