28 luglio 2010

C'è ma non si vede. L'incubo di Bin Laden nei diari di Wikileaks

Julian Assange, in conferenza stampa da Londra, la mette così: “È stato come aprire gli archivi della Stasi”. L’australiano, responsabile della pubblicazione di oltre 90.000 documenti sulla guerra in Afghanistan dal 2004 al 2009, è giustamente orgoglioso: complici “New York Times”, “The Guardian” e “Der Spiegel”, che hanno rilanciato lo scoop dopo aver studiato i file per settimane, la sua organizzazione - Wikileaks - è finita sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo. Da un punto di vista giornalistico l’avvenimento è davvero straordinario, anche perché se davvero l’amministrazione Obama fosse stata colta di sorpresa si tratterebbe di una falla nella sicurezza davvero preoccupante: da qui tutti i dubbi sulla storia che sta dietro alla provenienza, alla compilazione e alla pubblicazione dei “war logs” da parte di Assange. “Decidere se pubblicare o meno informazioni segrete è sempre difficile”, spiega il “New York Times” ai propri lettori, “ma a volte l’informazione è significativamente di pubblico interesse” e “questi documenti gettano luce sulla straordinaria difficoltà a cui gli Stati Uniti e i loro alleati sono sottoposti”.

Passando ai contenuti, la verità è che i “war logs” contengono ben poche novità. L’intelligence pakistana fa il doppio gioco, l’esercito americano uccide alcuni insorti senza processo, l’amministrazione americana ha intensificato l’uso dei droni (aerei senza pilota) e i talebani hanno perfezionato l’uso degli esplosivi: lo scoop di Wikileaks non fa che certificare ciò che i reporter scrivono da anni. “Non ci vedo niente di nuovo” ha commentato Mohammad Sadiq, ambasciatore pakistano in Afghanistan, e anche Wahid Omar, portavoce di Hamid Karzai, ha detto che “il primo pensiero del presidente è stato che gran parte di tutto ciò fosse risaputo”: si tratta, insomma, del ritratto di una guerra in cui l’esercito americano combatte un nemico capace e ben addestrato, in un territorio ostile e con l’ombra di un paese “amico” - il Pakistan - che cura i propri interessi strategici. Tra le pieghe dei “war logs” abbiamo comunque individuato sfumature importanti, che è giusto mettere in luce: dal coinvolgimento dell’Iran all’ombra di Osama Bin Laden, passando per le strategie talebane, Wikileaks ci aiuta infatti a inquadrare meglio la posta in gioco.

I “war logs” raccontano di come Teheran - in particolar modo il corpo dei Guardiani della Rivoluzione - abbia finanziato e addestrato i talebani: da alcuni report compilati dall’ambasciata americana a Kabul emerge costante preoccupazione per la crescente influenza iraniana. Nel febbraio 2005, l’Isaf mette in guardia da un gruppo di talebani residente in Iran, impegnato nella pianificazione di attentati nelle province di Helmand e Uruzgan: “Il governo iraniano ha offerto a ciascuno di loro 100.000 rupie (1.740 $) per ogni soldato afghano ucciso, e 200.000 rupie per ogni funzionario governativo”. Un mese prima, l’intelligence iraniana avrebbe trasferito oltre 200.000 $ in valuta afghana in una località al confine con l’Iran, a bordo di una Toyota Corolla. E se nel giugno 2006 due funzionari dei servizi segreti iraniani si sono recati nella provincia di Parwan sotto falsa identità afghana, un documento rivela come “a Birjand, in Iran, vi sia un’importante base di addestramento per i talebani”, da cui vengono spediti in Afghanistan “materiali esplosivi e veicoli, pronti all’uso come autobomba”.

Il sostegno iraniano ai talebani è uno degli elementi più interessanti contenuti nei “war logs”, ma non è l’unico. Nove anni dopo l’11 settembre 2001, qualcuno potrebbe chiedersi che fine abbia fatto Bin Laden, la cui cattura era il principale obiettivo della guerra in atto: Osama è ancora vivo? Controlla ancora i suoi? Un documento del 2004 tratta degli incontri tra leader talebani che si terrebbero ogni mese nei dintorni di Quetta, in Pakistan, per coordinare le azioni dei kamikaze: “I quattro leader più importanti di questi incontri sono il Mullah Omar, Osama Bin Laden, il Mullah Dadullah e il Mullah Baradar”. Nel settembre dello stesso anno, un report rivela come Bin Laden in persona abbia dato istruzioni a tre terroristi per colpire il presidente Hamid Karzai nel corso di una conferenza stampa. Simon Tisdall, che ha studiato i “war logs” per “The Guardian”, osserva che “l’influenza di Bin Laden è pervasiva, per non dire crescente”: a dispetto della sua impalpabilità, “il messaggio di Osama sulla resistenza, sul jihad e l’inevitabile vittoria dei fedeli appare onnipresente”.

Dai documenti pubblicati da Wikileaks, infine, emergono alcune “curiosità” sulla guerra combattuta quotidianamente tra le forze della coalizione e i talebani. Per quanto riguarda gli insorti, si scopre come gli ordigni esplosivi (definiti IED, Improvised Explosive Devices) siano cresciuti esponenzialmente in quantità e qualità, dai 308 del 2004 ai 7.155 del 2009. La guerriglia talebana, però, non è fatta solo di esplosivi: un file del febbraio 2008 documenta come un capo talebano abbia telefonicamente minacciato di morte un comandante dell’esercito afghano e la sua famiglia. All’ordine del giorno sono anche rapimenti e uccisioni dei civili, o i furti ai danni dell’esercito: nel dicembre 2006, quattro camion militari afghani sono stati sottratti dai talebani per farne quattro autobombe. A complicare il quadro della situazione, però, concorrono anche problemi interni alle forze alleate con gli Stati Uniti: stando ai “war logs”, svariati sono i casi di scontri a fuoco - e uccisioni - tra membri della polizia e soldati dell’esercito afghano. Ossia i corpi che dovranno garantire la sicurezza dell’Afghanistan dopo il ritiro degli occidentali.

L'Occidentale