26 settembre 2009

La "lobby antiebraica" e la politica estera antiamericana

Professore di legge ad Harvard e star incontrastata dei tribunali americani, Alan Dershowitz non ha bisogno di troppe presentazioni: per dirla con “The Huffington Post”, è semplicemente il “più grande avvocato del mondo” e il “più celebre difensore degli ebrei” e di Israele. Sul fronte legislativo, Dershowitz ha fatto parlare di sé in quanto legale di O. J. Simpson ed autore dell’articolo “Want to Torture? Get a Warrant” (pubblicato dal “San Francisco Chronicle” nel 2002), in cui il giurista riflette sull’utilizzo della tortura in casi di estrema necessità. Sul fronte ebraico, invece, Dershowitz si è segnalato per una lunga serie di interventi a favore di Israele e contro personaggi “controversi” quali l’ex-presidente Jimmy Carter e il linguista Noam Chomsky. Ed è proprio “il più celebre difensore degli ebrei” a parlare in “Processo ai nemici di Israele”, saggio del 2008 recentemente pubblicato dalla casa editrice Eurilink.

Superato lo choc per la pessima traduzione e cura editoriale (un consiglio: se conoscete l’inglese, comprate la versione originale), il “Processo” di Dershowitz si mostra subito per quello che è: una requisitoria lucida e fondamentale. Sul banco degli imputati, i nemici di Israele: quelli dichiarati (Ahmadinejad, Hamas, Hezbollah) e quelli più subdoli, che nascondono la propria avversità dietro un’imparzialità di facciata. La premessa di Dershowitz – “Per essere una minuscola nazione con poco più di sei milioni e mezzo di cittadini, […] Israele ha in proporzione più nemici di qualsiasi altra nazione sulla terra” – è chiara quanto la tesi che vuole dimostrare: “I nemici di Israele sono i nemici di una realistica pace di compromesso”, e dunque un ostacolo alla creazione di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano.

Primo imputato del “Processo” è Jimmy Carter, ex-presidente democratico riciclatosi come esperto di affari mediorientali. Oggetto delle accuse di Dershowitz è il libro “Palestine: Peace Not Apartheid”, che ha suscitato polemiche in tutto il mondo. Pagina dopo pagina, Dershowitz – che si è visto rifiutare da Carter un confronto pubblico – mette in luce le follie dell’ex-presidente, a cominciare dagli insostenibili paragoni tra Israele e l’apartheid nel Sudafrica o il genocidio del Ruanda. Ma errori ed omissioni di Carter sono tanti, e così macroscopici, da meritare una documentata appendice di 25 pagine (“Perché Jimmy Carter ha sbagliato: i fatti”). “Smontato” il libro – ormai una Bibbia per gli antisemiti di tutto il mondo – Dershowitz passa a criticare le frequentazioni di Carter, per concludere che “c’è qualcosa che disturba profondamente nell’intimità di Carter con un uomo (Arafat, ndr) che, anche all’epoca, era coinvolto in attività ed incitazioni terroristiche contro civili israeliani”.

Sulla scia di Carter si collocano altri esponenti del mondo culturale e politico americano. Sotto la lente di Dershowitz finiscono così le asserzioni dei professori Mearsheimer e Walt (autori di “La Israel lobby”, Mondadori 2007), che accusano gli ebrei americani di controllare (e dirigere) la politica estera statunitense in senso filoisraeliano: “Le affermazioni di Mearsheimer e Walt – conclude Dershowitz dopo una breve analisi delle fonti e del metodo seguito – non soddisfano criteri di prova giuridici e neppure accademici criteri di probabilità”. Sul fronte politico, invece, l’autore smonta le teorie di personaggi di estrema sinistra come Noam Chomsky, Norman Finkelstein e Richard Falk (che “di norma insultano Israele e lo paragonano alla Germania nazista”) e di estrema destra come Robert Novak e David Duke. “Talvolta – mette in guardia Dershowitz – è difficile distinguere l’estrema destra dall’estrema sinistra”: ai due poli, l’odio per Israele è condiviso e a cambiare sono solo i riferimenti storici.

Più agevole, per l’autore, è la condanna dei nemici dichiarati di Israele. Se il capitolo contro il presidente Mahmoud Ahmadinejad è un utile compendio delle minacce iraniane allo Stato ebraico e della follia antisemita della leadership di Teheran, di particolare interesse è la parte dedicata ai “nemici suicidi di Israele”. L’argomentazione di Dershowitz si trasforma qui in una riflessione sulla guerra nel XXI secolo: da giurista, l’autore spiega come le guerre post 11 settembre siano completamente diverse dalle quelle “classiche” del ‘900. “È molto più difficile combattere contro nemici che vogliono morire che contro nemici che vogliono vivere”: ed ecco perché, a differenza della Guerra Fredda dominata dalla logica della deterrenza, convivere con un Iran nucleare sarebbe davvero da incubo.

Ma Dershowitz non si ferma alla teoria. La riflessione sui nemici suicidi è accompagnata dagli esempi concreti di madri che educano i propri figli al martirio, o di Hamas ed Hezbollah che utilizzano deliberatamente i civili come scudi umani. Ed è proprio nel contesto delle recenti guerre del Libano e di Gaza che il giurista colloca il suo pensiero riguardo alle Nazioni Unite e alle Ong: a causa della loro scoperta parzialità, queste organizzazioni hanno ormai perso l’antico prestigio. Ong come Human Rights Watch e Amnesty International non capiscono un concetto fondamentale: a fronte di un esercito che fa di tutto per evitare vittime innocenti, buona parte delle morti civili andrebbe imputata a quei gruppi terroristici che fanno un uso deliberato di scudi umani per evitare le rappresaglie israeliane. Riguardo al rapporto di Amnesty International sulla guerra del Libano, ricorda Dershowitz, “persino Al-Jazeera ha mostrato sorpresa di fronte alla mancanza mancanza di equilibrio nel rapporto”: Al-Jazeera, non il “Jerusalem Post”…

“Processo ai nemici di Israele” è infine una testimonianza del lavoro e delle lotte portate avanti da Dershowitz e dai suoi collaboratori. Spesso, racconta l’autore, le iniziative dei “nemici di Israele” lo hanno portato ad interrompere il suo lavoro per reagire con prontezza: così è stato all’uscita del libro di Carter, al quale ha risposto punto su punto con recensioni ed interventi pubblici, così per le battaglie – vinte – contro i tentativi di boicottaggio delle università israeliane. Appelli, risposte, dibattiti: difendere pubblicamente Israele non è facile, neppure in America. Ecco perché, ad Harvard, Dershowitz espone sulla porta le minacce e gli insulti che riceve: “Credo che sia importante per i miei studenti sapere a che cosa possono andare incontro se diventano pubblici difensori di una soluzione pacifica e giusta del conflitto arabo-israeliano”.

Insomma, non importa che l’autore sia il difensore di una pace giusta, che abbia criticato – e continui a criticare – Israele per gli insediamenti illegali nel West Bank, che sia un democratico e che sostenga l’attuale presidente Barack Obama: Alan Dershowitz difende le ragioni di Israele – o meglio, “anche” quelle di Israele – e perciò dà fastidio. Allo stesso tempo, però, l’avvocato ha imparato a dare il giusto peso agli attacchi personali di “gente che non mi conosce”: le minacce, spiega l’autore, non sono in realtà dirette a lui, quanto “ad Israele attraverso di me, perché io sono visto come un difensore dello Stato ebraico che è il vero obiettivo del loro odio violento”. Ma le minacce, questo libro lo dimostra, non hanno fermato la sua ricerca di una soluzione equilibrata ad una questione tanto complessa. E tutti quanti dovremmo essergliene grati.

Alan Dershowitz, “Processo ai nemici di Israele. Critiche alle tesi di Jimmy Carter e ai detrattori che ostacolano il cammino verso la pace”, Eurilink, 2009, pp. 307, € 19.50.

L'Occidentale