22 novembre 2010

L’albero dei mille anni/ La lotta al cancro nell’ultimo racconto di Pietro Calabrese

Il 12 settembre sull’home page di Corriere.it compare un articolo che non lascia spazio a interpretazioni: “È morto Pietro Calabrese”. Personalmente è stato un piccolo shock, come lo è stato - quattro anni prima - scoprire dai notiziari che Oriana Fallaci era morta in una clinica fiorentina. Grandi giornalisti colpiti dal cancro, Pietro e Oriana avevano raccontato la malattia in maniera opposta: la Fallaci, com’era nel suo carattere, sfidando l’Alieno a suon di insulti e invettive; Calabrese, invece, scrivendo delle sue battaglie come fossero la guerra di un altro, dell’amico Gino, le cui gesta hanno accompagnato per lungo tempo i lettori di “Sette”. Scoprire che Gino altri non era che Calabrese ha spiazzato moltissimi italiani, che per mesi hanno inondato la casella mail del giornalista con lettere di solidarietà piene di consigli e preghiere.

La scrittura della rubrica “Moleskine” è stata accompagnata dalla stesura di un libro, “L’albero dei mille anni”, in cui Calabrese racconta scoperta e decorso della malattia. Il libro era finito, pronto ad andare in stampa, ma Pietro se ne è andato prima di vedere quella splendida copertina - dominata da un baobab placido e solitario - nelle vetrine delle librerie. È un peccato, ma l’autore ha comunque vinto la sua sfida: è riuscito a terminare il progetto, parlando per l’ultima ai suoi vecchi lettori e a tutti coloro che scopriranno per la prima volta Pietro e Gino tra queste pagine preziose. Calabrese non è il primo a raccontare la lotta al cancro, e certo non sarà l’ultimo: ogni guerra, però, è una guerra diversa. E quella di Pietro, per sincerità e profondità, doveva essere raccontata.

C’è da piangere su alcune pagine di Calabrese. Ci sono momenti duri, che colpiscono anche il più cinico dei lettori. Penso in particolare a due notti: la prima, di fianco a una moglie splendida, dopo aver scoperto un “addensamento polmonare” non asportabile; e una maledetta notte di giugno, passata in bagno a lottare contro i demoni della chemioterapia, con un occhio puntato verso il cielo di Roma. Così vicino, eppure così lontano. Ma c’è anche da sorridere quando lo sguardo dell’autore si sposta sulle cose belle della vita, sui giorni trascorsi nella sua amata Sicilia, sulle piccole sfide - vinte - che si trova a fronteggiare ogni giorno. Fino all’illuminazione finale, sopraggiunta in Africa sotto un baobab antichissimo: all’ombra dell’albero dei mille anni, Calabrese riesce a dare un senso anche al cancro. E a vivere con serenità il poco tempo che resta.

Viene da leggerlo tutto d’un fiato, questo racconto straordinario. La narrazione, fluida e coinvolgente, lascia però qualcosa di profondo, che pianta semi fecondi nel cervello del lettore. Oltre alla malinconia per l’esito di questa fiaba triste, Calabrese ci regala alcune consigli: non diamo niente per scontato, perché bastano due parole a rovesciare una vita; non combattiamo da soli, perché l’aiuto degli altri - sotto forma di consiglio, di preghiera, di pianto o di semplice incoraggiamento - può fare la differenza; non sottovalutino, i medici, l’importanza del paziente, e si sforzino di ascoltare il malato: ciò che per loro è l’ennesima neoplasia, per altri diventa in pochi minuti il centro e l’orizzonte di una vita intera. Infine, diamo il giusto peso alle cose: quando si hanno i giorni contati, quelli che prima sembravano problemi si dissolvono come neve al sole. Grazie, Pietro.

Pietro Calabrese, “L’albero dei mille anni”, Milano, Rizzoli, 2010
pp. 326, € 17.50

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