04 ottobre 2009

"Il fascismo e lo Stato-partito non c'entrano nulla con la politica di oggi"

Insieme a Garibaldi, la mafia e il Partito Comunista, il Ventennio fascista è uno temi più cari agli storici italiani ed internazionali. Ad arricchire la bibliografia sul regime di Mussolini giunge ora un ponderoso volume di Loreto Di Nucci, professore di Storia contemporanea e Storia dei sistemi politici all’Università di Perugia, intitolato “Lo Stato-partito” (Bologna, Il Mulino). In un lungo colloquio, l’autore ci parla delle sue ultime ricerche, della sanguinaria guerra civile raccontata dai libri di Pansa, dei continui riferimenti ad nuovo regime e dei presunti diari di Mussolini recuperati da Marcello Dell’Utri.

Professor Di Nucci, se è d’accordo partirei dal suo ultimo libro incentrato sulla genesi, l’evoluzione e la crisi dello Stato-partito fascista. Come definirebbe il concetto di “Stato-partito” per un pubblico di non specialisti?

In termini generali, si può dire che lo Stato-partito è uno Stato in cui vi è una sorta di simbiosi tra lo Stato e il partito. Nel caso del fascismo, questo rapporto è presente fin dagli anni immediatamente successivi alla marcia su Roma. E' possibile individuare infatti una sequenza storica precisa, che approda, senza fraintendimenti, ad un partito subordinato e compenetrato allo Stato. Questo non vuol dire certo che nel fascismo vi sia stata una identificazione piena e assoluta fra lo Stato e il partito. Non lo penso e dunque non lo ho scritto. Nei regimi in cui questo è avvenuto, come ad esempio quello nazionalsocialista, si parla infatti di "Stato delle SS", e per il regime bolscevico o quello maoista molti studiosi concordano nell'impiegare la categoria di Partito-stato.

Quali sono le tappe principali di questa progressiva compenetrazione?

Le pietre miliari che segnano la subordinazione del partito allo Stato sono quattro. La prima è la circolare ai prefetti del 5 gennaio 1927, la cui portata è stata sovrastimata da alcuni storici, seguita dal discorso dell’ascensione di Mussolini del 26 maggio dello stesso anno. Le altre due tappe fondamentali sono la legge del 9 dicembre 1928, che costituzionalizza il Gran Consiglio del fascismo, e lo statuto del Partito Nazionale Fascista del 1929. Secondo lo storico Aquarone, la costituzionalizzazione del Gran Consiglio rappresentò la ratifica legale al superamento del dualismo fra partito e governo, fra partito e Stato, che nella realtà quotidiana era stato ottenuto a partire dal 3 gennaio del 1925. Ma, alla luce dell'indagine sul campo, non sembra che le cose siano andate così.

Nel suo saggio, lei si sofferma poi sui difficili equilibri generati da questo processo di subordinazione del partito allo Stato…

Sì, perché anche se Turati e Giuriati, i due segretari del partito designati dopo Farinacci, accettano la subordinazione del partito allo Stato, questo non mette fine al dualismo presente nel regime: quello tra prefetti e federali, e tra le istituzioni che facevano capo agli uni e agli altri. Un dualismo che perdura anche sotto Starace e negli anni di guerra. A fomentare la contrapposizione tra prefetti e federali contribuisce un’ambiguità di fondo: per Mussolini, infatti, i federali erano dei funzionari extra-ruolo della prefettura. Ma se i prefetti erano i capi del partito in provincia, i federali non sapevano più a chi rispondere… ovvero se ubbidire agli ordini del segretario del partito o alle direttive del prefetto. Si aggiunga il fatto che i prefetti di provenienza politica, legittimati dallo Stato e dal partito, rispondevano contemporaneamente al sottosegretario dell’Interno e al segretario del Pnf: insomma, una complessa trasversalità di rapporti che generava forti squilibri…

Come sono state affrontate queste divisioni?

Per mettere fine a varie e diverse forme di dualismo, che comprendevano anche scontri al vertice tra sottosegretari dell’Interno e segretari nazionali del PNF, furono diverse le proposte avanzate. Turati, ad esempio, propose di unificare le cariche di sottosegretario dell’Interno e segretario del partito. Questa proposta, che fu anche fatta da Farinacci, venne però respinta da Mussolini. Il duce era evidentemente preoccupato del fatto che in questo modo si sarebbe concentrato troppo potere nelle mani di colui che avrebbe ricoperto questa carica.

Quali sono stati gli effetti dello Stato-partito sulla società italiana?

Lo Stato-partito non fece ricorso al terrore, ma praticò una discriminazione fra italiani iscritti al partito e italiani non iscritti al partito. In ogni caso, per valutare adeguatamente gli effetti sulla società italiana bisogna tener conto del fatto che alla fine degli anni Trenta gli iscritti al PNF e alle organizzazioni dipendenti arrivano ad essere più di venti milioni. In questo modo prendeva forma una nuova entità, che fu definita l'entità politica Partito-nazione, a cui doveva corrispondere l'entità Stato-partito. In una simile prospettiva era dunque logico che l'appartenenza al partito diventasse il requisito fondamentale per poter godere pienamente dei diritti di cittadinanza. Una condizione rimarcata dallo stesso Grandi, quando confessava che l’appartenenza al partito era la condizione necessaria per concorrere a qualsiasi carica: ed ecco perché, secondo alcuni, la tessera del partito equivaleva alla tessera del pane.

Questa discriminazione tra iscritti e non iscritti ha avuto delle forti ripercussioni sulla guerra…

Certo. E, d'altra parte, era in una certa misura inevitabile, poiché tutti gli italiani che durante il Ventennio erano stati trattati con sempre maggiore naturalezza come cittadini non di pieno diritto non sentirono più il dovere di servire con lealtà uno Stato che li considerava "antinazionali", "stranieri in patria" o "quinte colonne del nemico". Il regime, come sostennero, tardivamente, Grandi e Federzoni, nell'ultima riunione del Gran Consiglio, aveva chiamato gli italiani a combattere una guerra ideologica, una guerra fascista, una guerra di partito. Che fosse così, sembra confermato da una precisa disposizione del ministro della Cultura popolare, Pavolini, il quale, consapevole delle divisioni, chiese ai giornali di insistere sulla "compattezza" del popolo italiano e di rimettere "in onore" la parola "patria".

Professore, oltre a “Lo Stato-partito” lei ha pubblicato alcuni altri libri sul Ventennio. Perché il fascismo suscita ancora tutto questo interesse presso gli storici e i lettori?

Effettivamente, come ha rimarcato Luciano Cafagna, con Garibaldi, la mafia e il Pci, il fascismo è il tema che più interessa gli storici, e non solo italiani. Io credo che questo interesse abbia a che fare con il fatto che il fascismo è stato il solo esperimento rivoluzionario tentato nel nostro Paese. D'altra parte, che la pedagogia rivoluzionaria del fascismo incominciasse a dare i suoi frutti lo testimonia il grande numero di giovani uomini e di giovani donne che seguirono Mussolini nel momento in cui decise di mettersi alla guida del fascismo repubblicano. Credo inoltre, come ha scritto Aurelio Lepre, recensendo il mio libro, che l'esperienza del fascismo è ormai rifiutata da tutti o quasi tutti, ma non ancora rielaborata del tutto e collocata definitivamente nella storia.

Drammatica, in questo senso, è stata soprattutto la guerra civile…

Una guerra civile è quanto di più terribile possa accadere ad un popolo, e questo vale per tutti: si pensi alla guerra civile americana o alla guerra civile spagnola. In Italia, gli effetti della guerra civile si sono fatti sentire fino agli Settanta, poiché i ragazzi di sinistra o di destra caduti nelle piazze italiane sono in fondo, per quanto la cosa possa apparire a prima vista paradossale, le ultime vittime della guerra fratricida del 1943-45. A questo proposito, non mi pare abbia grande senso parlare di “memoria condivisa”: non ci può essere memoria condivisa dopo una guerra civile… Ed è in casi come questi che la storia ha il compito di restituire a ciascuno il suo.

Negli ultimi anni, chi ha cercato di “dare a ciascuno il suo” è stato Giampaolo Pansa, con libri di straordinario successo. Perché i crimini partigiani raccontati dal giornalista sono stati rimossi così a lungo?

Semplicemente perché la storia la scrivono i vincitori. Nel dopoguerra, il ricordo del fascismo, e della guerra, tragica, in cui il fascismo aveva trascinato il Paese, era ancora così vivo che nessuno mostrava interesse per la sorte dei vinti. Per quanto riguarda gli anni seguenti, alla rimozione ha contribuito l’egemonia della sinistra in molti ambiti della cultura. Il successo di Pansa, del resto, è dovuto proprio al fatto che ha avuto il coraggio di portare a conoscenza del grande pubblico taluni crimini commessi da individui che avevano militato nelle file della Resistenza, di cui ha sempre parlato come della sua "patria morale". In ogni caso le reazioni ai suoi libri dimostrano che quella ferita non è ancora definitivamente rimarginata.

Che la ferita del fascismo sia ancora aperta lo dimostrano anche i continui riferimenti al Ventennio da parte di politici e giornalisti. Riferendosi al suo saggio, su “Europa” Federico Orlando scrive ad esempio che “stiamo ripristinando, in forme nuove ma con sostanza vecchia, lo Stato-partito del fascismo”: che ne pensa?

Ho letto l’articolo di Orlando, ma non ho capito esattamente a che cosa si riferisse. Trovo comunque che il riferimento allo Stato-partito fascista sia del tutto inappropriato per comprendere le difficoltà politiche odierne.

Professore, un’ultima domanda: la scorsa settimana, Marcello Dell’Utri ha presentato a Roma i presunti diari di Mussolini. Lei che idea si è fatto di questi documenti? È possibile che siano originali?

Premetto che non ho visto personalmente i documenti di Dell’Utri, e non avrei la competenza necessaria per determinare la loro veridicità. Ho però forti dubbi in merito. Emilio Gentile, uno dei più autorevoli studiosi del fascismo, li ha analizzati attentamente per “L’Espresso”, ed è pervenuto alla conclusione che sono falsi. Sulla base di accurati confronti con documenti conservati all'Archivio centrale dello Stato, ha dimostrato, infatti, che le annotazioni riportate nel diario sono, in moltissimi casi, apertamente contrastanti con quanto è realmente accaduto.

L'Occidentale