01 marzo 2010

Quei novanta secondi in cui la furia della natura ha devastato il Cile

In Cile la terra trema alle 3.34 della notte tra venerdì e sabato. Sono 90 secondi d’inferno: secondo l’Istituto di Geofisica statunitense, la scossa – originatasi 300 km a sud della capitale Santiago, 59 km sotto il livello del mare – è stata di intensità pari a 8,8 gradi della scala Richter, più del devastante sisma che ha colpito Haiti. Puntuali sono arrivate anche le scosse di assestamento, che – avvisano gli esperti – potrebbero durare mesi: la più forte – con una magnitudo di 6.1 gradi – è stata registrata domenica mattina alle 8.25 locali, a 63 km dalla città di Talca. Michelle Bachelet, presidente del Cile, ha annunciato lo “stato di catastrofe” e ha parlato di “una delle più grandi tragedie degli ultimi 50 anni”: se nella capitale, al di là dei danni e dello spavento, è presto tornata la calma, la vera emergenza si è registrata a Concepción e nelle zona meridionale del paese.

Per avere un quadro più chiaro della situazione, spiegano le autorità, bisognerà aspettare. La protezione civile conta oltre 400 vittime, ma il bilancio sembra destinato a crescere: nella sola città di Concepción, decine di persone sono intrappolate sotto le macerie di un palazzo di 14 piani. Secondo la Farnesina, al momento non ci sono notizie di vittime italiane tra i 50.000 connazionali presenti in Cile. I media locali – che citano i dati dell’Ufficio Nazionale delle Emergenze – parlano di oltre due milioni di sfollati, anche se – data la forza della scossa che ha colpito il paese – l’entità della tragedia appare oggi inferiore rispetto a quanto inizialmente paventato dalle autorità. Ieri è definitivamente rientrato anche l’allarme tsunami, che riguardava svariate regioni del Pacifico: moltissimi gli evacuati – dalla Russia al Giappone alla Nuova Zelanda – ma le onde, fortunatamente, non hanno causato danni e feriti.

La priorità, oggi, è la ricerca dei sopravvissuti e il mantenimento dell’ordine pubblico. Molti sfollati, senza più nulla da mangiare, si arrangiano come possono: la tv nazionale trasmette immagini di madri in lacrime, che giustificano i numerosi furti con la necessità di dover “far mangiare i nostri figli”. I media, intanto, rilanciano i primi racconti dei sopravvissuti: Cecilia Vial, una donna di 65 anni residente a Santiago, spiega al “New York Times” che “siamo nel panico, perché la terra trema tutto il giorno: questa è la natura, non possiamo contrastare la natura”. L’ambasciatore statunitense Paul E. Simons racconta invece come per la gente quei novanta secondi “siano sembrati cinque minuti”: cinque minuti di impotenza, di fronte alla furia della natura. Centrale, anche in questa tragedia, resta il ruolo dei social network: attraverso Twitter e Facebook, i sopravvissuti raccontano minuto per minuto l’evolvere della situazione.

Cordoglio e offerte di aiuto sono giunte da tutto il mondo. In un messaggio indirizzato alla Bachelet, il presidente Napolitano si è detto “profondamente impressionato e addolorato”, assicurando a nome dell’Italia “ogni possibile sostegno nell’emergenza e nella ricostruzione”. Parole simili a quelle del presidente Obama, che ha assicurato tutto l’appoggio possibile da parte di Washington: ma Santiago, per il momento, fa sapere di non aver bisogno di aiuti esterni. Nel mondo, intanto, è allarme per l’escalation sismica degli ultimi mesi: dopo Haiti e il Cile, ci si chiede, ci aspettano altre tragedie? Gli esperti, tra cui il direttore dell’Istituto nazionale di Vulcanologia Enzo Boschi, invitano alla calma e spiegano che non c’è alcuna emergenza: il Cile si trova infatti in una zona fortemente sismica, dove si incontrano le placche che provocarono l’innalzamento della catena delle Ande. Nel 1960, del resto, il paese venne colpito da una scossa di intensità pari a 9,5 gradi della scala Richter, che causò 1.665 morti.

L'Occidentale